E se si tornasse a votare ridareste fiducia a Renato Accorinti?

Una rivoluzione dal basso sognata. Un cambiamento solo letto. Un’utopia da custodire per identificarsi. “Io penso che i popoli democratici provino per la libertà un gusto naturale: abbandonati a se stessi la cercano, l’amano e se ne distaccano con dolore”. Sono parole di Furio Diaz, nel suo scritto “L’utopia liberale”. Uno scritto che lascia il sapore che ricorda un desiderio. Che non si rispecchia nella realtà. Cambiare Messina non è facile, non è semplice. E’ una dura responsabilità verso promesse. Ben dette. Pensavo che Renato Accorinti fosse la medicina da far prendere a una politica moribonda e invece si è dimostrato un rimedio peggio del male: non è rivoluzione il prelievo fiscale, dimostra solo la confusione di una classe politica. Ma se non è certo di quello che promette, sarebbe meglio che fosse solo sincero. "L’essere umano è limitato" e non ce la fa ad accontentare tutti. Non ce la può fare a spiare nella finestra di chiunque abbia un lamento. Di chiunque abbia semplicemente una voce: quella che chiede di convivere con la verità. La troppa confusione crea solo rabbia o magari semplicemente solo voglia di parlare. Ed ecco che la voce di tutti soffoca la semplicità della civile convivenza. Messina in questo momento storico non è una città amministrata bensì commissariata e per questo non ci voleva un sindaco eletto dal popolo. Più o meno tutti quanti sono cresciuti con l’idea di un credo politico nel proprio cuore: non si capisce perché ora sia tutto così complicato, perché sia tutto così difficile da capire. La rivoluzione fallisce quando diventa potere e non strumento per aiutare la comunità. Sembra che sia così arduo da ottenere, ma in realtà basta davvero poco. Basta saper “comunicare”, o magari solo possedere tutti i mezzi di comunicazione. E confondere così il senso dei valori, della trasparenza, che non dovrebbe essere altro che figlia di una qualsivoglia relazione. Forse la retorica e la dialettica non sono servite a tanto. Non sono servite a noi, a farci capire la loro importanza. Forse il senso dell’argomentazione è stato solo un pretesto per farci parlare. “Io penso che i popoli democratici abbiano per l’uguaglianza una passione ardente, insaziabile, eterna, invincibile: vogliono l’uguaglianza nella libertà, e se non possono ottenerla, la vogliono anche nella schiavitù”. Quella di credere che il nuovo sindaco sia più attento, non al voto, ma al cittadino. Quella stessa schiavitù che spinge chiunque ad alzarsi, in una bella giornata di elezioni, a credere di metterci del suo nel progetto, ideale, della tranquillità di tutti. Salvo poi rivelarsi se non peggio, uguale agli altri: dopo l’innamoramento ecco la perdita.

Lettera firmata