2012 considerazioni per un anno che è nuovo solo nei numeri

Leggende e miti lontani considerano il 2012 come l’anno OMEGA, l’anno della fine dei tempi, del disastro climatico conseguenza della iperattività dei neutrini solari, al mutamento dei poli magnetici conseguenza di un particolare allineamento della terra con il centro della galassia cui apparteniamo, allo sbarco degli alieni, sino a un concetto new age secondo il cui l’uomo muterebbe la propria coscienza in un nuovo stato di consapevolezza interiore. Insomma, disastri in ogni caso. Il vero disastro che fino a ora possiamo palpare con mano è la tremenda crisi economica sociale che ha colpito la nostra amata Italia. Crisi che investe il tessuto sociale più dal punto di vista culturale che da quello economico. L’Italia, il bel paese agli occhi del mondo, sta morendo pian piano per colpa nostra. Mai avrei pensato di abitare in un paese sull’orlo del default. Ma non si può vivere soltanto di storia e di passato, e la “Magna” Grecia è stato il primo campanello d’allarme. I modelli di gestione della “storia” sono obsoleti e farraginosi. Il turismo che dovrebbe occupare almeno il 30% degli introiti del nostro paese non ha programmazione e gestione d’insieme. Siamo in un’epoca nuova. Un secolo dove diventi ricco e famoso se riesci a mettere due bit in fila e a rendere più semplice e organizzato il lavoro e il tempo libero della comunità. La globalizzazione sociale rende molto più semplice la conoscenza indiretta e molto più ardua, per ragioni di concorrenza, la voglia di provare con tutti i 5 i sensi, ove possibile, l’estasi dell’arte, di qualsiasi forma o sostanza si tratti. L’Italia, invece, presuntuosa e leggiadra si nasconde all’ombra del Colosseo. Se non ricordo male, una legge economica sanciva che la ricchezza personale è direttamente proporzionale al numero di abitanti del Paese in cui si vive. Siamo poveri, pertanto, rispetto ad Americani, Cinesi, Giapponesi, Brasiliani, ma niente facciamo per modificare questa nostra condizione di inferiorità oggettiva. Ed è proprio l’assenza di cultura, e la presunzione di una italianità pesante e pachidermica che ci frega. Vogliamo esportare la cultura italiana a tutti i costi senza mai importare i modelli di cultura estera che ci renderebbero migliori e competitivi.
Abbiamo la fortuna di avere Roma, città eterna, sogno di tutti, meta preferita e disiata. Ma prima o poi questo desiderio scemerà con la conoscenza diretta di un modello di servizi obsoleto e inefficace. Del resto Atene non è bella come Roma ma altrettanto affascinante, certo il Pireo non è Venezia e Sparta lontamente paragonabile a Milano o Torino, ma il destino che ci separa dal default è soltanto questione di tempo. Tranne, che come il nuovo Governatore Monti sta egregiamente facendo, non finiamo tutti per diventare lavoratori dell’Impresa Italia pagando tasse su tutto e per tutto. Io tasserei le Banche, il motore dell’economia. Ogni giorno di valuta che tengono su un assegno una sonora percentuale di tassa. Passata questa mia digressione temporanea, torno ad analizzare questo inizio d’anno e il tormentone che suona ininterrotto dentro le nostre teste. Default! Crisi di un sistema dove l’economia non è retta dagli scambi economici e commerciali ma da un sistema dove il punto di appoggio invece di sollevare il mondo lo sconfina nel buio del divenire distorto. Archimede chissà quante volte si è rivoltato nel suo sepolcro osservando dal limbo (luogo di pace dove riposano i non cristiani) come la sua Leva ha distrutto un sistema.
Perché la crisi nasce proprio da questo. Scoperte le truffe di Bernand Madoff, fermata una logica in cui il denaro virtuale produceva profitti senza rischi ecco nascere il vero default economico.
Il sistema bancario vacilla, il credito bancario scompare, la tolleranza del credito pure, la gente, schiava del sistema, mentre priva serviva un affabile e comprensivo re bancario adesso si ritrova di fronte a un tiranno senza pietà. Non è facile essere sudditi ma nemmeno regnare, la colpa è di tutti. Sia del re lascivo che del suddito apatico e per nulla interessato alla politica e al proprio futuro. L’Italia, per fortuna non è una terra di banditi rivoluzionari, e proprio per questo la classe politica dovrebbe essere ancora più attenta alle problematiche del mercato e del benessere e trasformare la fortuna di non avere problemi di politica interna in virtù al servizio del popolo. Basterebbe forse modificare qualche articolo della Costituzione italiana dando più rispetto al cittadino come individuo destinatario di interessi personali e collettivi e perseguendo la Felicità del cittadino stesso quale tassello indissolubile per la ricerca del benessere dell’Italia stessa. Forse in questo abbiamo proprio bisogno di un po’ di America nel nostro antico storico caldo e apatico sangue.

Francesco Carrozza