I DANNI DEL “RENZISMO”: IL CASO DELL’INVESTMENT COMPACT!

di Nicola Currò

Vien da ridere, ma soprattutto vien da riflettere pensando a quanta fortuna mediatica (quella politica è venuta un po’ meno, diciamoci la verità!) sono riusciti a fare i “renziani della prima ora”. Hanno avuto, i “renziani della prima ora”, un’intuizione che li ha spinti ad abbracciare l’astro nascente della politica italiana nella speranza che la rottamazione della vecchia politica riservasse un posto al sole anche per loro. In tutte le favole che si rispettino c’è sempre un però e da quando l’uomo forte, venuto dalla Toscana, si definiva rottamatore di tempo ne è passato. Se oggi, sempre ai “renziani della prima ora”, chiedi di Renzi ti diranno che loro, al massimo, nutrivano qualche simpatia e nulla più. Del resto come dar loro torto considerato che Renzi tra Patto del Nazareno, Italicum e decreto salva Berlusconi ha certificato che in Italia tutto cambia perché tutto rimanga uguale a se stesso? Rottamatori o non rottamatori?
Vien dunque da ridere, ma soprattutto da riflettere pensando a quanti danni sta compiendo Renzi e il “renzismo”. Prendiamo il caso dell’Investment Compact, il decreto che impone alle banche popolari (per fortuna all’ultimo momento sono state escluse le banche cooperative!), aventi un attivo consolidato eccedente gli otto miliardi di euro, di trasformarsi entro diciotto mesi in società per azioni. Si tratta di un atto d’imperio, degno dei miglior piani quinquennali di staliniana memoria, con il quale Renzi ha attuato un golpe bancario. Nei prossimi mesi infatti suoneranno le campane a morto per tutte quelle realtà bancarie locali che rappresentano un baluardo contro la recessione e la deflazione e lo fanno rinnovando un modello di banca basato più sulla relazione fiduciaria con le persone, le famiglie e le imprese che non sul profitto fine a se stesso.
Davvero Renzi e il governo ritengono che eliminare la biodiversità del settore bancario sia l’unico modo per “garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti”? Ci sono riscontri certi circa il fatto che la forma cooperativa delle banche funga da freno all’erogazione del credito e concorra a tenere elevati i costi di sistema? E se così fosse: siamo certi che la trasformazione in spa di alcune banche sarà comunque un bene anche se questo dovesse tradursi in una drastica riduzione della concorrenza? Dare risposte esaustive a tali domande oggi è impossibile, di certo c’è che per ammissione di Stefano Fassina, viceministro dell’economia, "le piccole e medie imprese e le famiglie italiane hanno trovato, negli ultimi anni di crisi, proprio nelle banche popolari e nelle banche di credito cooperativo l’unico canale di approvvigionamento di credito ancora efficiente. E lo dimostrano i dati. Dal 2010 al 2013 gli impieghi verso le imprese e le famiglie italiane sono diminuiti in Italia di 52 miliardi, ma analizzando solo il comportamento delle banche cooperative e popolari sono aumentati di 6,3 miliardi. Per questo cancellarle sarebbe un grave danno al sistema all’economia reale, alle Pmi e alle famiglie, oltre a colpire uno dei pochissimi punti di democrazia economica che il nostro Paese conosce".
Fassina, riferendosi alle banche popolari e a quelle di credito cooperativo, non a caso parla di democrazia economica visto che nella mossa di Renzi c’è un allarme che non dovremmo sottovalutare: il provvedimento attraverso il quale si impone la trasformazione societaria di alcune tipologie di banche viene varato in un periodo di vacanza istituzionale. Il Presidente Napolitano, il quale ha sempre difeso a viso aperto le banche popolari, si è appena dimesso e lo Stato affronta un lungo periodo d’interregno in cui nulla di costituzionalmente rilevante dovrebbe essere deciso proprio per la vacatio che si è aperta. Inoltre, lo strumento del decreto legge non è giustificato da nessuna particolare urgenza e su un tema delicato come il risparmio delle famiglie logica avrebbe voluto che se ne discutesse in Parlamento. A meno che Renzi non ritenga che l’urgenza stia nel mettere alcune realtà finanziarie solide nelle condizioni di essere acquisite da grandi gruppi economici stranieri. Ciò costringe, ancora una volta, a prendere atto che Renzi, i renziani e il “renzismo” per l’Italia sono una iattura.

@censurarossa