
Rivoluzione, Rivoluzione. Ma no, diciamola tutta: Rivoluzione, Rivoluzione, Rivoluzione, Rivoluzione. Che grande cosa la rivoluzione ti permette di dire ciò che vuoi e non pagarne pegno. Puoi sostenere tutto e il contrario di tutto se sei il capo della rivoluzione. Le regole non contano, le certezze non esistono, la legge è più flessibile: ma sì, Rivoluzione, Rivoluzione, Rivoluzione. Ma sì, cantiamola insieme, come i bambini in coro nelle recite a teatro. Noi pensiamo e lamentiamo che il vento del cambiamento spiri soltanto al Comune di Messina. Errore. Spira forte anche al Teatro Vittorio. Non ce ne accorgiamo perché dormiamo. Se fossimo andati a teatro, se ci fossimo resi conto anche noi che Ninni Bruschetta è un genio che più genio non si può; se avessimo acceso la lampadina per studiare invece di oziare avremmo certamente capito che chi cerca lavoro, a qualunque livello si trovi, deve impegnarsi per presentarsi al meglio. La prima cosa da fare è scremare le informazioni presenti nel proprio curriculum, che non deve presentarsi come un minestrone insipido. Basta poco per cestinare un curriculum, quindi diventa importantissimo non sbagliare strategia. Ecco perché noi non siamo vincenti, capaci, geni: non abbiamo la strategia… (puntini sospensivi)… senza rivoluzione non c’è curriculum. E non solo: le rivoluzioni essendo è a tutti ben noto come le ciliege: una tira l’altra, regalano opportunità straordinarie persino liste di proscrizione. Rivoluzione, Rivoluzione, Rivoluzione… guai a dire che il Re è nudo. Guai a sostenere che ci siano dei conflitti d’interesse… se il vento continua a soffiare così forte, si può cambiare a proprio piacimento oltre la Costituzione anche la morale. Ecco perché è lecito prevedere un ulteriore passo avanti: nomine senza frontiere e senza problemi. Ma oggi, dopo anni e anni di beata ignoranza, abbiamo appreso, che queste rivoluzioni dal basso e questi concorsi per cittadini modello finiscono sempre in grandi incontri durante i quali i suddetti vincitori si sentono in paradiso; respirano un’aria celestiale (che c’è e si sente); collaborano alla fondazione di una nuova cultura mondiale (che non si sa cosa sia, ma c’è di certo); si divertono e si abbronzano e sovente si innamorano. Che gioia, che grande estasi, che rivoluzione divina. Ridotta in questi termini la rivoluzione non meriterebbe nemmeno cinque minuti della nostra giornata. La nostra beata ignoranza ci suggerisce che non possa essere ridotta in questi termini. Se ci facciamo domande facili, avremo sì risposte rassicuranti ma anche banali. Ciò che la rivoluzione di Accorinti ha in realtà messo in discussione è più complicato: a ognuno il suo mestiere. Ma dove finisce il mestiere di rivoluzionario? Dove cominciano i doveri del cittadino? Che fine ha fatto tutta l’indignazione e la protesta dell’Accorinti prima maniera?