
Pamela, bolognese doc, le piace girovagare per l’Italia a bordo della sua auto percorrendo chilometri da nord a sud. Pamela è una esploratrice urbana. La sua passione consiste nel fotografare luoghi abbandonati coperti da polvere e rovine; a volte sono vere e proprie opere d’arte, luoghi storici, antiche dimore, castelli, ville, chiese, manicomi, discoteche, tesori nascosti che ormai non sono più visibili perché inghiottiti dalla natura che si è riappropriata di ogni spazio.
Qui i proprietari sono divenuti l’oblio e il silenzio, quest’ultimo interrotto solo dal mio passaggio. “Fotografandoli ho l’illusione di dare loro una seconda vita, la possibilità di essere ricordati, o chissà, di arrivare a qualcuno interessato a recuperarli. Ogni ingresso è come un portale, un viaggio in una dimensione parallela nella quale ho la presunzione di giocare con le lancette di un orologio o di divertirmi a capovolgere una clessidra, perdendomi tra il fluire della sua polvere finissima tra un capo e l’altro. Ho dato un’interpretazione del tutto personale all’esplorazione urbana, un accostamento probabilmente azzardato a una delle tre divinità dell’induismo, Shiva, figura ambigua e distruttore per antonomasia: “la distruzione è la via per la trasformazione” scrisse Elizabeth Gilbert. Come il percorso di vita di ogni essere umano attraversa l’invulnerabilità della giovinezza per poi cadere e rialzarsi sotto il peso dell’esperienza, così accade a queste rovine che appena erette respirano la vita di chi le abita, per poi precipitare nella decadenza dell’abbandono. E’ così che appaiono ai nostri occhi, fotografandole rendiamo la loro sgraziata e fragile bellezza immortale”.
Ha raccolto alcuni scatti nel suo primo libro intitolato Viaggio nel cuore di un urbexer e in un secondo Tra le rovine ritratti dal passato. Ha avuto modo di poter esporre i miei scatti fotografici in alcuni luoghi a me cari, al Castello di Vettigné, al Castello di Rovasenda e al Castello di Lenta.
La vita creativa di Fighter_urbex può essere sintetizzata in un’immagine: il viaggio tra gli oggetti gettati via. Quanto sono forti le tue spalle? Hai mai avuto paura del giudizio degli altri?
No, non ho mai avuto paura del giudizio degli altri, piuttosto del mio, Pretendo sempre molto da me stessa e forse sono troppo critica alla ricerca continua di migliorare. Ho fatto scelte nella mia vita molto importanti e non da tutti, per le quali mi sono dovuta perdonare e riscoprirmi. Ciascuno di noi ha avuto un proprio percorso di vita, esperienze, lezioni, cadute, rinascite. Ho trovato rifugio in questi luoghi. Immersa in una realtà incredibile, nella quale la mente cessa il suo continuo movimento e io rimango lì a guardare qualcosa, a osservare, ad ascoltare quel qualcosa che dentro al mio mondo interiore riesce a darmi una strana gioia, una strana calma, in cui nulla succede, in un momento che sa di eterno. L’impulso che mi muove ad esplorare, fotografare questi luoghi, romanticismo, seduzione, amore, la capacità di trovare la bellezza nell’imperfezione e in questo modo accetto la mia. Mi piace sognarli rivissuti da chi se ne possa prendere cura, amarli, ridargli un’altra possibilità, che tutto e tutti meriterebbero avere nella vita.
E’ proprio questo il punto, la mia consapevolezza di essere umana e imperfetta e va bene così. Ognuno di noi sviluppa un’idea di te, un’immagine, ma nessuno ti vede mai davvero e tu non sai quello che che gli altri vedono, siamo oltre l’immagine di ciò che viene percepito, intuito…
Ho spalle forti, ma ho il difetto di essere una persona vera, autentica, che non recita. Ho scoperto che mi sembra di vivere in un mondo che preferisce la superficialità, “l’omologazione” solo perché è più facile da gestire, in un tempo che non sa ancora bene come ospitarmi, nel quale la sensibilità può essere vista come una colpa e la profondità può far paura.
Ecco la differenza tra me e queste rovine, nonostante tutto ho l’opportunità di poter rinascere dalle macerie, ritrovare la forza per rialzarmi dalle cadute.
La tua creatività ha dato nuova vita a oggetti che rischiavano di finire in discarica. Come è nata questa passione?
E’ nata per caso e durante l’estate di tre anni fa. Dopo avere fatto tappa alla Venaria Reale e Villa della Regina, alla ricerca di altre dimore storiche con Google giunsi al castello della droga (ai luoghi viene dato uno pseudonimo per proteggerli dal vandalismo). Fu la mia prima esperienza, un castello abbandonato non più arredato, di 156 stanze tutte completamente affrescate. Cominciai poi a documentarmi, tra blog, video Youtube e profili Instagram di altri esploratori, per comprendere le dinamiche urbex e trovare altre mete.
L’urbex è l’esplorazione di edifici abbandonati, pericolanti e spesso a rischio di crollo, nei quali il pavimento potrebbe cedere sotto i piedi e il soffitto sbriciolarsi sulla testa, dove la natura riprende possesso dei propri spazi. Veri e propri tesori nascosti sotto la polvere. Un Cocktail di 5 ingredienti adrenalina, curiosità e amore per l’arte, la storia e la fotografia.
Parli attraverso gli oggetti di tante cose attuali: il potere femminile, l’ecologia, la bellezza, il territorio. C’è una missione in fondo alla tua arte? Quali sono stati i momenti più importanti di questa esperienza? E’ vero che un fotografo mostra la realtà che lui vede nella sua anima?
Sono edifici abbandonati a sé stessi, all’incuria e, purtroppo al vandalismo, spesso risucchiati dalla natura che si riprende i propri spazi. Nel fotografarli e condividere gli scatti è come dare una seconda vita a questi luoghi, è riscattarli dalla polvere, continuare a parlare di loro e a volte un modo per “denunciare” situazioni di degrado. Le fotografie vengono condivise sui socials, Instagram e Facebook e questo è il modo per noi urbexer di non lasciarli nell’ombra. Fotografarli è creare un ricordo, l’illusione oggi di un per sempre nel passato. Ogni sensazione all’interno di questi luoghi viene amplificata. Ogni mio scatto è carico del mio io, del mio essere, del mio mondo interiore e non sempre di facile lettura, pochi hanno la capacità di andare oltre e resta sempre un alone di mistero. Solo un occhio attento può riuscire a leggere tra il gioco di luci e ombre e l’esasperazione dei contrasti e dei colori di ciò che provo in quel momento. Le mie fotografie? Un mix di immagini viste, libri letti, la musica ascoltata, emozioni e soprattutto… amore.
Mi pare di capire che una parte importante della tua vita d’artista scaturisce dalla voglia di raccontare un’esperienza, una storia, un’emozione. Quali sono le storie più importanti che hai sentito legate alla tua arte?
Fotografo ed entro in luoghi in cui spesso hanno transitato personaggi storici e importanti per il nostro paese, nomi illustri come Camillo Benso Conte di Cavour oppure Giuseppe Verdi e altri ancora. Ma le fotografie non ritraggono solo soggetti o situazioni, dettagli o eventi, tramite i miei scatti io racconto me stessa, le mie cadute, le mie trasformazioni, i miei amori e le emozioni e non solo di quell’istante, ma di tutto ciò che c’è dentro di me.
Se i tuoi scatti fossero versi in quale poeta o scrittore ti rivedi?
Sono due, eccoli.
“la distruzione è la via per la trasformazione” Mangia, prega e ama – Elizabeth Gilbert.
“C’è stato un momento in cui mi sono persa.
Ho perso tutto quello che avevo attaccato alla schiena,
i vecchi paradigmi, forme, maschere, vergogna, senso di colpa, costumi e le regole.
Ho perso ore e orologio, calendario e aspettative, le speranze e le certezze.
Ho perso tutto ciò che era, tutte le inutili attese, tutto quello che avevo cercato e tutto quello per cui avevo camminato e tutto ciò che è avevo lasciato sul ciglio della strada.
E così, nel perdere tutto, ho anche perso la paura, la paura di infrangere le regole e le autocritiche feroci, la paura della morte e la paura della vita, la paura di perdersi, e la paura di perdere
E completamente nuda, priva della vecchia pelle, ho trovato un cuore che vibra dentro ogni poro del mio essere, un profondo tamburo fatto di argilla, stelle e radici il suo eco dentro di me è la voce della Vecchia Donna, fu allora che ricordai battito dopo battito,
che ero viva, eternamente viva, che ero libera, coraggiosamente LIBERA”.
C’è stato un momento di Ada Luz Márquez – Hermana Águila
C’è un legame magico tra corpi, bellezza e degrado nel set fotografico?
Le mie fotografie sono principalmente senza soggetti, perché il rischio è che ne diventino i protagonisti e l’attenzione dell’osservatore si sposta sulla figura e non più sul luogo. Ciò non toglie che sono sempre alla ricerca di sperimentare, mettermi alla prova per nuovi progetti, volti a trovare nuove ispirazioni.
Certamente come ogni artista mi piace dare un tocco, un significato personale a ogni scatto.
Mi capita di inserire figure femminili e tramite l’interpretazione, l’espressività, la linearità e la delicatezza dei corpi, la sensualità (il non volgare) trovo un modo per caricare ulteriormente di emozioni i miei scatti.
Un ulteriore mezzo per raccontare me stessa, in quel momento, il mio stato d’animo di quell’istante… e tutto è arte…
Un tormentone che ti fa venire il nervoso?
Dance Monkey, un tormentone che ancora oggi fatico ad ascoltare.
Nel frattempo nelle città aumentano le “food forest”, progettate per coltivare frutta, verdure ed erbe aromatiche… Il tempo, lo spazio, una giusta retribuzione, il benessere, il rispetto per l’ambiente: direi che hai rivoluzionato il concetto di fotografia. Quanto è stato importante per te mettere al primo posto i valori?
Sia come donna che come mamma ci tengo crescere mio figlio a trasmettere i valori che mi hanno trasferito i miei genitori. Amore, sensibilità e rispetto a 360 gradi…
L’educazione e l’istruzione di pari passo.
Proteggere i valori deve essere un “lavoro” continuo per noi stessi e la comunità in cui viviamo, ma purtroppo non è così…
Come ti posizioni in questa epoca manichea, divisa tra buonismo e cattiveria?
Purtroppo, come già espresso sopra, mi sento un po’ contro-tempo. Superficialità travestita da leggerezza, libertà travestita da fuga e guerre.
Fatti non foste a viver come bruti… a chi lo vorresti ricordare?
E’ un’esortazione pronunciata da Ulisse nel Canto dell’Inferno di Dante a non arrendersi alla pigrizia o alla paura, ma a usare la propria ragione per esplorare l’ignoto e crescere attraverso la virtù (la forza morale) e la conoscenza (la scienza e l’apprendimento).
Lo vorrei ricordare a Chi si sente oppresso, come simbolo di resistenza alla reclusione e all’annientamento dell’individuo, un modo per affermare la propria umanità e libertà di pensiero anche in condizioni difficili.
E in quanto mamma agli studenti e ai giovani come incoraggiamento a non fermarsi ai propri limiti, a studiare e a mettersi in gioco per realizzare il proprio potenziale per un futuro.