Je ne suis pas Renato. Non c’è parità uomo-donna in nessun ambito e il linguaggio ne è un esempio palese

Tre perle linguistiche che la nostra politica ci ha regalato: 1) non ho scelto una donna come assessore perché non ne ho trovata una con le competenze di Tizio o Caio; 2) vengo attaccato da una certa stampa prostituta; 3) gente in giacca e cravatta che ha stuprato la Sicilia. Ma con tutte le parole che si possono utilizzare perché si devono usare quelle che solo nel menzionarle offendono il genere femminile? Stuprare, prostituta, donne senza competenze… mi viene il vomito. Usare questi termini solo per esprimere un concetto o per attaccare chi non la pensa come te è veramente meschino. Meschino e senza rispetto per quelle donne che Lo stupro e lla prostituzione l’hanno vissuta, la vivono e la combattono. Donne senza un volto, senza una identità, senza una vita e soprattutto spesso senza uno stipendio fisso da professore o da primo cittadino. Donne con o senza figli, con o senza famiglia, con o senza futuro, ma di sicuro con tanta rabbia nel sentire che quello che loro patiscono venga usato nel gergo politichese. Chi riveste certe cariche, certi ruoli dovrebbe stare più attento. Chi c’è dietro costoro che rivestono cariche e ruoli (soprattutto se di estrazione clericale) dovrebbe prendere le distanze da tali affermazioni. Piuttosto che uno studio universitario sul fenomeno accorintiano ordinerei uno studio psichiatrico e personologico su chi usa tali affermazioni e soprattutto sulla gestualità e la verve che accompagnano il pronunciamento di tali parole quasi protese all ottenimento di un piacere psichico. Invito le donne attive a Palazzo Zanca a indossare una fascia nera l’8 Marzo e gli uomini coscienziosi a prendere le distanze indossando una maglietta con scritto Je ne suis pas Renato.

di Luisa Gervasi

Grazie, per questo articolo critico e coraggioso. Il linguaggio sessista si impone nella società attuale come uno degli scogli maggiormente da superare.
L’errore grammaticale è sintomo di un problema più profondo e radicato nel maschilismo imperante nella nostra società che ci impedisce, fino a farci dubitare della grammatica stessa, di chiamare le donne, soprattutto se in posizione di potere, con il femminile che appartiene al loro genere. Questo accade, perchè non siamo abituati ad attribuire il giusto peso alle donne nella società e non vogliamo in realtà dare pari dignità di ruolo a entrambi i generi: donne e uomini. E’ una questione esclusivamente culturale. In Italia non c’è parità uomo-donna in nessun ambito e il linguaggio ne è un esempio palese.