Jana Cardinale: il mondo è pieno di ‘invisibili’, per destino o per scelta degli altri

Il giornalismo ci rende liberi? L’informazione ci rivela la verità dei fatti? E le persone quanto credono a ciò che leggono o vedono nei blog o in televisione? Domande complesse che richiederebbero un intero libro per rispondere e che, a sua volta, darebbe vita a nuove domande e suggestioni del tipo: il giornalismo sopravviverà al passaggio dall’era della comunicazione all’era della conversazione? D’accordo sono argomenti complicati problemi difficili da risolvere.

Per fortuna internet è una grande opportunità per il giornalismo, purché i giornalisti non restino trincerati come giapponesi nella giungla. Ed ecco che in nostro aiuto arriva la collega siciliana Jana Cardinale – non sono ammesse speculazioni di sorta – perché per raccontare la crisi dell’informazione, della politica, delle emozioni e della nostra Sicilia conviene osservare ciò che accade dal punto di vista di una donna che ne ha visto di cose accadere attorno a lei e non si è mai arresa: a cominciare dalle paghe eque, libertà di scelta, lotta al cliché.

Con tanto di incoraggiamento per chi lotta per la sopravvivenza nell’indifferenza generale: umana, burocratica e quotidiana. Accipicchia, quante altre domande alle quali rispondere:  quanto è importante per un giornalista vedere ciò che accade attorno a lui mentre gira nei palazzi o tra i mercanti nel tempio? Quanto importante è non essere “invisibili” agli altri?

Vuoi vedere che forse alla parola “informazione” dovremmo dare una ripulita e poi rimetterla al posto giusto? 

Jana Cardinale come si vive da giornalista precaria in Sicilia?

Con tanto amore. Per la professione che si è scelta, nella terra che non si è mai voluta lasciare. Con qualche preoccupazione ciclica, e ricorrente, per una stabilità quasi impossibile, per definizione, in quest’ambito lavorativo, e con una passione che è sempre mista al sentimento del ‘ricominciare’, ai nuovi, necessari, inizi. Il giornalismo da precari in Sicilia è – come la Sicilia stessa – terribile e meraviglioso. Ammaliante e conturbante.

Uscire dalla comfort zone è qualcosa a cui ti sei dovuta abituare, immagino, visto il modo in cui si deve lavorare da queste parti…

In realtà la comfort zone va a coincidere, per un meccanismo che è anche difficile spiegare, con la stessa dimensione del lavoro. Alla fine ci si ritrova in certi ritmi, ci si identifica con la routinizzazione dell’imprevisto, ci si adatta, pur stancandosi moltissimo, e si assorbe la modalità in cui la professione viene svolta. Fare più cose insieme, anche con sfumature diverse – e mi riferisco alla tv, agli uffici stampa, alle presentazioni di libri e/o eventi ecc… – diventa un mood familiare, da cui è complicato venire fuori. Questo nostro lavoro a volte crea assuefazione, per necessità e scelta pervicace, e finisce con il rappresentare l’unica strada possibile.

Per lavorare occorre la tessera di un partito, la faccia tosta, o la classica botta di c…?

Onestamente, nel mio caso, nulla di tutto questo. Sin da bambina era quello che volevo fare… Certamente non con le incertezze e le mancate tutele che tutti conosciamo, ma sicuramente con la dedizione e la perseveranza che mi hanno portato poi a farlo in modo continuativo ed esclusivo per, ormai, quasi trent’anni. Non ho mai associato questa professione a dei riferimenti politici – e quelli miei personali che mi accompagnano da sempre e senza oscillazioni, casomai, mi hanno rafforzata sul versante dell’impegno da profondere, e dei valori che, in genere, nella vita valgono e dovrebbero valere per qualsiasi ambito  – né a una ‘sfacciataggine’ che può aiutare a cogliere l’attimo per sfruttare la circostanza. Da quando ho iniziato, davvero, mi hanno accompagnata solo la convinzione, il senso del dovere e anche un po’ del sacrificio, il piacere della scrittura, arma catartica per eccellenza e grandissima forza consolatoria, e la fiducia accordatami dai vari ‘committenti’. Il contesto resta difficile, ma tutto sommato si resta solo dove tutto è reciproco e si resiste per ciò che si ama davvero.

A cosa sei disposta a rinunciare pur di avere un contratto fisso?

Non è mai stato il cruccio della mia vita lavorativa, al punto che, infatti, non l’ho mai avuto. Non credo che i diritti e le rinunce, a priori, come condizione, possano camminare di pari passo. L’unica cosa a cui potrei ‘rinunciare’ per un contratto fisso sono gli orari ‘sballati’ che contraddistinguono adesso le mie giornate fatte di molte cose insieme, che tutti i precari devono conservare e mantenere per non indietreggiare. Prima o poi la stanchezza, soprattutto mentale, avrà il sopravvento, ma fino ad allora spero, mi fortificherò nelle esperienze e nella formazione, e andrò avanti.

Quali sono, secondo te, oggi le maggiori criticità per chi vuole intraprendere la professione?

Credo proprio la mancata sicurezza economica, le mancate tutele e la mancanza di punti di riferimento. Culturali, politici… Mi ritengo tutto sommato fortunata ad aver iniziato quasi trent’anni fa e aver potuto leggere libri importanti, incontrare autori, partecipare a congressi politici in cui gli ideali e le battaglie per i diritti dei singoli e per la società intera erano l’asse portante di un’attività che ha lasciato il segno. Non so oggi, dovendo iniziare, quali programmi potrei ascoltare alla radio, in chi potrei ‘rifugiarmi’ per assimilare un metodo, in che direzione potrei osservare. Ma forse è solo una mia distrazione. 

La libertà in una parola?

In una parola è difficile. So che la libertà va condivisa, e per farlo bisogna associarla ai diritti. La libertà è responsabilità, è impegno, è coraggio. E’ tutto fuorché bisogno individuale. La libertà sta anche nella speranza, e nei sogni. Quelli, davvero, nessuno può toglierceli.

Anche quando le idee sono diverse, ci dovrebbe essere un fondo comune di umanità: perché tutto questo odio nei dibattiti televisivi? Solo ricerca dell’audience perduta?

I dibattiti televisivi sono quasi un ossimoro ormai. Chi ascolta chi? E di fronte a quale pubblico? L’umanità, la misericordia, la tolleranza e la nonviolenza sono condizioni irrinunciabili per una vita degna di essere definita tale, che sia privata, da cittadini, che sia politica, da rappresentante delle istituzioni. L’odio è frutto di un substrato culturale che si nutre di povertà ideologica, che non riconosce il valore degli altri, delle loro idee e dei loro diritti, soprattutto. E’ l’antitesi della conoscenza, purtroppo, che infonde sentimenti di insicurezza, generando rabbia e anche talvolta invidia sociale, e toglie potere alle parole, che dovrebbero sempre essere ponti.

Papa Francesco ha detto: “Essere voce della coscienza di un giornalismo capace di distinguere il bene dal male, le scelte umane da quelle disumane…”

Purtroppo lo dice inascoltato. Devo dire che non sono tra chi vede il bene solo da una parte e il male solo dall’altra perché credo molto nella fragilità che accomunano tutti gli uomini e tutte le donne. Però ritengo in assoluto il sentimento di umanità l’unico modo e l’unica possibilità di stare al mondo. Chi pronuncia parole disumane, chi attua politiche disumane, chi crea slogan disumani o, per inerzia o opportunismo li cavalca, si macchia di un grave crimine.

Nell’era del web il compito del giornalista è identificare le fonti credibili, contestualizzarle, interpretarle e gerarchizzarle… Tu come ti comporti?

La verifica è una regola che non ha tempo, e anche nell’era del web resta la via maestra. Purtroppo in questo mondo in cui si affastellano le notizie, che corrono con la velocità delle fake news, è più complicato operare senza margine di errore. Ascoltare le persone resta una buona ricetta.

La cultura, i libri, le storie sono il tuo pane quotidiano: chi sono i tuoi complici?

E’ vero. Vivo di storie, che mi piace andare a cercare e che ogni tanto incontro casualmente. La cultura, i libri, gli autori, mi danno da sognare, e per una contemplativa come me è una grande difesa dal lato oscuro della vita. Ho un debole per le good news e mi piace anche raccontare i buoni esempi, quello che funziona, perché il mondo è pieno di verità importanti che spesso non vengono viste e che, secondo le regole del giornalismo, cedono sempre il posto ai fatti cruenti. Ho trovato un grande sostegno, e grande complicità, appunto, in persone che, come me, credono nella condivisione di questi momenti, come opportunità di crescita individuale e collettiva. Ho diverse persone da ringraziare, che sono anche inevitabilmente degli amici: librai, assessori, dirigenti scolastici, sindaci. Tutta gente che dà il proprio contributo fondamentale affinché questo comparto non si fermi. E gli autori, chi sa raccontare, chi ha sempre e ancora voglia di dire la sua e testimoniare.

Non passa giorno che non partecipi alla presentazione di eventi, libri, o dibattitti. Come riesci a tenerti aggiornata e soprattutto a leggere tutte quei racconti?

Ho acquisito dei ritmi molto veloci e spesso mi chiedo anche io come possa essere riuscita a battere il record appena conquistato… Dando questa risposta sorrido, perché è vero che a volte mi imbatto in delle maratone letterarie e devo dire che l’ansia da prestazione o il timore di essere carenti sono costanti, come costante però è la voglia di far bene e di immergermi nelle storie e nelle cose. L’allenamento aiuta molto, e anche un po’ l’esperienza. Ma non si smette mai di imparare.

Guardando fuori dalla finestra riesci a scorgere gli “invisibili” che popolano le strade?

Sì. E mi ci sento, tanto quanto loro. Credo e, paradossalmente, spero che tutti possiamo avere la consapevolezza di esserlo, accorgendoci al contempo di aver avuto, quasi sempre immeritatamente, un po’ di fortuna in più, e alla luce di questo provare a fare qualcosa. Ciascuno come può, nel nostro piccolo e con i nostri limiti, mettendo a disposizione il nostro tempo e le nostre energie. Il mondo è pieno di ‘invisibili’, per destino o per scelta degli altri. E tra questi altri ci siamo sempre anche noi.

Spesso sentiamo parlare dell’identità – territoriale, sessuale, etica, religiosa… In verità, a noi pare un gioco per confondere chi ascolta quando si vuole catalogare una idea politica o una persona. Tu che rapporto hai con l’identità siciliana?

Concordo molto con il gioco di cui sopra. Io vivo il senso di appartenenza alla mia terra, alla mia città, alle mie origini. Sono fiera del patrimonio intellettuale dei siciliani, della bellezza dei territori, del mare, dei sapori, e ne sono sempre stata una grande promotrice. Il tutto finisce qui, perché poi l’identità svanisce, e appare l’unica possibile, che è sempre quella umana, che riguarda ogni persona che incontriamo nel nostro cammino, che è come noi, è il nostro specchio. Per me l’identità riguarda le eccellenze che possono far bene a tutti. Nessuno, però, viene prima di nessuno. Questo sia chiaro.

In Italia, abbiamo il mito del modello “società civile”, che consideriamo più attento ai diritti civili. E’ davvero così?

Purtroppo no. Sarebbe bello se così fosse. I diritti civili sono in un angolino un po’ nascosto che una benedetta minoranza di questo Paese non perde d’occhio, e reclama, e rivendica, e protegge. Non smettendo di combattere affinché smettano di essere minacciati. I diritti civili sono una ferita dell’Italia, in modo assoluto. Che un Paese così potenzialmente bello non potrebbe permettersi

Che cosa ti spaventa di più?

La divisione imperfetta del mondo in cui viviamo. Il fatto che ci sia chi in questo momento è indeciso su come trascorrere il week end o tra che vacanze di lusso fare quest’anno e chi lotta per la sopravvivenza nell’indifferenza generale: umana, burocratica, quotidiana. Mi spaventa il razzismo e chi è portatore di idee e linguaggi violenti, che mirano all’emarginazione di alcuni e all’imposizione di modelli autoritari e disumani. Mi spaventa molto il disimpegno e l’insensibilità verso gli ‘ultimi’. E anche l’idea di perdere le persone care, chi amo.

Che fine hanno fatto i tuoi desideri di bambina e che cosa desideri per il futuro?

Sono tutti qui accanto a me, che mi sento sempre un po’ bambina. Per il futuro vorrei, egoisticamente, poter avere accanto il più possibile le persone per me importanti, e la certezza del loro benessere, l’immunità per loro dalla sofferenza.

Che cosa consigli a un rompiscatole come il direttore di IMG Press?

Di restare così come è. Attento alle persone. L’attenzione è una grande forma di rispetto, e certamente anche di amore, di autenticità. E fedele al senso della professione, di cui si ha molto bisogno.

E a te stessa che consigli dai?

Sono “un’incapace” in questo senso.  Vorrei essere meno nostalgica, ma la nostalgia sa far recuperare sogni che rischierebbero di morire per lasciare posto a realtà che non sempre corrispondono al nostro sguardo sulla vita. Vorrei essere meno indecisa, ma l’indecisione è conseguenza di una riflessione costante che, comunque, preferisco all’impulsività di chi tende a ‘consumare’ la vita e a non goderne appieno le sfumature. Forse l’unica possibilità che ho è sulle cose ‘pratiche’. Fare sport e più movimento mi sembra una buona idea da suggerirmi.