L’essere gay – e candidato sindaco – a Solesino (Padova)

di Matteo Pegoraro

L’essere gay a Solesino (Padova) è forse come esserlo in un paesino del meridione, dove tutti conoscono tutti e la mentalità si amalgama tra il conformismo e il machismo. È un paese di circa 7200 abitanti, un po’ sganciato dal resto del mondo, dove raramente chi ci vive si permette di uscire fuori dagli schemi e dove i valori della famiglia tradizionale sono talmente radicati da non essere minimamente messi in discussione. È un paese con molti anziani, che tramandano una tradizione senza dare troppe opportunità a qualcuno di cambiarla o proporne una visione diversa. Quando mi sono candidato sindaco, un giornale locale – Il Mattino di Padova – ha intitolato gli strilloni "Sono gay e mi candido a Sindaco" e in poche ore i quotidiani erano esauriti. Il titolo del pezzo era "Il primo candidato a sindaco di Solesino è un omosessuale". Il giorno dopo in piazza tutti mi scrutavano con aria indagatoria, qualcuno lanciava qualche occhiata, qualcun altro sorrideva timido e accennava a un saluto, i più fingevano di non far caso alla cosa. Nei bar parlavano già che se fossi stato eletto avrei portato il gay pride, i matrimoni gay e legalizzato le adozioni, in un’ottica abbastanza assurda e ben poco realistica, ma che determinava commenti e scongiuri. Dopo qualche giorno ricevevo a casa una busta chiusa da un certo don Ferdinando, cappellano dell’ospedale di Monselice, un paese vicino, dove mi si diceva che come gay, candidandomi a sindaco, stavo rovinando il nome di Solesino, che ero anormale e non potevo pretendere di essere considerato come tutti gli altri uomini. Allego la lettera, anche se è in dialetto veneto qualcosa si capisce. Sul retro mi si diceva che sto commettendo peccato mortale, come abortire, uccidere o rubare ai poveri. Decisi di lasciar perdere, ma il giorno del mio compleanno (l’11 aprile) mi chiama una ragazza della mia lista dicendo che in alcuni parrucchieri e bar del paese stanno distribuendo quella lettera, dattiloscritta, agli avventori. Molti mi dicono di non cogliere la provocazione, e lasciare fare, non denunciare nulla, ché altrimenti "la cosa del gay si accentua". Scelgo di andare avanti continuando semplicemente a essere me stesso, e alla fine alle elezioni portiamo a casa 601 voti e un posto in consiglio comunale. Qualcuno dice "è bravo ma è gay", qualcun altro è arrabbiato, qualcun altro deluso perché non abbiamo vinto. Ecco i vari volti dell’essere gay – e candidato sindaco – a Solesino!