
Il Gup di Catania ha condannato a sei anni e otto mesi di reclusione l’ex presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, concorso esterno all’associazione mafiosa. Lo ha assolto dal reato di voto di scambio. Il giudice Marina Rizza ha anche rinviato a giudizio suo fratello Angelo Lombardo, ex deputato nazionale del Mpa. La sentenza è stata letta dal Gup Marina Rizza, che ha disposto anche un anno di libertà vigilata all’ex governatore, a conclusione del processo col rito abbreviato. La Procura aveva chiesto la condanna a 10 anni di reclusione. Rinviato a giudizio anche Angelo Lombardo, ex deputato nazionale del Movimento per l’autonomia, per concorso esterno all’associazione e voto di scambio, fissando la prima udienza del processo per il prossimo 4 giugno. La notizia arriva come un fulmine dalla Sicilia: in pochi qualche anno fa ci avrebbero scommesso. Eppure IMG Press aveva svelato l’altra faccia dell’allora Governatore siciliano. Lombardo era coinvolto in uno scandalo, ma sembrava non interessare nessuno. Neppure a quei paladini dell’antimafia che con Lombardo gestivano la Regione. La sentenza di Catania scrive la prima puntata della scabrosa vicenda, ma non sarà l’unica, nè l’ultima parola. Comunque vada a finire c’è un’intera classe dirigente che ha validi motivi per arrossire; ma è assai improbabile che ciò accada: da queste parti la memoria fa difetto, per il peccatore c’è sempre la possibilità del riscatto o, male che vada, quella di una amnistia. Per questo riproponiamo l’articola che uscì al tempo quando si faceva il tifo affinchè l’inchiesta su Lombardo finisse nel dimenticatoio. Noi non ci siamo piegati nè abbiamo taciuto. Non per vanità nè per gloria, ma per onestà. Abbiamo dato il nostro contributo alla giustizia. E poi abbiamo dato un taglio. A noi non riguarda l’uomo Lombardo nè il suo potere. Noi abbiamo svelato il suo inganno e le sue amicizie.
Una nuova perturbazione sconvolge la navigazione di Raffaele Lombardo e del Governo siciliano appena varato. La Procura di Catania sta indagando su una serie di affermazioni con tanto di indizi a carico del politico che il pentito Maurizio Avola, ex uomo d’onore della famiglia mafiosa di Benedetto Santapaola, ha sottoscritto ai Pm della Dda etnea già dalla metà del 2007, dopo averlo riconosciuto in televisione allorquando Lombardo siglò l’accordo elettorale del Movimento per l’Autonomia (MPA) con la Lega Nord di Umberto Bossi. Avola riferì ai magistrati che quel politico era lo stesso personaggio che aveva incontrato durante la sua latitanza il boss, Benedetto Santapaola. Secondo il collaboratore – insomma – il governatore Lombardo avrebbe intrattenuto rapporti con la mafia catanese. Si tratterebbe di rapporti antichi, riconducibili soprattutto a vecchie frequentazioni del fondatore dell’Mpa con il boss Nitto Santapaola, capo indiscusso della famiglia di Cosa Nostra della Sicilia orientale. Incontri che si sarebbero svolti a San Giovanni La Punta, un comune della provincia situato alle falde dell’Etna, dove il boss aveva trascorso parte della sua latitanza. Luogo delle visite l’abitazione di un falegname, tale Zappalà. Avola racconta altri particolari ai pm dell’antimafia, particolari fino qui sconosciuti, a cominciare da una macchina: una Lancia Delta HF 16 Valvole Evoluzione di colore blu, modello uguale a quello guidato in quel periodo dallo stesso Lombardo. Macchina che Avola ricorda di aver visto con a bordo il politico quando fece visita al boss latitante. Il pentito va oltre. Ai magistrati fornisce alcuni dati inconfutabili sulle sue accuse: la Lancia Delta HF 16 Valvole Evoluzione di sua proprietà fu comprata alla concessionaria di Via Messina a Catania ed era intestata a Concetto Messina suo amico e vigile urbano, perchè lui non poteva intestarsela per evitare i controlli da parte delle forze dell’ordine, risultando ufficialmente "nullatenente". La moglie del suo amico vigile urbano (Messina) gestiva al tempo un negozio di abbigliamento a Catania, in via Renato Imbriani, nei pressi della chiesa di Monserrato denominato Lory. Di quella Lancia Delta HF 16 valvole Avola se ne privò qualche tempo dopo vendendola al suo fedelissimo Pippo Crisafulli, con il quale aveva in comune l’appartenenza alla famiglia Santapaola, oltre al ruolo dentro il gruppo, di braccio armato. E’ con lo stesso Crisafulli che Avola porta a termine una delle esecuzioni più spietate quella dei fratelli Marchese. Giuseppe e Salvatore Marchese. I cugini del pentito catanese Antonino Calderone ma considerati vicini al capomafia Santapaola, ammazzati all’interno della villa superprotetta alla periferia di Catania, di proprietà di Salvatore Marchese, imparentato, tramite la moglie, con la famiglia dei costruttori catanesi Costanzo. Avola una volta pentitosi spiegherà ai magistrati il movente dell’omicidio: un vecchio rancore nutrito da Santapaola nei confronti della famiglia Calderone per il pentimento di Antonino Calderone, fratello di Giuseppe ucciso e all’epoca capo della famiglia catanese di Cosa Nostra. In particolare, il boss odiava Salvuccio Marchese, giacchè costui aveva dato informazioni confidenziali a suo cugino Antonino Calderone che poi ne aveva fatto oggetto di rivelazioni ai magistrati. Il Marchese, tra l’altro, aveva raccontato al Calderone l’episodio del quadruplice omicidio in danno di quattro giovani scippatori di S. Cristoforo che avevano fatto una serie di scippi, uno dei quali anche in danno della madre di Nitto Santapaola. Inoltre il Marchese, pur essendo stato appositamente inviato da Santapaola a Marsiglia per localizzare il cugino e preparare la base in modo da poterla utilizzare per organizzare l’omicidio del Calderone, aveva riferito di non essere riuscito a individuare il luogo dove abitava quest’ultimo. Anzi era forte il sospetto che lo stesso, approfittando del viaggio e incontrandosi con Calderone, gli aveva fatto capire che non era opportuno che scendesse più in Sicilia e addirittura gli aveva raccontato altri fatti riguardanti la "famiglia" catanese dei quali poi fece oggetto di rivelazioni alla magistratura. "Dopo l’omicidio dei fratelli Marchese aggiungerà Avola, Aldo Ercolano mi suggerì di allontanarmi, per un po’ di tempo, da Catania. Accolsi il suo suggerimento e qualche giorno, partii con Pippo Crisafulli, alla guida della Lancia Delta HF 16 Valvole Evoluzione che avevo venduto da qualche giorno, dico meglio da qualche mese, a Pippo Crisafulli. Andammo a Prato dove il giorno dopo Crisafulli fece un colloquio con il fratello, ivi detenuto". Particolari che potrebbero inguaiare il governatore Lombardo, anche se il padre padrone dell’Mpa, alle prime notizie sull’indagine che lo riguarda e che potrebbe costargli oltre a un processo anche la poltrona siciliana, ha replicato in tono sarcastico “E’ una vicenda che non sta né in cielo né in terra. Affermazioni ridicole… Lombardo forse non aveva i baffi, guidava una Ferrari, che io non so neanche come è fatta, frequentava un bar in cui non sono mai stato". Fino a qui sembrerebbe un déjà vu ma ora sappiamo che la macchina che Maurizio Avola ha indicato ai magistrati di Catania, quale elemento che lo mette in collegamento con il governatore di Sicilia, non è una Ferrari e neppure una Lancia Thema Ferrari (come qualcuno vicino a Lombardo ha lasciato intendere per smontare la falsità delle accuse), bensì una Lancia Delta HF 16 Valvole Evoluzione di colore blu. Magari è anche questo uno dei motivi per il quale il Gip del Tribunale di Catania, Antonio Caruso, non ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura concedendo ai pubblici ministeri altri mesi per svolgere nuove verifiche. L’inchiesta che sembrava già chiusa per il Governatore di Sicilia, dunque è appena all’inizio. A conferma che la situazione politica siciliana è estremamente delicata.