PERCHè GLI ITALIANI NON FANNO LA “RIVOLUZIONE” CONTRO I TECNOCRATI GIACOBINI AL GOVERNO

In questi giorni su alcuni giornali ricorre questa domanda: – “Come mai gli italiani dopo il profluvio di tasse e di misure capestro emesse dal governo Monti non reagiscono, non fanno la rivoluzione come magari intendono fare certe frange dei cosiddetti indignados?”. In un intervento sul giornale online Legnostorto.itun editoriale ben fatto, si pone proprio questo problema. Del resto ormai, ovunque, sono frequenti le stesse espressioni in riferimento ai politici e soprattutto dopo gli ultimi scandali: “intollerabile”, “vergognoso”, “verminaio”, “banda di ladri”, “indegni” etc. Il grido unanime è: “basta”! Dal canto loro i politici, più o meno tutti, da sinistra a destra , si difendono e rassicurano di voler far “piazza pulita”del malaffare. Ma sarà vero? Senza volerripetere i soliti nomi, possiamo tranquillamente sostenere che veramente tutti, chi più chi meno, sono coinvolti in faccende di malapoliticaormai arcinote. Dunque cosa possiamo proporre o invocare? Un commissario superpartes, un governo del Presidente o un dittatore democratico?
“In altri secoli, in altri paesi, questa situazione avrebbe avuto sicuramente sbocchi rivoluzionari e la generale rabbia del popolo non sarebbe rimasta prigioniera della verbalità indignata, non sarebbe finita in rassegnazione. Oggi no. Oggi non si fanno più rivoluzioni di popolo, forse qualche manifestazione di piazza, prontamente usata da qualche decina di teppisti prezzolati, sempre sconosciuti, per spaccare vetrine e incendiare automobili.
Mai prima nella storia della Repubblica si era verificato un rifiuto nei confronti della classe politica, la casta, come quello che oggi avvelena il Paese.
Ma oggi quel genere di rivoluzione non si fa più, per lo meno non in Europa e non in Italia: la sociologia che lo attesta e dimostra è un mare immane di carta accademica. Prendere il mitra, andare in montagna è una battuta ridicola. Impraticabile. Immaginiamoci il resto”.(Lorenzo Matteoli, Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. 26.9.12, Legnostorto.it)
In realtà, non si vede all’orizzonte nessun “sbocco”neo-rivoluzionario o para-rivoluzionario della pesante rabbia, o cupa rassegnazione, che oggi opprime gli italiani. “Sono tutti indignati, ma tutti aspettano di andare al potere sull’onda dell’indignazione. Messi sul trono non tanto dalla loro competenza, dignità o eroica virtù, quanto dalla vergognosa miseria degli attuali regnanti”.(Ibidem). Non si vede nessun uomo credibile, civile interprete della rabbia popolare, mentre invece è molto seria la collera della gente normale, di quelli che lavorano, che pagano le tasse, di quelli che si consumano nella disoccupazione e nella precarietà, di quelli che si avvelenano nelle fabbriche inquinate, della generazione giovane che pagherà il debito pubblico per tutta la vita. Di quelli che, nonostante tutto, mandano avanti il Paese. Una collera che esige risposte. Ci sarà qualcuno che “saprà interpretare questa rabbia e la saprà rappresentare seriamente, senza strillare, senza dire “cazzo”, né “merda”, né “vaffanculo”, con competenza professionale e amministrativa e con passione italiana vera, con il dovuto civile rispetto, vincerà in modo travolgente, perché la gente non aspetta altro. Non vuole altro. Questa è la sola rivoluzione possibile e auspicabile”. (Ibidem) Senza voler troppo enfatizzare, mi sembra un valido tentativo quello che sta cercando di fare l’amico Cateno De Luca, giovane sindaco messinese di Rivoluzione Siciliana, che con tanta caparbietà sta promuovendoper le prossime elezioni regionali siciliane una rivolta delle coscienze contro il Palazzo del malaffare siciliano.
A questo proposito, Eugenio Benetazzo nel suo “Era il mio Paese”, auspica un nuovo leader che assomigli a Lorenzo il Magnifico, il grande governante fiorentino, emerso in un’epoca di profonda conflittualità, tra i poteri forti che governavano Firenze nel XV secolo. Più avanti, il giovane economista fa il nome anche del capo del governo inglese David Cameron che con un programma politico tutt’altro che demagogico è stato capace di dare le risposte giuste alla crisi economica mondiale. Certo sarà stata una medicina amara, ma necessaria per un Paese che vuole rialzarsi. Non sono d’accordocon Benetazzo quando sostieneche sia meglio essere governati dai giovani,soprattutto se i risultati sono quelli della giunta della Regione Lazio. Edificante (si fa per dire) l’intervista alla ventiseienne Chiara Colosimo, consigliera della regione Lazio del Pdl, ex cubista da discoteca che intende ricandidarsi, convinta che la politica sia un vero e proprio lavoro. Piuttosto condivido l’originale analisi di Benetazzo sulle motivazioni che giustificano o spiegano l’immobilismo stanziale dell’elettorato italiano. Infatti, “A cosa è dovuto il menefreghismo dell’italiano medio di fronte a una trasformazione socioeconomica che sta colpendo tutto il mondo occidentale e che avrà delle profonde ripercussioni sul piano produttivo e demografico?” La risposta ha origini storiche: “per capire la mentalità di oggi dobbiamo capire che cosa è successo circa 150 anni fa”.
Occorre ripensare come è stata fatta l’unità d’Italia dal cosiddetto movimento risorgimentista, dai cosiddetti padri della patria, da Garibaldi a Cavour. Bisogna rivedere la “favola che ci è stata raccontata sin dalle scuole elementari”, Benetazzo, usa la parola favola, come a suo tempo ha fatto Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica e della rivista Cristianità.
Pertanto, lo scrittore sostiene che il Sud, il Regno delle Due Sicilie era uno Stato florido e benestante, in particolare la sua Banca, “il Meridione italiano poteva vantare prestigiosi primati in ambito produttivo, arrivando addirittura a nicchie di eccellenza in determinati settori. Napoli era considerata la terza città in Europa per slancio produttivo, benessere sociale, qualità della vita e opportunità di lavoro”. Altra storia al Nord, qui, in particolare, il Regno di Sardegna era sommerso di debiti con la Gran Bretagna. Così il piccolo Piemonte foraggiato dalla massoneria inglese sfrutto l’occasione e rubò del Regno delle Due Sicilie ai sovrani legittimi Francesco II e Maria Sofia. Il Sud fu letteralmente saccheggiato e depredato, le ingenti risorse patrimoniali del Regno delle Due Sicilie servirono per appianare i debiti del Regno di Sardegna e quindi per industrializzare il Nord. Le conseguenze di questa spietata conquista sono state gli esodi migratori delle popolazioni meridionali, l’imposizione fiscale più alta, la leva obbligatoria, militarizzazione del territorio, degrado e impoverimento di tutto il meridione che in sostanza viene colonizzato. Pertanto secondo Benetazzo a causa di questi fattori gli italiani, in particolare i meridionali non si sentono di appartenere a uno Stato del genere, anzi lo concepiscono come nemico, da boicottare e raggirare quando possibile.
Allora si può concludere che “il modello di Stato regionale imposto 150 anni fa ha prodotto invece un sistema di sviluppo economico incentrato sulle regioni settentrionali, che ha continuato a mantenere zavorrata la crescita del Mezzogiorno e ha prodotto ancora più disparità e distanza tra le due parti del paese impedendo una vera e propria unificazione a livello istituzionale” (pag. 61). Mi fermo anche perché la Storia della conquista e della colonizzazione del Sud Italia da qualche decennio viene raccontata con maggiori dettagli ben documentati da fior di storici.

DOMENICO BONVEGNA
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