Giovanna Giacomini: Bisogna rimettere al centro la felicità intesa come autodeterminazione, realizzazione di sé e della propria unicità

Giovanna è una imprenditrice nel settore socio-educativo, pedagogista e mamma di Ascanio. Si occupa di educazione da quasi 20 anni portando in Italia i principi del Metodo Danese, la passione per il buddismo e le discipline orientali. Ha fondato un nuovo approccio pedagogico in Italia: *Scuole Felici®️. Il suo obiettivo è diffondere una cultura dell’educazione di alto livello.

«L’educazione è lo strumento per essere felici. Abbiamo bisogno di rimettere al centro il valore della felicità, non in senso assoluto, ma in modo concreto. Per questa ragione

serve un cambiamento sociale che parta dalla prima infanzia. Un approccio che coinvolga la famiglia e che getti le basi per costruire persone resilienti, soddisfatte, motivate».

Giovanna Giacomini

 

Giovanna, sostieni che l’educazione è lo strumento per essere felici. Abbiamo bisogno di rimettere al centro il valore della felicità, non in senso assoluto, ma in modo concreto. Per questa ragione serve un cambiamento sociale che parta dalla prima infanzia. Un approccio che coinvolga la famiglia e che getti le basi per costruire persone resilienti, soddisfatte, motivate. Ci spieghi da dove nasce questa certezza?

Se prendiamo a esempio la recente pandemia ci accorgiamo subito che ha portato con sé molte riflessioni sui comportamenti individuali e sociali e sulle proposte più adeguate all’organizzazione del futuro. In questo momento storico ci siamo resi conto che ci ricordiamo della sicurezza solo quando la perdiamo. In pochi giorni, il nostro mondo, le nostre routine, lo schema di vita che utilizzavamo come riferimento, è parso crollare.

Tutto ciò ci invita a non dimenticare che la vulnerabilità è qualcosa che ci appartiene e a superare la visione del post umanesimo di un essere umano quasi invincibile. L’educazione oggi è centrata su questo modello, un modello in cui la performance dell’eccellenza è al primo posto.

Il problema è che quando qualcosa esce da questo binario predefinito andiamo completamente in tilt e facciamo molta fatica a creare nuove strade. Il nostro adattamento è lento e sofferto. C’è forte bisogno di rimettere al centro la felicità intesa come autodeterminazione, realizzazione di sé e della propria unicità. Ma anche fragilità e vulnerabilità, accettazione dell’errore e cambiamento. Il primo cambiamento parte dall’infanzia e da una cultura dell’educazione che si fondi su questi valori indispensabili per affrontare un futuro sempre più incerto.

Nel libro hai scritto che l’esperienza di Scuole Felici, è una proposta educativa per la fascia 0-6 anni ispirata ai principi pedagogici del cosiddetto metodo danese e alla filosofia hygge… Le differenze tra il nostro metodo e il loro?

I servizi educativi e scolastici in Italia si basano ancora molto spesso su un modello pedagogico di inizio Novecento. L’educazione è centrata sulla cura del bambino visto come un essere fragile e indifeso da tutelare e preservare. La scuola mette al centro una didattica poco esperienziale, la lezione è sempre frontale e l’apprendimento è ancora molto basato sulla ripetizione. Sono ancora troppo pochi gli esempi di servizi educativi e scolastici innovativi. Rappresentano un’eccezione e molto spesso si trovano nel settore privato.  Le differenze tra la nostra cultura ed educazione e quella del Nord Europa sono notevoli. Nel metodo danese la natura è il fulcro di ogni esperienza e di ogni apprendimento. Il bambino è un bambino competente, protagonista delle sue esperienze e del suo apprendimento. L’educazione quindi si basa sulla fiducia. Fiducia da una parte verso le istituzioni educative e scolastiche, dall’altra verso il bambino stesso. Nei paesi del Nord Europa i bambini maneggiano con facilità materiali che per noi sono considerati pericolosi come coltelli, seghetti, martelli, vivono all’aperto 365 giorni all’anno in qualsiasi condizione atmosferica, fanno esperienza del cosiddetto rischio attraverso giochi come le arrampicate sulle corde o accendere fuochi. L’approccio nei confronti dei bambini e ragazzi è aperto e sincero, non ci sono argomenti taboo e si parla di tutto nel modo più adatto.

La solitudine dei docenti e la debole incisività dell’educazione che caratterizzano il nostro tempo, rendono sempre più difficile la difesa di valori e principi fondamentali. Perché non tutti riescono a vedere nella scuola e nell’educazione il loro futuro? Se la famiglia non rispetta l’istituzione scolastica e le sue regole più elementari come può farlo l’alunno?

 Purtroppo, è vero. Ci sono stati diversi esempi negativi che ci portano a pensare ad una crisi dell’istituzione scolastica. Anche nei servizi educativi 0-6 anni qualche volta gli educatori e le educatrici vivono una grande fatica, come risultato di una difficoltà a instaurare una efficace alleanza educativa con la famiglia. Famiglia che spesso mette in discussione l’istituzione stessa, le sue regole, le scelte pedagogiche o organizzative.

Se da una parte infatti i genitori sono maggiormente coinvolti nel processo e nelle scelte per i propri figli, dall’altra qualche volta questo sembra tradursi in un atteggiamento che mette in discussione sempre tutto basato su emozioni centrate sull’individualismo. Molto spesso questo atteggiamento non è altro che una maschera dietro la quale si cela la paura del genitore di perdere il controllo sulla situazione e sui propri figli in un’epoca, come la nostra, dove l’ansia, la preoccupazione, il bisogno di sicurezza hanno preso il sopravvento.

Bisogna credere nella forza dell’educazione, bisogna ricostruire relazioni autentiche, bisogna ripartire dalla fiducia, che è uno dei pilastri, anzi, è il primo pilastro di Scuole Felici. È una sfida necessaria, un grande impegno, per far sì che nella scuola la corresponsabilità possa generare grandi punti di contatto e una fitta rete di legami capaci di diffondere la straordinaria bellezza di un agire educativo autentico.

Se in classe c’è un bullo il problema come si risolve? Fermando il bullo o rinforzando le capacità di resistenza della vittima?

Per far fronte al bullismo è importante promuovere in tutto il gruppo l’educazione alle emozioni in modo costante, non solo quando si presenta il “problema”. In Danimarca per esempio si dedica  almeno un’ora alla settimana all’insegnamento dell’empatia ed all’allenamento dell’intelligenza emotiva. Anche noi a Scuole Felici dedichiamo moltissima attenzione ad esperienze che aiutano i bambini a saper riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri, grazie, per esempio, alla lettura condivisa degli albi illustrati o a esperienze di cura, delle nostre piante, di piccoli animali, di noi stessi, attraverso le “lezioni di contatto”.

Si parte dalla prima infanzia per educare i bambini alla gentilezza. I bambini che imparano ad ascoltare gli altri saranno più aperti, responsabili e sapranno che con la condivisione i problemi possono essere risolti con maggiore facilità.

In quest’epoca la violenza sulle donne compare sempre di più nei notiziari: dal tuo punto di vista è dovuto alla mancanza di regole? All’educazione della famiglia? Alla percezione del corpo femminile nell’immaginario odierno?

Sono molto sensibile al tema della violenza sulle donne. Purtroppo sta diventando un fenomeno sempre più diffuso nell’ambito della famiglia e in tutta la società, per cui è indispensabile affrontare seriamente il problema. La violenza può veramente riguardare tutti noi. È un fenomeno trasversale alle classi sociali e alle culture. Non è sufficiente considerare la violenza contro le donne soltanto un reato da punire con pene anche severe, perché bisogna collocare il fenomeno all’interno di un contesto sociale e culturale per procedere sul piano dell’educazione e sulla costruzione di nuovi modelli culturali. È necessario smontare una serie stereotipi che sono un retaggio del passato: il mito maschilista della virilità, la riduzione della sessualità alla genitalità, che riduce la donna da “soggetto” a “oggetto” sessuale e la progressiva desensibilizzazione rispetto alle scene di violenza. Per questa ragione è importante che i professionisti dell’educazione supportino le famiglie attraverso percorsi di formazione ed è urgente introdurre in modo più efficace l’educazione all’affettività e sessualità in tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Che ne pensi dell’uso dei social da parte dei minori?

Sono preoccupata per l’eccessiva diffusione dei social media, soprattutto tra i più giovani. Sono convinta che la situazione richieda un’attenzione particolare perché un uso non responsabile può creare problemi rilevanti nella vita quotidiana dei ragazzi e delle loro famiglie, sia dal punto di vista della gestione delle emozioni che delle difficoltà relazionali e scolastiche.

Bambini e adolescenti navigano in Internet per lo più da soli, consultando con assiduità i social media. Primi tra tutti, Instagram, Tik-Tok e Youtube. Con inevitabili conseguenze sulla loro vita. Difficoltà di attenzione, disturbi sociali, fino ad arrivare ad una vera e propria depressione da social. Ma anche disturbi alimentari, disturbi del sonno, dipendenza, ansia, problemi legati alla sfera sessuale, problemi comportamentali, distorsione della percezione del proprio corpo, ridotta attività fisica, grooming online, problemi alla vista, cefalea. La rete facilita poi il diffondersi del cyberbullismo, con una crescente divulgazione negli ultimi anni di messaggi ostili ed aggressivi.

Chi ha il compito di educare è in grado di educare prima di tutto sé stesso all’uso responsabile della tecnologia?

 Gli adulti educatori e, in primis, i genitori, purtroppo spesso dimostrano di non avere un corretto rapporto con la tecnologia. Facciamo un esempio molto semplice e molto attuale: l’uso della chat di classe.

Le chat di classe stanno diventando uno strumento davvero pericoloso. La grande illusione è quella di credere che la tecnologia usata in questo modo possa agevolare la comunicazione tra genitori mentre spesso queste chat finiscono per guastare la serenità del gruppo e creare non pochi problemi alla scuola. Più che comunicazione il risultato è una confusione generale. Si creano addirittura delle chat secondarie che escludono questo o quel genitore, con l’intento spesso non proprio bonario. Gli adulti scaricano nei social molte delle loro frustrazioni, possiamo vedere come ci sia un dilagare di un linguaggio pericolosamente ostile. Bisogna potenziare la formazione degli adulti attraverso percorsi di sensibilizzazione e comunicazione non violenta.

Però ci saranno pure cose positive per i giovani, grazie ai social?

I social e internet sono uno strumento davvero potente e potenzialmente molto positivo se integrato in modo consapevole nella nostra vita di tutti i giorni. Grazie a questo strumento, molte persone che sono geograficamente lontane e distanti, riescono a sentirsi più vicine, a comunicare e a “condividere” qualcosa delle reciproche vite. Grazie ai social moltissime materie considerate fino a qualche anno fa difficili e non alla portata di tutti sono state presentante in modo semplice e diretto grazie a video e reel, pensiamo ad esempio alla filosofia, alla fisica, alla matematica. I ragazzi in questo modo non sentono più la didattica come qualcosa di distante dalla propria vita e anche gli educatori e gli insegnanti stanno imparando ad utilizzare ciò che la tecnologia offre loro, avvicinando in qualche modo questi due mondi, apparentemente così distanti.

I ragazzi mostrano di essere molto attivi quando si tratta di sostenere campagne di sensibilizzazione o la richiesta di un aiuto, diffusi sui social network, contribuendo a far diventare virali in pochi minuti messaggi e temi di interesse sociale. I giovani possono davvero usare i social per spingere in direzione del cambiamento, ma, naturalmente, è necessario accompagnarli nell’uso consapevole di questi strumenti.