Via D’Amelio, svolta nelle indagini: in manette 4 persone

Nuovo importante passo avanti nelle indagini sulla strage di Via D’Amelio, in cui il 19 luglio 1992 morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta.

Il Gip di Caltanissetta, su richiesta della Dda nissena, ha emesso un provvedimento di custodia cautelare nei confronti del capomafia, già in cella, Salvino Madonia, accusato di aver preso parte al summit in cui si decise la morte del magistrato; e ai boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale.

In manette è finito anche il collaboratore di giustizia Calogero Pulci, accusato di calunnia aggravata. La Procura inoltre aveva chiesto l’arresto di una quinta persona, indagato per favoreggiamento aggravato, a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni della Fiat 126, ma il Gip ha rigettato la misura. Paolo Borsellino fu eliminato dalla Cosa Nostra, assieme a cinque agenti di polizia della sua scorta, perché Totò Riina lo riteneva un "ostacolo" alla trattativa con esponenti delle istituzioni arenatasi "su un binario morto" e che quindi andava "rivitalizzata" con il gesto eclatante della strage.

Lo ricostruisce il Gip di Caltanissetta, Alessandra Bonaventura Giunta, che ha accolto le richieste della Dda nissena, nell’ambito della nuova inchiesta che ha portato alle ordinanze eseguite dalla Dia sulla strage. "La tempistica della strage è stata certamente influenzata – dice il magistrato – dall’esistenza e dall’evoluzione della così detta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa Nostra".

Per la Procura, "della trattativa era stato informato anche il dott. Borsellino il 28 giugno del 1992. Quest’ultimo elemento aggiunge un ulteriore tassello all’ipotesi dell’esistenza di un collegamento tra la conoscenza della trattativa da parte di Borsellino, la sua percezione quale ‘ostacolo’ da parte di Riina e la conseguente accelerazione della esecuzione della strage".

Ad avvalorare questa tesi sono anche "le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a proposito dell’ordine ricevuto da Salvatore Riina di sospendere, nel giugno 1992, l’esecuzione dell’attentato omicidiario nei confronti dell’on. Calogero Mannino perché c’era una vicenda più urgente da risolvere". Relativamente all’esigenza di anticipare l’attentato nei confronti del giudice Borsellino, il pentito Giovanni Brusca, rispondendo ai magistrati, ha sottolineato di non sapere se il giudice fosse effettivamente d’ostacolo alla trattativa, e che quella fosse una sua "interpretazione basata sulla conoscenza dei fatti di cosa nostra ma anche delle vicende processuali" in cui era stato coinvolto".

"Mi venne detto da Riina – ha raccontato Brusca – che vi era ‘un muro’ da superare, ma in quel momento non mi venne fatto il nome di Borsellino. E’ sicuro, comunque, che vi fu un’accelerazione nell’esecuzione della strage".

La scelta di colpire Borsellino in quel modo così efferato rischia di apparire però "poco credibile" scrivono i magistrati. Proprio pochi giorni dopo il 19 luglio 1992, infatti, sarebbe scaduto il termine per l’approvazione del decreto legge con la modifica del 41 bis dell’Ordinamento penitenziario, e la strage avrebbe annullato "tutte le possibilità di modifica".

A questo punto entrano in gioco quelle che i magistrati definiscono le "caratteristiche umane e criminali" di Totò Riina. "E’ del tutto plausibile che Salvatore Riina – scrivono i Pm -, noto per la sua feroce determinazione criminale, abbia potuto confidare che con il compimento di un ulteriore attentato di quella gravità si potesse rivitalizzare una ‘trattativa’ che sembrava essere arrivata su un binario morto, non curandosi delle conseguenze negative che da tale iniziativa sarebbero potute conseguire".