Roberto Malini (difensore dei diritti umani): Si diventa rompiballe quando capisci che l’indifferenza è una forma di complicità

Roberto Malini è storico, poeta e difensore dei diritti umani. Co-presidente di EveryOne Group, è attivo da oltre quarant’anni nella difesa dei diritti, dell’ambiente e dei beni culturali, spesso in collaborazione con le Nazioni Unite, la Commissione europea e altri organismi internazionali. Studioso della Shoah, ha salvato e restituito alla memoria collettiva centinaia di opere d’arte dell’Olocausto, realizzate da artisti ebrei deportati o sopravvissuti ai campi di sterminio — un’“operazione salvataggio” che gli è valsa il Premio Rotondi ai Salvatori dell’Arte 2018.

Autore di poesia, narrativa, saggi e sceneggiature, ha ricevuto riconoscimenti in Italia e all’estero. È inoltre impegnato nella ricerca sulle nuove tecnologie applicate alla cultura e alla comunicazione, con progetti innovativi ed etici che indirizzino strumenti potenti come l’Intelligenza artificiale al servizio dell’umanità, della libertà e dell’ambiente e non contro di essi.

 

A Pesaro, Fox Petroli pretende due milioni di risarcimento dagli attivisti Roberto Malini e Lisetta Sperindei. Che grave delitto avete commesso?

Il nostro crimine è di aver chiesto trasparenza e rispetto delle leggi che tutelano la salute pubblica e l’ambiente. Abbiamo evitato, grazie a una serie di appelli ed esposti, la realizzazione di un impianto di liquefazione del metano che avrebbe causato inquinamento e messo in pericolo la comunità pesarese, visto che il progetto ne prevedeva l’installazione in prossimità di case, scuole, locali pubblici e luoghi di cura. Contemporaneamente abbiamo sostenuto, con documenti alla mano, che il sito della Fox Petroli è un’area industriale vetusta, soggetta a degrado e potenzialmente contaminata. Di conseguenza, che servono analisi serie e interventi concreti. È bastato questo per essere accusati di diffamazione, attraverso una causa civile che rientra a pieno titolo tra le cosiddette SLAPP — Strategic Lawsuits Against Public Participation —, azioni legali temerarie intentate da soggetti potenti per intimidire o zittire chi esercita il diritto di parola, di critica o di difesa dell’interesse collettivo. È curioso, ma in Italia, per quanto riguarda l’ambiente, a volte il problema non è l’inquinamento, bensì chi osa nominarlo.

A che punto siamo?

La mediazione in tribunale si è conclusa senza accordo, quindi si andrà a processo. Lo affronteremo il 22 dicembre con serenità e con l’assistenza di una legale competente e coraggiosa, l’avvocata Pia Perricci, che conosce bene la materia delle cause temerarie. È un cammino arduo, ma necessario, perché difendere il diritto di parola significa difendere tutti, non solo noi stessi. In particolare le generazioni future, che saranno chiamate a proteggere un pianeta sempre più “degradato” (questo, nello specifico, è il termine da noi usato e su cui è incentrata la causa che ci ha intentato Fox Petroli). La buona notizia è che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, la Commissione europea e le principali organizzazioni che tutelano gli attivisti dalle SLAPP — fra cui CASE, Front Line Defenders e l’Hub di Protezione — ci sosterranno, dialogando, secondo le loro funzioni, con le istituzioni del nostro Paese.

Papa Francesco durante i suoi viaggi ha più volte ha ribadito che la tutela della libertà, aspirazione scritta nel cuore di ogni uomo, unica condizione perché l’incontro tra le persone e i gruppi sia reale e non artificiale, si traduce nella società civile principalmente attraverso il riconoscimento dei diritti, accompagnati dai doveri… Cosa la Fox Petroli ha frainteso nelle parole del Santo padre?

A volte l’industria, inseguendo il profitto a tutti i costi, perde il suo “cuore”, come l’Uomo di latta del Mago di Oz. Forse la Fox Petroli non comprende che la libertà non è un privilegio né un fastidio, ma un fondamento della convivenza civile. La libertà di espressione e di critica è ciò che permette a una comunità di correggersi e migliorarsi. Senza di essa, si torna indietro di decenni, in quel silenzio profondo e teso dove paura e arroganza erano strumenti per controllare la società civile.

Eppure, la terra, soprattutto quella fertile, e l’acqua pulita non sono disponibili per tutti per sempre. Sono risorse in via di esaurimento, destinate a non riuscire a soddisfare più le esigenze vitali della popolazione del pianeta…

Si potrebbe fare un discorso di portata universale, ma ti risponderò a proposito di Pesaro. Nella mia città, come in tante altre, la politica — salvo rare eccezioni — segue logiche che non hanno alla base i valori civili o ambientalisti né gli ideali di solidarietà. L’indifferenza sostituisce spesso l’onestà e il coraggio. Si parla di “sviluppo sostenibile” con la stessa leggerezza con cui si parla di sagre di paese o di eventi sportivi amatoriali. Ma la sostenibilità non è uno slogan con cui pavoneggiarsi nei discorsi di piazza: è una priorità, se vogliamo sperare di vivere meglio e di dare un futuro alle generazioni di domani. Se continuiamo a ignorarla, non ci sarà economia che regga né città che respiri.

Una strada da percorrere potrebbe essere quella di studiare un patto di convivenza pacifica tra cittadini, imprese e istituzioni, affidato alla competenza dei Comuni. I politici locali sono consapevoli del bisogno di tutelare il territorio, le persone?

Credo che un patto di convivenza pacifica sia non solo possibile, ma necessario. Tuttavia, come ti ho detto prima, molti amministratori locali hanno smarrito il senso profondo della parola “bene comune”. La tutela del territorio e delle persone non è un dovere astratto: è il primo atto d’amore verso la comunità che si rappresenta. Finché la politica non tornerà a essere servizio, e non gestione di potere, nessun patto potrà davvero reggere.

Quanto coraggio ci vuole per sfidare dei giganti?  Non vi spaventa l’idea di dover finire sul lastrico?

Personalmente, sono giunto alla quarta SLAPP. Ho ricevuto, inoltre, intimidazioni, minacce, lettere di avvocati e, a volte, anche di peggio. Lisetta — che è stata citata in giudizio insieme a me da Fox Petroli — e io siamo spaventati di più all’idea di vivere in un Paese dove tacere diventa più conveniente che parlare. Sfidare i giganti è un’impresa quasi impossibile e, se potessimo evitarlo, noi difensori dei diritti umani e dell’ambiente ci risparmieremmo tanto stress e tanti rischi. Però qualcuno deve farlo, se non vogliamo rinunciare alla libertà, ai diritti, alla salute e alla sicurezza. Abbiamo esperienza, competenza e anche quel pizzico di follia che convince un essere umano a tentare imprese apparentemente disperate, ma necessarie. Per quanto riguarda la causa, i diritti si difendono anche in tribunale e, non avendo violato alcuna legge, vinceremo.

Un proverbio africano: se volete andare in fretta, andate da soli. Se volete andare lontano, andate insieme. Chi c’è dietro di voi?

Dietro di noi non c’è potere, ma solo una cittadinanza consapevole, giornalisti, studenti, persone comuni che non vogliono essere sudditi. C’è uno spiccato senso di giustizia che ci induce a proteggere la vita, la cultura, la libertà quando soffrono e sono in pericolo. Spesso per un attivista è meglio guardare in avanti, verso l’avvenire e tutte le azioni che si devono ancora compiere.

Essere “rompiballe”: lo si nasce o lo si diventa?

Si diventa rompiballe quando capisci che l’indifferenza è una forma di complicità. Lisetta e io preferiamo definirci attivisti e cittadini attenti. A volte è faticoso e rischioso, perché vedere e capire comporta tanto lavoro e tanta responsabilità quando è il momento di agire. Però è anche ciò che ti consente di raddrizzare situazioni di ingiustizia e, in fondo, di dare un senso migliore alla tua vita.

Roberto, con la tua organizzazione siete presenti in molteplici iniziative per la tutela dei diritti. A mio modo di vedere voi notate tutti i dettagli della realtà che vi circonda. Un vantaggio o una maledizione?

A volte mi chiedo, quando sono dentro un’azione civile: “Ma chi me l’ha fatto fare?”. La risposta, però, è sempre la stessa: non potrei fare altrimenti. Accorgersi di una realtà negativa che si sviluppa come una muffa è un vantaggio, perché ti permette di anticipare i problemi e di smascherare le ipocrisie, ma è anche una condanna, perché non puoi più far finta di niente. Una volta che hai visto, non è più possibile smettere di guardare. E, come sappiamo bene entrambi dopo tante battaglie, è meglio vivere con gli occhi aperti sul mondo piuttosto che restare prigionieri di una bugia o dell’inazione, spesso frutto della paura di esporsi.

Ultimamente questo Paese è un amplificatore di tutte le emozioni, positive o negative che siano. Non passa giorno che qualcosa di strano accade: malasanità, disinformazione, cattiva istruzione, scandali nelle amministrazioni, giustizia che non funziona. Se mi passi il termine: proprio un bel casino…

È proprio così. l’Italia oggi è un amplificatore di emotività, spesso incontrollata. La rabbia, la paura, la frustrazione diventano strumenti di consenso, e la verità si perde in un rumore di fondo in cui tutto diventa indistinto. È il trionfo della confusione organizzata, dove la disinformazione sostituisce il pensiero e la velocità prevale sulla comprensione. Ma dietro questa groviglio politico, sociale e mediatico c’è una realtà più profonda, un Paese che non ha ancora imparato a fare i conti con la propria coscienza civile. Noi italiani siamo capaci di grandi gesti di solidarietà e, nello stesso tempo, di una rassegnazione che ha radici storiche profonde. Per questo serve una rivoluzione lenta, ma radicale, in cui si educhino di nuovo le persone alla verità, alla memoria, al dubbio, alla bellezza del pensiero critico. Non serve un’ideologia, ma una coscienza collettiva che rimetta al centro l’essere umano e la sua responsabilità verso gli altri e verso il pianeta. Se un giorno torneremo a sentire e agire con il cuore e la ragione in simbiosi, allora anche questo caos potrà trasformarsi in un terreno fertile per una nuova consapevolezza civile.

Prossima battaglia?

In tribunale, il 22 dicembre — tre giorni prima di Natale — continueremo a impegnarci non solo per noi, ma per fare un regalo a Pesaro e alla società civile nel suo complesso: affermare il diritto di espressione e di partecipazione pubblica, a tutela non solo nostra, ma anche di tutti gli altri difensori dei diritti umani e dell’ambiente. Quelli di oggi e quelli di domani. Sul piano civile, porteremo avanti la richiesta all’Unione Europea di rendere il principio di precauzione finalmente concreto, con norme chiare e scientificamente verificabili che proteggano davvero la salute delle persone. Poi ci sono altre sfide: un protocollo europeo che renda veloce ed efficace il soccorso in mare di chi fugge da crisi umanitarie, in cerca di un approdo sicuro, fino ad azzerare il tragico tre per cento di mortalità tra i migranti. Quindi la tutela delle persone LGBTQI+, che vivono ancora, in quasi tutte le nazioni, in condizioni di emarginazione o di persecuzione. In sostanza, le battaglie riguardano la difesa dei più vulnerabili, in un mondo dove l’avidità industriale, la cattiva politica e l’odio continuano a compromettere ciò che di più prezioso abbiamo: la serenità, la salute, l’ambiente che ci circonda, la libertà e la vita stessa.