Fabiana Muni: Ragazzi, raccontate i vostri disagi e i vostri sogni. Solo così il buio si fa luce

A Fabiana Muni piace raccontare storie per aiutare le persone a conoscersi e riconoscere le cose. Perché le persone non sono oggetti da usare e gettare ma esseri umani che hanno il potere di sopravvivere alle cose che capitano durante il percorso della vita. C’è sempre un prima e c’è sempre un dopo il dolore.

Maneggiare con cura

Di lei sappiamo che voleva diventare una scrittrice e che dentro il cuore ha un fuoco incredibile che non si sceglie: si può solo abbracciare o meno. Fabiana é nata e vive a Catania – che ama profondamente -: “La vicinanza al vulcano Etna non può che influire nel mio temperamento “esplosivo e caloroso” e nella mia indole “magmatica e rocciosa”. Insomma, una bomba da maneggiare con cura, perché pronta a esplodere se vede un’ingiustizia, specie nei confronti delle persone fragili. Perché le persone ci parlano, ci guardano, ci ascoltano, anche indipendentemente da ciò che vorremmo sentir loro dire. Lo sa bene lei studiosa per eccellenza, scrittrice oltre che anima sensibile al punto di essere una pedagogista e progettista educativa: una figura sulla quale purtroppo ancor oggi non v’è molta conoscenza e chiarezza.

Lezioni creative e tanto cuore

Per Fabiana sono state la passione per lo studio, la formazione, l’educazione, la cultura, l’infanzia, l’adolescenza e l’aiuto al prossimo ad orientarla alla scelta formativa e lavorativa afferente alla Pedagogia che, per l’appunto, “abbraccia” più saperi e campi di intervento: “Ecco perché il mio logo è costituito da un cuore che unisce in una sorta di abbraccio le mie iniziali. In esso c’è il simbolo iconico di quello che per me rappresenta la pedagogia e la mia professione, una professione di scienza e cuore”.

Dottoressa Muni, lei è esperta di educazione e formazione. Ha esperienza nel prefigurare percorsi educativi in situazioni problematiche: ci può spiegare lo stato di salute dei nostri giovani?

Ormai viviamo in una società “liquida” come aveva sapientemente profetizzato il sociologo Zigmunt Bauman, caratterizzata da estremo individualismo e da incertezza, nei legami, nei valori, nei lavori, nel futuro. I giovani, che hanno ancora pochi mezzi per fronteggiare questa crisi generalizzata, spesso si sentono disarmati e tendono o ad isolarsi (e in questo internet e l’alta tecnologia incidono molto – pensiamo al fenomeno dell’Hikikomori, termine giapponese che significa “stare in disparte”,  molto rischioso e diffuso tra i giovani)  o ad evadere all’esterno ricercando sensazioni forti, ma artificiali e in comportamenti disfunzionali quali assunzione di droga, di alcool, sfide in auto o in moto, alimentari; autolesionismi; tutti atteggiamenti adrenalinici, ma altamente rischiosi, non solo per la salute stricto sensu, ma per la vita lato sensu.

Per questo è importante che le agenzie di educazione e socializzazione più importanti (famiglia, scuola e anche settori collaterali) non perdano mai di vista il loro stato di salute psico-fisico, che deve essere sempre monitorato mediante osservazione costante e sistematica, e chiedano aiuto al rinvenimento di “campanelli di allarme” ai quali altresì bisogna essere educati, da chi e a chi ha la competenza per farlo (pedagogisti, educatori, psicologi, medici sono i professionisti cardine in  tal senso a cui rivolgersi).  La preparazione, cognitiva ed emotiva in ognuna di queste categorie nominate è per tanto fondamentale.

La pedagogia, la scienza nella quale credo e nella quale mi sono formata, è però tra le più elette ad assumersi questa responsabilità, in quanto scienza che studia l’educazione e la formazione, finalizzata al cambiamento e allo sviluppo del potenziale umano e apprenditivo insito nel soggetto.

Nella sua pagina social sostiene che gli aiuti parentali e alle volte anche medici, sono i sostegni maggiormente richiesti e impiegati dai genitori, ma essi non sempre sono quelli più adeguati a cui rivolgersi in caso di problematiche educative. Da ciò emerge dunque la necessità di istituire un ventaglio di supporti sempre più vasto, economico, ma qualificato. Che consigli dà ai più giovani?

Come scrivo nel mio libro Faccia di Luna «è proibito dare consigli quando la gente non li chiede», dice Gennaro Iovine alias Eduardo De Filippo nel suo Napoli milionaria, per tanto più che consigliare, mi limito a sollecitare, e la più sentita sollecitazione che posso fare ai giovani è in primis quella allo studio! Lo studio è di fondamentale importanza nella vita. Aiuta il pensiero critico, il ragionamento, apre la mente, offre chiavi di lettura importanti e crea i mezzi per diventare “indipendenti” intellettualmente, per fronteggiare le difficoltà della vita, per non farsi manipolare dall’esterno, perché è proprio la possibilità di essere manipolati dall’esterno una tra le più grandi cause dei mali che li colpiscono. E poi li invito a fare uso delle pratiche narrative! Narrare, sempre, i propri disagi qualora vi fossero, ma anche i propri sogni, i propri progetti, le proprie speranze, sia in forma scritta che orale, perché come dice il grande regista Ferzan Ozpeteck che amo molto:  “nel momento stesso in cui la vita si fa racconto, il buio si fa luce e la luce ti indica la strada”.

 «O si impara l’educazione in casa propria o il mondo la insegna con la frusta e ci si può far male». Così si legge nel romanzo Tenera è la notte (1934) dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald. Proprio per evitare questo rischio cosa andrebbe spiegato ai genitori?

Come già asserito nella prima domanda, i genitori vanno educati all’osservazione sistematica dei comportamenti dei loro figli, all’ascolto, e alla qualità del tempo da dedicare loro, perché è essa che conta, non la quantità; e poiché viviamo in una società dove il tempo sembra sfuggirci via come sabbia tra le mani, e i ritmi sono ipervelocizzati, gli impegni incommensurabili, è fondamentale ricordare che occorre trovare  quel tempo, ogni giorno, e dedicarlo ai propri figli con attività di qualità, diverse chiaramente a seconda dell’età. Và inoltre spiegato che se sentono di non farcela da soli, devono chiedere aiuto, il che non significa fallire, e in molti purtroppo è presente questo tabù. Nessuno può e vuole insegnare ad essere dei bravi genitori, ma dei bravi educatori sì, e c’è una sottile, ma sostanziale differenza; questo è il principio del parent training. Diventare dei bravi educatori migliora sicuramente il ruolo genitoriale.

 

Molti adulti credono che in educazione ci vogliano le maniere forti. “Sberle e sculaccioni non hanno mai fatto male a nessuno, anzi a volte sono l’estremo rimedio in una situazione che sembra non essere gestibile altrimenti” pensano in molti…

Purtroppo è vero; ancora oggi “lo sculaccione, il ceffone,” et similia sono ahimè dei comportamenti attuati e perpetuati da alcuni genitori, erroneamente ovviamente, sia da un punto di vista etico-morale in quanto la violenza in ogni sua forma è sempre anti-etica e immorale, che squisitamente pedagogico; queste azioni sono assolutamente inutili dal punto di vista educativo e oltremodo dannosi. Il bambino apprende anche per imitazione non dimentichiamolo, il modeling, ha un ruolo molto importante nello suo sviluppo. Come si può dunque pensare che un bambino non usi la violenza “per farsi ascoltare” magari con i pari, o anche con altri adulti, se poi la violenza è lo strumento impiegato dal genitore in tal senso? Ecco cosa intendevo prima quando parlavo di “chiedere aiuto per diventare dei bravi educatori”, evitare proprio di commettere taluni errori educativi.

Di fronte a una storia di bullismo tra minori, spesso gli adulti intervengono cercando di aiutare il bullo a riflettere sulla sofferenza che ha causato alla propria vittima. Nella sua esperienza professionale quali sono state le fragilità che ha più riscontrato e quali consigli si sente di dare a chi subisce violenza o abusi?

Intervenire su chi ha generato sofferenza è fondamentale, perché tutti devono avere possibilità di essere rieducati, rimediare agli errori commessi ed evitare di perpetrarli in futuro. C’è sempre una ragione dietro ogni comportamento disfunzionale. A chi invece subisce violenza e abusi invito ad abbattere paura e vergogna e chiedere aiuto. Esistono chiaramente degli organi deputati a ciò (forze dell’ordine, associazioni antiviolenza, et sim), ma se non si ci sente di farlo, si può partire dalle persone vicine verso cui si nutre fiducia e che chiaramente cambiano a seconda del tipo di abuso o violenza di cui si è stati vittime: genitori, amici, docenti, anche allenatori se si pratica sport; e a proposito di sport, esso può davvero essere salvifico negli episodi di bullismo. Nel mio ultimo progetto che ha avuto al centro proprio lo sport, pugilato nella fattispecie, mi sono resa conto che la maggioranza dei giovani che lo praticavano, avessero subito episodi di bullismo e abusi nella propria vita, e di quanto questa disciplina sia stata utile e riabilitante nelle fragilità che quel passato aveva creato nella loro psiche, ossia per lo più senso di inadeguatezza, bassa autostima, e approcci disfunzionali nei rapporti.

Si ricorda qualche storia che tra le tante l’ha più colpita?

Tante storie mi hanno colpita nella mia vita, ed essere pedagogista e scrittrice, mi consente di farne un uso ri-generante e ri-creativo. Quasi a dar loro nuova linfa e nuova vita, e anche riscatto.

È possibile prevenire la violenza di genere?

Certamente. E ancora una volta la parola d’ordine in tal senso è: educazione, associata a informazione e prevenzione. Purtroppo il sessismo è ancora imperante, nonostante si stiano facendo passi avanti nella sua lotta. L’educazione resta sempre il mezzo migliore affinché si generi cambiamento nella realtà in cui si vive. A partire dalla famiglia (dove spesso ahimè ingenuamente si perpetuano atteggiamenti per certi versi sessisti), a seguire dalla scuola, e organi collaterali. Occorre educare e informare al fine di prevenire.

Ai giovani che fanno dello sport non andrebbe insegnato il valore di una sconfitta?

I giovani che praticano sport vengono già educati al valore della sconfitta; lo sport è estremamente educativo in tal senso; tutt’al più è sugli altri che non lo praticano che bisogna intervenire. Se c’è un insegnamento che mi ha dato il pugilato è proprio questo. E a tal riguardo vorrei riportare una delle massime facenti parte del decalogo del pugile (che invito a leggere per intero): “Se rilevi, nel corso del combattimento, che hai già dato tutto e il tuo fisico può incorrere in lesioni pericolose, accetta la sconfitta anzitempo, ti eleverai moralmente, onorerai lo sport e rimarrai fisicamente integro, per continuare a batterti e a rifarti”.

I social hanno fatto passare il messaggio che chi vince è figo, chi perde uno sfigato. Funziona sempre così?

Ovviamente no. Ed è connesso al discorso precedente della sconfitta. Se nella vita non sperimenti “il fallimento” “la perdita” “la sconfitta”, non potrai mai testare la tua auto-efficacia, la tua capacità di re-agire di fronte alle difficoltà inevitabili che la vita ti porrà innanzi. “Perdere” è più educativo che “vincere”, la vittoria serve più che altro da motivatore intrinseco all’agire e da nutrimento all’ego che altresì, nelle giuste dosi, deve esserci, ma è dalla “perdita” che trai gli insegnamenti e le evoluzioni più efficaci per la tua crescita.

Come si prende cura di sé stessa?

Da quando sono una paziente oncologica prestando molta più attenzione allo stile di vita, alla cosiddetta prevenzione primaria, e a quella secondaria (adesione a campagne di screening che invito sempre a sposare). Inoltre dedicandomi a ciò che mi fa star bene, che dà nutrimento alla mia anima, ossia: gli affetti familiari e amicali, la scrittura (mia fervida alleata), l’aiuto al prossimo, la fruizione di arte, cultura e bellezza che il mondo mi offre, la cre-azione di ciò che mi piace vedere nel mondo.

Come si definisce lei?

Non amo de-finirmi, è come indicare una limitazione al mio modo di essere che è sempre in fieri, in mutazione, in-definito appunto. Però riconosco in me una personalità caleidoscopica, altamente sensibile; una mente complessa, analitica, testarda ed empatica. Un carattere irriverente e indomabile, ma anche generoso e altruista.

La scrittura aiuta a capire la propria indole. Ha mai sentito la pressione di raggiungere determinate tappe nella vita personale?

L’ho sentita. Come tutti d’altronde. Nel mio caso per la tappa, anzi le tappe, delle lauree. E non perché mi venisse imposta dall’esterno, quanto piuttosto perché ho sempre preteso molto da me stessa, e poi perché non desideravo altro che la mia qualifica, quella di pedagogista, per poter operare e tradurre pragmaticamente e sperimentare sul campo quanto di teorico avessi appreso. Cosa che poi è avvenuta.

Nei suoi libri c’è una parola, una emozione che torna spesso?

Direi di sì: sincronicità, (ossia casualità ripiena di senso), ma anche amore e passione, riscatto e speranza.

Ci sono cose del passato con cui non ha fatto pace? E se sì, come è riuscita a chiudere quella pagina della vita?

Ognuno di noi ha dei “nodi irrisolti”, dei “fantasmi” del passato con cui “non ha fatto pace” e probabilmente mai lo farà. Personalmente ne ho diversi e appunto sono pagine di vita che in qualche modo resteranno aperte per sempre. Diciamo che ho imparato a “gestirne la lettura” e a trasformare alchemicamente la sana inquietudine che da essa deriva usandola come combustibile al mio agire creativo.

Che cos’altro desidera di poter raggiungere, scrivere o realizzare?

Al momento ciò che desidero raggiungere e che sarebbe funzionale e necessario per tutto il resto è il miglioramento della qualità della mia vita, certamente compromessa dalle sequele della malattia, e soprattutto la guarigione. Superare quella famosa “finestra libera dalla malattia” certamente mi darebbe ancora più forza e speranza nel continuare i miei –tanti- progetti editoriali, professionali ed esistenziali. Io i mezzi li sto mettendo tutti, confido anche nella buona sorte e nella speranza: Spes ultima dea.