Giuseppe Navarra: dietro ogni medico c’è una storia da raccontare. Credere in se stessi, puntare un obiettivo e mettercela tutta per raggiungerlo

Il bello e la tragedia di questa martoriata terra è di rincorrere l’utopia di poter cambiare le cose. Desiderio perennemente frustrato, che però ci consente di riflettere sulla realtà che ci circonda con tutte le ingiustizie del caso. Prendete l’Università di Messina e il suo Policlinico universitario: quasi fosse un luna park dove il pubblico è invitato al tiro al bersaglio del soggetto che è inviso. E non importa se uno è bravo o meno, se ha colpe o meno: il giudizio del capo popolo funziona come un evidenziatore di questa inconfutabile contraddizione mettendo in un terribile e immeritato disagio colui o colei che non era abituato a essere un bersaglio e tantomeno ha pochissima voglia di essere cancellato in anticipo sul regolare ciclo biologico. Battute a parte, passateci il termine, a volte sembra di assistere al gioco della guerra.

Eppure l’Università di Messina non è solo un agglomerato di costruzioni, dipartimenti e biblioteche, disposte in un certo ordine. Non basta: devono esserci servizi, progetti, finanziamenti, centri di ricerca, corsie d’ospedale, in pratica quel che serve a rendere dignitosa la vita dei cittadini. I quali, per essere tali, devono poter esprimere una cultura, un’idea di sé e della loro comunità. Aggiungerei: una rete di legami e relazioni, una fondamentale solidarietà reciproca. E altro ancora.

Ma non basta per escludere che la cultura con la C maiuscola sia fatta solo di muri, mattoni, cemento, ponte tra popoli e per affermare che coloro che la governano debbono essere consapevoli di tutto questo e non possono limitarsi a costruire materialmente. L’Ateneo ha una sua storia, un sentimento del proprio presente e un’idea di futuro. Custodisce tradizioni, sa rinnovarsi. Tuttavia può smarrirsi e attraversare stagioni di declino, che significano uno scadimento della vita dei professori e degli stessi studenti, privati anche inconsapevolmente del pieno statuto di cittadini. Uno dei passaggi maggiormente caratterizzanti la nostra splendida Costituzione è l’articolo 32, che i padri costituenti vollero per tutelare la salute dei più fragili e indifesi. Esso così testualmente recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».

E, non a caso, nella storia che andiamo a raccontare, restano in disparte le persone migliori. Quasi ci si dimentica dei tempi di fervore civile e sociale, si piega verso la rassegnazione. Ma c’è ancora tempo, un po’ di tempo, prima che si disperdano competenze, esperienze, attività tuttora ben vive. Dunque si può fare, associazioni, comunità di giovani non si arrendono. Le parole contano: diciamo spesso “ancora”, ed è tutto detto: mai come in questo momento c’è bisogno di nuovi medici, dare conforto e speranza e ricevere un sorriso. Una professione ambita, ma dura. Chissà cosa sognava quando muoveva i primi passi in ospedale il professore Giuseppe Navarra, Ordinario di Chirurgia Generale.

Professore Navarra, dietro ogni medico c’è una storia da raccontare: le sue origini, la sua famiglia, la scelta universitaria e la vita in ospedale?
Nel mio caso la scelta è stata naturale. Sono cresciuto a pane e chirurgia. Sin da piccolo accompagnavo volentieri mio padre in ospedale e ricordo ancora come fosse ieri, il primo intervento chirurgico visto dall’alto dell’anfiteatro all’ospedale Piemonte. Quindi scelta naturale prima di tutto e quindi anche obbligata in un certo senso…

Il suo è un cognome, per certi versi è ingombrante, sempre sotto esame: tra colleghi invidiosi, adulatori, rivali in ambito universitario che cosa ha significato dover dimostrare sempre di aver meritato quello che come medico ha ottenuto? Che davanti al suo nome ci fosse un condizionale?


Il fatto che nessuno in famiglia abbia mai condizionato la scelta dell’indirizzo professionale ha sicuramente aiutato tutti noi tre figli a decidere del nostro futuro. Credo che questo sia stato determinante nel non farmi avvertire il peso di un padre chirurgo. Relativamente all’invidia, non ci si può mai abituare. E’ un sentimento ignobile, ma umano. L’unico modo per superarlo è affrontare la vita e la professione con gioia e passione. Aiuta molto.

Suo fratello Pietro è stato Rettore dell’Università di Messina, riconosciuto da tutti come un valente economista, oltre che ex membro della Camera dei deputati della Repubblica Italiana. Ma tornato a Messina, ecco scatenarsi un putiferio con il Rettore che l’aveva sostituito, Salvatore Cuzzocrea: guerra che immagino abbia lasciato un segno anche nella sua carriera professionale. Quello che succede dietro, nel retropalco, spesso non è proprio bellissimo: come vanno le cose adesso al Policlinico universitario?
Il clima si è rasserenato, ma le scorie di un clima di tutti contro tutti sono difficili da smaltire. Il Policlinico ha perso in competitività: alcuni colleghi sono andati via e altri non sono arrivati…  Chiaramente è il mio punto di vista, ma basta guardarsi intorno…

La televisione, il cinema ultimamente porta in scena la vita dei medici: guardando dal divano, sembra facile diventare un chirurgo, essere famoso. Perché nella vita reale cambia tutto?
Perché l’evento avverso è sempre frutto di un errore, perché la complicanza non è ammessa e perché non è comprensibile morire dopo un atto medico o un intervento chirurgico… Certo esistono casi di malasanità, ma se il 95% delle cause intentate contro i medici finiscono nel nulla, una ragione ci sarà pure… A questo proposito mi è capitato di confrontarmi con il Consigliere d’Ippolito, presidente della Commissione istituita da Ministro Nordio per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica. Dalle sue parole ho potuto constatare che questa volta il governo e il Parlamento stanno affrontando la questione seriamente e in profondità. Spero quindi che la proposta di legge che verrà fuori, una volta tanto, sia figlia di una mediazione al rialzo e non al ribasso.

Immagino che il rapporto tra un medico e un paziente, che è innanzitutto una relazione tra persone: quello che i pazienti potrebbero e dovrebbero aspettarsi da un medico è l’empatia, la comunicazione, l’attenzione all’osservazione sì dei segni clinici del paziente ma anche del suo stato emotivo, delle sue reazioni. Quanto siamo distanti dalla realtà di una corsia?
A questa domanda rispondo senza generalizzare. Mi ritengo fortunato ad avere un gruppo di donne e uomini che mi collabora come colleghi, infermieri, amministrativi che risponde in gran parte alla descrizione del professionista della salute ideale. Il sorriso deve essere sempre presente sul viso di chiunque si approccia ad un paziente ed ai suoi familiari e la risposta ai bisogni pronta ed efficace.

Valorizziamo vocazioni e merito degli studenti: la riforma che abolisce i test di ingresso per l’accesso alle facoltà di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria, rappresenta davvero un cambiamento? Sarà davvero la strada per rivedere le politiche di accesso ai corsi a numero chiuso con criteri che, come dichiarato dal Ministro, Annamaria Bernini, “valorizzino” vocazioni e merito?
Non sappiamo ancora. Siamo ancora alla prima applicazione. Sembrerebbe che la montagna abbia partorito un topolino, ma sarei felice di sbagliarmi.

Sono dell’idea che c’è sempre una partenza, un ritorno, una terra che si allontana, un molo a cui attraccare. Perché se uno sta fermo, cosa potrà mai scoprire, raccontare, vivere nuove esperienze. Nella sua professione, quale viaggio le piacerebbe intraprendere? 
Sono perfettamente d’accordo. Infatti se si presentasse l’occasione giusta per una nuova sfida, non me la lascerei scappare.

Cosa  insegna la sua storia?
Che la vita è una e va vissuta intensamente. Che bisogna credere in se stessi, avere le idee chiare, puntare un obiettivo e mettercela tutta per raggiungerlo. Nulla è semplice. Anche la meta più banale per essere raggiunta necessita di energia, impegno e conoscenza.