IL MALE QUOTIDIANO: IL SILENZIO NON È AFFATTO D’ORO!

di Adelaide Martino Cantafio

La politica che tace, che nega, che minimizza, è un organo davvero complesso, un mixer spregiudicato di interessi e potere, alla base di una dinamica tutta giocata tra affari e scambio di voti, tra soldi e baratto di favori. Che si tratti di politica del silenzio o di silenzio della politica, il senso comune è "la morte della politica", nel suo identificarsi con una esasperata corsa individualistica, in cui ognuno corre per essere protagonista, senza sapere di preciso di cosa…
come dire << io, intanto corro, voglio arrivare primo. Poi, strada facendo, mi inventerò qualcosa>> E già, ormai, la dialettica politica ha solo uno scopo autoreferenziale, demagogico, il sindacato è altalenante nelle sue continue perplessetà, e il cittadino è confuso tra il desiderio egoistico" di poter "arraffare" qualche privilegio e la rabbia di non saper difendere la propria dignità. Si potrebbe parlare, allora, anche del " silenzio della rabbia" di fronte a una realtà di sottosviluppo che viene alimentata dalla fragilità delle istituzioni e da una politica impotente che, di fatto, abbandona i cittadini alle proprie miserie e sofferenze? Ma, a parte qualche rumorosa manifestazione di piazza, che facciamo? Ci ritiriamo, poi, sotto la tenda dello stesso silenzio, in attesa di un cambiamento, pur sapendo che, attendere (invano), significa contribuire a spegnere ogni scintilla di sdegno, di rabbia e vanificare anche le buone intenzioni.

Mi sì potrebbe chiedere: E ALLORA?
Da donna più che matura che ha vissuto il ’68, mi sento di rispondere che allora in noi giovani si era sviluppato un forte bisogno di coesione, una solidarietà che aveva al centro della lotta il prossimo, in forza dell’ idea comune che davvero si potesse fare qualcosa e raggiungere, con impegno fattivo dei risultati. Certamente la foga del momento ci fece cadere in grossi errori, come, ad esempio, la negazione delle differenze, il cui limite lo stesso Pasolini ebbe a denunciare. Si cadde anche in eccessi, in paradossi, è vero, non si conquistò quello per cui si combatteva, se non, in parte, al momento, il tentativo di abolire le caste. Eppure del ’68 oggi bisognerebbe prendere a modello quello slancio straordinario che accomunava tutti, di qualsiasi età e ceto sociale: un’energia vitale che toccava e contagiava tutti. Questo, in definitiva, io credo si possa riprendere dal ’68: di certo non gli esiti finali che, nel tempo, hanno visto molti sessantottini di ieri indossare le casacche di quelli contro cui avevano combattuto… ma, piuttosto, il punto di partenza e l’effetto di scossone, che esso provocò, tenendo conto che, allora, si trattava di una rivolta contro un sistema totalizzante, oggi dovrebbe articolarsi contro un sistema politico emarginante… e non solo