Una cara amica, di passaggio a Milano per lavoro, mi manda una foto. La hall di un albergo con un gigantesco albero di Natale. L’albergo non lo conosco ma è come se lo conoscessi. Tutto uguale, tutto bello senz’anima, tanto per citare. L’albero di Natale ha superato (come molte altre cose di questi tempi) le frontiere del troppo. Troppi rami, troppe luci, troppo tutto.
Forse è proprio questo povero albero milanese senza colpa, il segno di una agonia esistenziale per una cultura che non sa più vivere le cose con umanità, quando l’apparenza, l’immagine esterna è il falso target dominante. Natale inizia già a novembre e quando arriva realmente ha già saturato tutti. Una volta, per capirsi, l’albero si accendeva la sera della Vigilia dopo aver messo il Bambino nel presepe e tutto era magia. Devo peraltro confessare che già da minorenne, quella era roba che un po’ mi stava sulle balle con tutta quella sua ritualità ma dietro c’erano persone, momenti, non cose.
Sarà l’età che ormai è quel che è – ma bene così -, oppure sarà la nebbia che invece di fare sparire le cose è sparita lei, oppure è finita negli occhi della gente che incroci per strada o in metro, occhi vuoti e altrove che guardano ma non vedono. Serve attenzione per sopravvivere.
Carlo Romeo, giornalista, collaboratore Aduc
