Il municipio che vorrei…Messina 1835

di Alessandro Fumia

Da una raccolta di lettere di un viaggiatore napoletano Paolo R, in visita di piacere in Sicilia l’anno 1835, proviamo con lui a raccontare il municipio di Messina. Una città in vero fra le più importanti d’Europa, aperta a ogni sorta di innovazione; pronta a sperimentare attraverso l’ingegno dei suoi cittadini, tutte le strade dello scibile conosciute per migliorare il tenore di vita degli stessi, nel regno Duo Siciliano. Un salutare ritorno al passato per sperimentare nel futuro, quello spirito fiero, che ha sempre contraddistinto i siciliani del distretto nord orientale dell’isola. L’entrata in città avveniva il 28 giugno del 1835, destando in lui, una curiosa partecipazione all’orgoglio nazionale.
“Messina distrutta dalla peste più dai tremoti del 1783 è risorta assai più bella. Del regno delle Due Sicilie parmi la sola città nella quale gli edifici han servito alle vie non questi a quelli. Sul mare è Messina; i non ripidi e verdeggianti colli che la sovrastano rimangono poco spazio tra le loro radici e il mare, quale per l’appunto vedi dalla riviera di chiaja che vario ne è il suolo, e l’aere salubrissimo, il viderla piacevolissimo. Una via di terra battuta è sulla spiaggia che si prolonga dalla Cittadella sino al Salvatore dei Greci l’ultimo fabbricato di Messina. E di là a Torre Faro. Su di essa si vede l’Arsenale, il Teatro marittimo, la Deputazione di Sanità, Porta Reale bassa, dove fra poco si innalzerà la statua di Francesco I, fusa dai fratelli Subba messinesi.”
Una città, quella che seguiva nel gusto architettonico, l’elemento estetico che l’aveva contraddistinta nel passato, adesso ripristinato con maggiore eleganza e imponenza, dandole un marchio di qualità, ancora oggi ricordato nelle memorie patrie più gloriose dei suoi cittadini. La marina di Messina, il suo anfiteatro aperto sul mare, arredato da ornati in pietra dura, infondevano ai suoi visitatori un senso di maestosa vitalità, resa ancora più attraente dalla sua gente, attiva, laboriosa, instancabile e produttiva.
“ I pavimenti di queste vie son di lastre grandi ben connessi; netti gli edifici son tutti quasi simmetricamente fabbricati di una specie di travertino, meno che della spiaggia la città è cinta di mura bastionate, ed oltre le porte antiche vi son la Porta Nuova e quella della Boccetta. La prima cosa che io vidi fu la Cittadella forte per sito, fortissima per arte. Essa mostra col suo stato presente che non è trascurata e non lo meriterebbe. L’Ospedal militare in Messina è ben tenuto, ma il principe di Collereale morto da pochi anni ne stabilì un altro, per gli storpi ed è migliore di quello. Poco lungi da quello vi è una fontana sormontata da una brutta statua detta Gennaro, la vasca e più pezzi è di marmo rosso. La Pescheria è sulla spiaggia, e su poggioli di marmo si vende il pesce, poco lungi è la statua del Nettuno del Montorsoli su d’una fontana eretta al tempo del viceré duca di Medina. Un tantino più in là su tre mediocrissimi leoni di marmo messi su un alto piedistallo, vi è un Carlo III di bronzo fuso dal Buceti nel 1756; è curioso il rabesco sul manto di Carlo. “
Una città pulita, si intravede in questo racconto in presa diretta, nitida nelle forme, ampia negli spazi, salubre nelle vie che l’attraversano. Una città a grandezza d’uomo portata ad accogliere chi la visita, elegante per vocazione e superba per memoria storica. In quella Messina, il governo non mancava di accompagnare le produzioni delle nuove fabbriche e stabilimenti industriali in rapida crescita. Come non ricordare le fabbriche tessili dei fratelli Ruggeri impiantate nel 1833: e quelli per la filatura, torcitura, tintura attive in quello stesso periodo di Guglielmo Laef 1833, Gaetano Ainis 1833, Giovanni Coop 1834, Michelangelo Mangano 1834, Antonio Ziniti 1835 dove trovavano lavoro migliaia di operai. Come non ricordare le fabbriche per la produzione di cuoi e pellami: cuciti, tinti, pressati, traforati e tramati per le varie applicazioni. Nello stesso periodo si annoverano gli stabilimenti di lavorazioni cuoio: di Giovanni Placanica 1832, Giovanni Soraci 1832, Luigi Minutoli 1833, Giovanni Morganti 1835, Giovanni Caminiti 1835, Giuseppe Trombetta 1835. Fabbriche per lo sfruttamento e la produzione industriale di prodotti chimici, siderurgici, cementizi, di ebanisteria, desainer erano un corredo industriale esemplare. La scuola della Accademia Carolina sfornava menti eclettiche, che favoriti dai nuovi impulsi lavorativi, trovavano nuove strade per lo sviluppo del tessuto industriale di quei tempi. Letterio Centorrino nel 1834 scoprì il procedimento per fissare cristalli di acido citrico dall’agrocotto. Antonio Grillo nello stesso anno, inventò la catena di ferro con cerniera a mulinello utilissima per la cantieristica navale e le applicazioni industriali, per muovere macchinari a vapore. Natale Ferrara nel 1835 inventò nuovi motori a vapore e una macchina per facilitare e velocizzare la filatura del baco da seta. E Onofrio Colloca inventò un meccanismo che acconsentiva di far viaggiare più veloci, qualunque tipo di battello a vapore marittimo.
“Messina è operosa, popolata commercialmente, perciò allegra, ospitale, agiata se non ricca, ed in ciò rassomiglia a Napoli. Buone botteghe fornite di tutto, amabili gli abitanti che hanno gusto per i divertimenti e per ogni sorta di piaceri, meno che di teatro che veramente è infelicissimo, comeche ve n’era uno nel momento presente; abbonda in commestibili, di nettezza nelle strade e negli edifici. Altra sorgente di ricchezza per Messina sono le pubbliche gravezze, da poiché non solo tutto ciò che si paga dai cittadini spendesi nella previdenza, ma Catania soccorre Messina di 50 mila onze, sulle 190 mila onze che fabisogna annualmente. Le tariffe doganali son ribassate per Messina soltanto del 2% al fin di bilanciare il peso delle imposte; le dogane danno 172 mila onze circa che si spendono per l’imprestito del milione fatto per le strade di Sicilia. In sei rioni è divisa Messina, ma tutti gli eletti risiedono nel palazzo Comunale. I condotti dell’acqua di Messina, danno 880 penne, delle quali 420 son di diritto privato e 460 di pubblico uso.”
Una città quella di Messina, al centro di interessi regionali diremmo oggi, il cui valore finanziario, garantiva nel credito pubblico, a coprire le esigenze legate allo sviluppo economico di tutto il regno isolano. Le strade all’epoca erano il punto debole nello scambio delle merci, quindi della ricchezza prodotta nel suo territorio. In tale evenienza il Re Ferdinando II, costruì una macchina per i Lavori Pubblici siciliani, da fare impallidire oggi, un piano di ristrutturazione di impianti per la viabilità, di un qualunque paese moderno. A partire da dieci anni prima il 1835, furono realizzate: 1542 miglia di strade in tutta la Sicilia, e in quell’anno, 259 miglia erano già state cantierate. Mentre da progetto per l’avvenire prossimo, si immaginava di cantierarne, altre 685 miglia. Furono costruiti ponti di diverse fogge, sventrate colline per la messa in sicurezza del territorio, realizzando tunnel e modificando letti di fiumi. Furono bonificate aree agricole e coste paludose, creati acquedotti e dighe. Furono realizzati edifici di salute, di giustizia, di studio, e di progettazione. Furono impiantati nuovi indirizzi tecnologici, dotando il territorio di telegrafo, di illuminamento pubblico a gas e di stazioni geodetiche per monitorare il territorio sia terragno che marino.
Da ricordare per il territorio messinese: il restauro e potenziamento del ponte antico di Caronia, realizzando in varie tratte, il collegamento dei grossi centri fino a Messina. Fu realizzata una nuova arteria che da Calatapiana portasse alla Zaera e da Messina al Faro, progettando una strada diretta che conducesse dalla Torre omonima a Tremonti. Fu terminato il ponte di San Filippo e costruito il ponte di ferro per l’attraversamento del fiume della Zaera. Furono costruiti ponti a più arcate da Messina a Barcellona Pozzo di Gotto: e terminato il ponte a travate di legno sul fiume D’Idria. Fu realizzata e quasi compiuta (sic) la traversa che congiungeva Mistretta a Margi: mentre stavano costruendo le traverse di Castroreale, Santa Lucia e San Pietro Monforte. Progettando un’altra strada che da Tusa portasse alla marina: costruendo la traccia che da Patti portasse a Tusa perforando il Capo Calavà, la cui opera costò 236 mila ducati. Fu messo in sicurezza il torrente di Forza D’Agrò accorciandone il letto, e rinforzato gli argini e modificandone la pendenza del letto del torrente Zappulla presso Naso. Furono iniziati la bonifica del Lago grande di Ganzirri e del territorio di Margi confinante. Fu costruito dal nulla l’Ospizio di Beneficenza di Messina, prima detto della Gente-bassa. Fu progettato il teatro di Santa Elisabetta e costruito l’Ospizio di Beneficenza per i trovatelli e gli orfani. Fu costruito sempre in quegli anni, il Quartiere per la Gendarmeria a cavallo, realizzando nuovi padiglioni delle Prigioni Centrali. Sulla spiaggia di Ringo nello stesso tempo, vennero aggettati dei cassoni per favorire l’ormeggio a grandi vapori passeggeri, fra i quali il Francesco I che condusse Paolo R a Messina e nello stesso anno, 1835, fu inaugurata una tratta mercantile che da Messina conducesse a Filadelfia in America. Sempre dai nostri moli, per volontà dello Zar di tutte le Russie, si acconsentì alle navi siciliane, che esportassero i cereali e i grani che dal porto di Messina, ingiungessero merci nel Mar Nero, in Danubio e nel Mar Azof. Mentre nel frattempo, con atto ministeriale nel foglio del 9 aprile n° 3845 del 1835, il Governo Duo Siciliano, approvando il divisamento dell’Istituto (Bilancio Consuntivo per il regno) concedeva di aversi a fare esperimento, del minerale combustibile di Messina nella sua applicazione per i legni a vapore (imbarcazioni di alto tonnellaggio).