ECONOMIA FAI DA TE. SE LA DIGITALIZZAZIONE E’ L’ARMA CHE INCATENA IL POPOLO BUE

Strisci la carta per un caffè. Una telecamera ti osserva. Il POS registra ora, luogo, importo. Il tuo ID digitale ticchetta in sottofondo. Non è solo comodità. È architettura del controllo. E noi ci stiamo entrando a testa bassa, con il sorriso da cittadini “smart”.
Nel 2024, le banche e i circuiti di pagamento (Visa, Mastercard, Nexi) hanno incassato in Italia tra i 4,5 e i 5 miliardi di €uro lordi dalle carte. L’80% di questi costi ricade indirettamente sui consumatori, sotto forma di prezzi gonfiati. Ogni transazione, sono circa 4,7 milioni al giorno, per un totale di 481 miliardi di €uro l’anno, lascia una scia digitale. Le banche e i circuiti raccolgono dati che valgono più dell’oro: il tuo caffè delle 8:00, il biglietto del bus, il preservativo comprato di fretta. Questi dati finiscono in algoritmi che prevedono i tuoi comportamenti, ti profilano per prestiti, assicurazioni o pubblicità. Nel 2024, il mercato dei dati personali in €uropa vale 100 miliardi di €uro.
Intanto il contante viene demonizzato, con l’Italia che spinge i pagamenti digitali con incentivi (credito d’imposta 30% per esercenti) e obblighi (POS obbligatorio dal 2014, sanzioni da 30 € per chi rifiuta carte sotto 30 € dal 2023) e la €U che dal 2027 imporrà un limite a 10.000 €uro per transazioni cash (Regolamento AMLR). La scusa è la lotta all’evasione, ma i veri evasori sono altrove. Secondo il Tax Justice Network, le multinazionali drenano tra i 20 e i 30 miliardi di €uro l’anno (pari a quasi due finanziarie dello Stato) in dumping fiscale. Come dire, il tuo caffè da 1,20 €uro è sotto il microscopio, mentre i capitali in Lussemburgo circolano e si fermano indisturbati.
La digitalizzazione non è un diritto. È un dovere. E chi non si adegua, scompare. L’Italia e la €U corrono verso un’economia “full digital” (€U Digital Decade 2030). La BCE prepara l’€uro digitale, tracciabile, programmabile, centralizzato. Ogni €uro avrà un ID unico. Niente anonimato. Possibili restrizioni, limiti di spesa, scadenze, blocchi settoriali. In Cina lo yuan digitale già lo fa (fonte Human Rights Watch 2024). La €U dice che qui non accadrà mai, intanto però la tecnologia è la stessa.
La digitalizzazione come un ecosistema, che lega ogni aspetto della vita a un’infrastruttura digitale controllata. I servizi pubblici sono già digitali: SPID, CIE, registratori telematici. Senza, si è tagliati fuori. Le infrastrutture costano 10 miliardi di €uro/anno (fonte Mef, Digital Italy 2024), pagati dai contribuenti, dagli esercenti, dai consumatori. Sempre noi. E mentre il sistema si automatizza, il cittadino si dissolve. Ed è pronto il lucchetto per “the digital cage”: l’ID digitale. L’eIDAS Wallet (obbligatorio entro il 2026) sarà il pass per esistere. Documenti, conti, sanità, mobilità: tutto in un unico codice. Unisce dati finanziari, sanitari, amministrativi. Una miniera per banche, governi, big tech. Sarà obbligatorio per servizi pubblici e privati. Nelle smart city, servirà per accedere a bus, parcheggi, zone ZTL, persino parchi pubblici (Bologna sta sperimentando accessi digitali ai giardini, 2025). E chi rifiuta sarà un “paria”.
Già, le smart city. Città che si trasformano, Milano, Torino, Venezia, e anche Messina, tutte con le loro “control room”, le loro telecamere, i loro sensori. Le smart city vengono vendute come il futuro, città connesse, efficienti, sicure, dove tutto è monitorato e ottimizzato tramite IoT (Internet of Things), 5G, AI e sensori. promettono sicurezza, ma costruiscono sorveglianza. La €U punta a 100 smart city entro il 2030 (EU Digital Decade) e i sindaci fanno a gara per accaparrarsi i fondi messi a disposizione (soldi che pagheremo noi). Un esempio? A Roma, le telecamere sono collegate a database di polizia e ID digitali. A Bologna, l’accesso ai parchi sarà digitale. In Italia ci sono circa 1,5 milioni di telecamere pubbliche, il 30% con riconoscimento facciale (ANIE Sicurezza 2024). I dati raccolti valgono miliardi e sono gestiti da piattaforme private che li incrociano, li impacchettano e li vendono. Nelle smart city, i POS smart (es. Nexi SmartPOS) registrano non solo il pagamento, ma anche posizione e ora, integrati con telecamere (a Venezia si sperimenta POS con geolocalizzazione dal 2024). E l’€uro digitale (lancio previsto per il 2027), ogni €uro speso sarà legato al proprio ID digitale e tracciato in tempo reale. Paghi un caffè? La smart city sa dove, quando e quanto, e lo incrocia con il tuo profilo (sanitario, fiscale, sociale). Le smart city potranno “spegnere” l’accesso a chi non è conforme. Non paghi una multa? Attraverso l’ID digitale viene bloccato l’accesso al bus o al parcheggio smart. Protesti sui social? La tua carta smette di funzionare per “verifiche tecniche”. La tecnologia esiste già, in Cina, il credito sociale ha bloccato 23 milioni di persone da treni/aerei nel 2023 (fonte Human Rights Watch).
La digitalizzazione delle città non è solo “smart”, è un sistema di sorveglianza di massa che si intreccia con pagamenti digitali e ID digitale, creando una rete senza scappatoie, che si nasconde dietro la facciata di “sicurezza” e “sostenibilità”. La smart city osserva, valuta, premia ti punisce. Ed è un business di proporzioni mastodontiche, dove il conto (non solo economico), come sempre, lo paghiamo noi. E tutto questo c’è chi lo chiama “progresso”. Ma c’è un paradosso che nessuno racconta. Tutto questo sistema è energivoro: server, sensori, AI, 5G, telecamere, POS, cloud. Considerato che entro il 2030, la €U vuole eliminare i motori termici e ridurre l’uso del gas. Con che cosa alimenteranno questa distopia? Dove prenderemo l’energia necessaria?
Le smart city bruciano energia per sorvegliare, non per risparmiare.
Il green è solo un’etichetta.
Ma c’è un’altra crepa, più profonda, che si apre sotto i piedi di chi ci vende questo futuro digitale come trasparente e infallibile. Per il sesto anno consecutivo, la Corte dei Conti €uropea ha espresso un giudizio negativo sulla spesa della €U (fonte IMGPress). Nel 2024, il tasso di errore stimato nei pagamenti è stato del 5,7% e nel 2023 era al 9,3%. Gli errori più comuni? Progetti non ammissibili, costi gonfiati, violazioni nelle gare d’appalto. E per la prima volta dal 2016, anche i fondi destinati a paesi extra-€U sono finiti sotto la lente, con livelli di errore significativi. Questa è la stessa Commissione che ci impone l’€uro digitale, l’ID obbligatorio, le smart city, e che ci chiede fiducia cieca nel nome dell’efficienza. Il paradosso è servito, mentre ci chiedono di digitalizzare ogni respiro, loro inciampano nei bilanci. E mentre ci profilano al centesimo, i miliardi si “perdono” nei corridoi di Bruxelles, ma che poi ritroveremo sotto forma di debito, nei bilanci dello Stato.
Logica conclusione. Siamo su un binario verso un sistema dove il controllo è totale, mascherato da “progresso”. Non è ancora una dittatura, ma è un’architettura che la sta creando. Basterà un governo meno “democratico” o una crisi (es. economica, climatica, sanitaria) per stringere il cappio. La distopia è a un passo, e i 2-2,7 miliardi di €uro netti delle banche sono solo il carburante di una macchina che ci vuole tutti schedati. Il 2030 non è un’ipotesi, l’Agenda è già stata scritta.
Non ci sono stivali, né manganelli. Ma c’è una gabbia invisibile, fatta di dati, algoritmi e consenso passivo. La tecnologia c’è. I dati lo confermano. Il “progresso” è un cavallo di Troia. Non siamo ancora in 1984, ma il lucchetto è pronto a scattare. La sicurezza delle smart city è il prezzo della nostra libertà. Le banche ridono. I governi controllano. E chi ancora scrive, ancora osserva, ancora resiste, è già fuori dal recinto.

bilgiu