OTTO MARZO: LA STORIA DI GIULIA COME ESEMPIO DI RISCATTO ED EMANCIPAZIONE

Quando si dice che le donne vengono discriminate sul lavoro, molti uomini fingono indignazione, ma dentro di loro pensano che non sia vero, che ormai sono solo luoghi comuni, salvo poi scoprire che è purtroppo tutto vero. Ecco perché oggi vogliamo raccontare la storia di Giulia, una che non si dà mai per vinta e continua a credere che tutto si può realizzare, basta volerlo. Giulia Melissari in un territorio profondamente segnato da disuguaglianza sociale, violenza e discriminazione di genere, ha trovato nella terra che ama la sua arma di riscatto, la sua emancipazione. 

Giulia stiamo vivendo la fase della fragilità assoluta. Dove tutto è labile, in bilico, fortemente minacciato. In questo momento, allora, forse possiamo specchiarci negli altri, nelle persone più fragili, perché in qualche modo è come se riconoscessimo anche noi la nostra fragilità. Dal tuo osservatorio come interpreti la cronaca quotidiana?

Venendo personalmente dal mondo del volontariato e lavorando nel mondo del terzo settore, tutto ciò che hai scritto lo rivedo giornalmente in ciò che faccio. Dedicarsi agli altri, in qualche modo fa ritrovare se stessi ed è spesso proprio la prima cosa che cerchiamo di trasmettere quando incontriamo i ragazzi e le ragazze per farli avvicinare e farli conoscere il mondo delle fragilità e delle povertà nella loro totalità. Gli ultimi anni che abbiamo vissuto sono stati complicati e difficili per tutti e tutte, ci siamo ritrovati a convivere in una solitudine “forzata” in una società e in un mondo sempre più liquido, come descrisse bene Bauman, da tutto e troppo a niente, dall’essere profondamente individualisti a iniziare a pensare all’altro. Inizialmente si diceva che la pandemia ci avrebbe fatto diventare migliori, onestamente non saprei, bisogna fare una riflessione più ampia.

 

Al Sud, nella tua Calabria, nella mia Sicilia tutto ciò che prima ci sembrava importante adesso non lo è più: l’arroganza, il disprezzo degli altri, la ricerca della ricchezza… Tutto questo è come se ora si fosse sgretolato. Da dove bisogna ripartire per risanare ferite e dolori?

Io ho deciso di rimanere in Calabria, ho studiato e lavoro qui per scelta. I miei coetanei ma anche i più giovani hanno voglia di cambiare le cose, ma purtroppo non si ritrovano gli strumenti, le istituzioni sono troppo distanti e la via più facile, dunque, diventa quella di “scappare perché qui non c’è nenti”. Lo storytelling di noi adulti, boomer e millennials, è questo ed è questo quello che trasmettiamo alle future generazioni, sbagliando perché le nostre terre, devono ripartire proprio da loro. Invece, viviamo questa rassegnazione perpetua senza capire che le cose belle esistono, vanno conosciute, generare una comunità positiva mettendo da parte arroganza, disprezzo e ricerca continua di una ricchezza che qui esiste, c’è bisogno di mettersi in gioco con un po’ più di fatica ma, citando Vito Teti, Partire e restare sono i due poli della storia dell’umanità. Al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e di se stessi. Restanza significa sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente.”

 

Spesso ho l’impressione che la nostra società ha il compito di disimparare quello che le è stato insegnato per decenni nelle scuole. Come siamo messi a istruzione, senso civico e storia?

Come dicevo prima tutto sta in ciò che trasmettiamo, nelle scuole si sta facendo un gran lavoro di educazione civica, lo vedo con i miei occhi, ascoltando e incontrando le nuove generazioni. Hanno un gran senso civico. I ragazzi e le ragazze della “gen Z”, hanno a cuore l’ambiente, la sostenibilità, un lavoro che si sta facendo con grande continuità. Quello che sicuramente bisognerebbe trasmettere loro, come dicevo prima, il far conoscere ciò che c’è di bello nella nostra Calabria, come in Sicilia, farli “evadere” dalle classi, ascoltare testimonianze e portarli in luoghi positivi, dove possono ascoltare e vedere con i loro occhi storie di concrete, storie di vita. Bisogna trasmettere loro l’impegno, la lotta alla criminalità organizzata, cambiare la storytelling anche con un utilizzo consapevole dei social da loro tanto amati. Il lavoro è ampio e bisogna far capire che la scuola più è aperta verso il territorio e alle realtà associative, maggiore è il risultato e l’impatto per i nostri ragazzi e ragazze.

 

Al di là della retorica com’è stato crescere nella tua terra spesso salita alla ribalta per fatti di criminalità molto gravi? Esiste la cultura della legalità tra i giovani o si fa il tifo per i cattivi?

Io sono una persona privilegiata, vengo da una famiglia dove mi sono stati trasmessi sin da subito i valori che cerco di trasmettere ogni giorno, i miei genitori non mi hanno mai raccontato una Calabria distrutta e da distruggere, una Calabria dove tanto c’è solo la ‘ndrangheta, anzi, mi hanno trasmesso in qualche modo la voglia di voler vedere cambiare le cose. La cultura della legalità esiste tra i giovani, nelle scuole se ne parla tanto attraverso le testimonianze, incontri, convegni, ma vi sono molte zone e territori nella nostra terra dove tutto ciò difficilmente avviene ed ancora oggi, snocciolare, parlare di certe tematiche si fa ancora molta fatica e per questo che ci tengo a ribadire l’importanza di attrezzare le scuole per renderle aperte al territorio il più possibile. In molti luoghi la scuola aperta dalla mattina fino al pomeriggio può essere una grande salvezza per i nostri ragazzi e ragazze. Don Italo Calabrò (fondatore del Centro Comunitario Agape) diceva sempre ai giovani che incontrava nel suo cammino “Nella vita si possono delegare tante cose – diceva – una sola cosa non si può delegare: il vivere. Nessuno può dire ad un altro tu vivi al posto mio!”  ridare, dunque, loro,  la convinzione di avere il potere, la forza e la responsabilità di cambiare la società, impegnandosi “senza mai delegare”, per far capire che è importante oggi soprattutto tornare alla Costituzione, rileggerla e riscoprirla, perché bisogna essere coscienti, tutti, soprattutto in un momento difficile come questo, dove la responsabilità è collettiva.

 

Hai mai dovuto lottare per imporre i tuoi diritti, le tue passioni, per realizzare quel sogno nel cassetto, vincendo le resistenze di chi diceva che era impossibile?

Ho dedicato parte della mia gioventù allo sport, giocavo a basket e sono riuscita ad avere delle grandi soddisfazioni personali e anche per il mio territorio stesso, ho viaggiato, ho conosciuto tante persone provenienti da tutto il mondo e tutto ciò mi ha portato in qualche modo ad essere la persona che sono oggi. Lo sport ti cambia, in meglio. Allo stesso tempo, non ti nego che ho vissuto diverse delusioni, ho pensato più volte “e se fossi nata in Veneto, o se fossi andata via prima quando ci fu l’occasione, forse sarei arrivata ancora più in alto?” ma con il senno di poi ti dico che sono felice, che è stata una grande parentesi della mia vita dove ho conosciuto persone meravigliose ed emozioni che solo lo sport ti sa donare. Per il resto, per quanto riguarda la mia vita di adesso, ho tanti sogni nel cassetto, la cosa più bella per un adulto è continuare a sognare perché altrimenti poi come facciamo a trasmettere alle future generazioni il positivo e la voglia di cambiare le cose, se siamo i primi senza sogni?

E’ di questi giorni la tragedia di Cutro: qualcuno l’ha paragonata a una sorta di Odissea: metafora del viaggio umano, del cammino esistenziale nella sofferenza e nelle difficoltà. Chi ha paura dei migranti? Chi non vuole che la generosità vinca sull’egoismo?

Ecco il lato positivo della nostra terra: siamo una terra che accoglie, senza mai lamentarsi. E’ da anni oramai che vedo attivarci tutti e tutte, senza pensarci, noi calabresi siamo anche questo, siamo persone che si dedicano agli altri in silenzio e lo facciamo senza avere nulla in cambio, perché siamo un territorio di migrazioni da sempre nella storia lo abbiamo nel DNA. Sappiamo come aiutare noi e gli altri. Credo che nessuno abbia paura dei migranti, è come si racconta di questo fenomeno, la strumentalizzazione che si fa e le poche soluzioni che si danno che fa arrabbiare. Da tutte le correnti politiche e governi che si sono susseguiti, nessuno escluso.  Appena abbiamo saputo dello scoppio della guerra in Ucraina, tutto il Paese si è mosso senza problemi ad accogliere e ad aiutare le persone in pericolo, dobbiamo capire che anche i migranti provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan ecc.. sono PERSONE che stanno scappando altrettanto da guerre e persecuzioni. L’Italia sicuramente non può farcela da sola, ci vuole un Europa unita e presente che faccia in modo che queste morti in mare finiscano. Vi sono state diverse proposte l’iniziativa popolare “Ero straniero” ne è un esempio che si è lasciato morire. Rivedere il Trattato di Dublino e tante altre proposte che purtroppo rimangono solo discorsi politici senza un minimo di concretezza.

Davvero è solo colpa di chi genera odio nel governo Meloni? Non è che gli altri governi si siano distinti per generosità e accoglienza… Ce la faremo prima o poi o non ce la faremo mai?

Come dicevo sopra, per il momento poca concretezza da tutti i governi che si sono susseguiti, numeri e slogan sono stati i soli protagonisti, mentre le persone continuavano a morire nel nostro mare.

Chi racconta le storie, i viaggi esistenziali, li prende su di sé, li fa propri. Perché certe vicende ti segnano, ti restano incise nella pelle. Capita anche a te?

Mi capita tutti i giorni, quando ascolto storie, testimonianze, quando ascolto i ragazzi e le ragazze a scuola. Ogni racconto, ogni situazione per me rimane incisa, mi colpisce, mi fa riflettere e penso che sia qualcosa di positivo perché tiene sempre attiva e viva la mia empatia.

Perché la lealtà è merce rara di questi tempi? 

La lealtà è una virtù, in un mondo che ci porta sempre più all’individualismo è difficile già affidarsi all’altro, figuriamoci essere leali. Penso che al mondo oggi abbiamo bisogno di costruire attorno a noi rapporti puri, dove la lealtà va coltivata, annaffiata, senza farla mai appassire.

Cosa ti rende felice?

Scontato se rispondo le piccole cose? i piccoli gesti spontanei, l’aver fatto qualcosa di buono durante la giornatA.

Che cosa ti fa innamorare?

La vita, gli altri, l’ascolto.

Quale saggezza ci serve per vivere il presente?

Non penso di essere ancora all’altezza da poter dare consigli sulla saggezza, ma penso che – come mi hanno insegnato-  vivere ed esserci per gli altri, per gli ultimi, non lasciando nessuno escluso (cit. Don Italo Calabrò) possa in qualche modo far scoprire noi stessi, il mondo che ci circonda e soprattutto scoprire l’EMPATIA.

 

Love, love, love, è il ritornello di All you need is love dei Beatles: la musica ideale per chiudere questa nostra intervista. Tu sembri una ragazza di quegli anni… Perfetta