On the road colora il mondo degli ultimi

E’ stata una festa di colori, suoni e canti. E’ stata una giornata toccante la terza edizione di “On the road”, l’appuntamento in cui, tra iniziative culturali e ludiche, si mettono “in gioco” per far cadere quanti più stereotipi e pregiudizi sia possibile, gli operatori e gli utenti dell’Help Center alla Stazione Centrale di Messina. Siamo al centro diurno dedicato ai senza dimora gestito dall’associazione Santa Maria della Strada e attivo dal 27 gennaio 2012 alla Stazione. La storia di questa manifestazione è un sorriso difficile di conquista, bocche che si muovono di pochi millimetri verso la gioia, vicino alla guancia del vicino che per fortuna non è solo un altro fuggiasco dalla realtà, che pure lei non c’era, fino a poco tempo fa. La speranza è dietro i loro racconti, naturalmente non c’era, forse ancora non c’è del tutto ma ci sarà. On the road è la determinazione di padre Franco Pati, un combattente d’altri tempi, un medico delle anime, che ama i poveri e li aiuta con tutto se stesso. Di ognuno di loro conosce vizi, paure e virtù. E non importa se le bende della confessione coprono un po’ le labbra, se sulla testa c’è un buffo turbante di garza per guarire le ferite, se l’altra metà del volto è gonfia: la gente di On the road ha ugualmente un sorriso bellissimo. E lo usa per dire al suo fratello più fortunato che non è davvero il caso di piangere, che le lacrime vanno bene per i morti e per i disperati, basta piangere! Che fai, ti commuovi proprio adesso, fratello? Raccontano che dopo ogni disavventura c’è sempre una opportunità, come si fa con le ragazze belle nella società delle diverse pari opportunità. Messina, la solidarietà, l’amore per il diverso, la tolleranza che a parole c’è ma nei fatti no. Assolutamente, no! Questo magico mondo di On the road sembra fatto d’aria, l’identica materia del favoloso sorriso dei ragazzi sbarcati in città dai viaggi nei barconi della speranza. Assomigliano a un grosso bambino, abbandonato nelle mani di chi gli vuol bene e l’ha salvato, ricostruendo pezzi di corpo col suo stesso corpo, per ridargli ciò che fa diverso un uomo da ogni altro: l’espressione, il modo di guardare, la tristezza, l’allegria. Perché noi siamo anche la nostra faccia oltre che la nostra storia. Adesso sono quasi tutti qui, nella piazzetta della Stazione e come in una festa che si rispetti ognuno di loro mostra la faccia di quando stava bene, e aveva una vita intatta, però mica si vergognano, non più, non si sentono dei mostri. Felici come non mai, o come una persona semplicemente viva. A un medico delle anime si chiede innanzitutto di darsi (di darci) una lingua. Una lingua prima che una storia, una lingua che è già di per sé una storia. Perché l’importante è tenere presente che pure “Io, nella mia vita sbaglio”.