Caso Unipol, rinvio a giudizio per il Cavaliere

"Per Silvio Berlusconi – si legge su LA STAMPA – il rinvio a giudizio deciso ieri dal Gup Maria Grazia Domanico per concorso in rivelazione di atti coperti da segreto istruttorio, oltre a porlo nel poco invidiabile record di avere quattro processi in corso contemporaneamente, rappresenta una vera nemesi. Proprio lui, che per anni si è lamentato della pubblicazione arbitraria delle intercettazioni, dovrà difendersi in tribunale dall’accusa di aver fatto pubblicare il 31 dicembre del 2005 sul quotidiano di famiglia, ‘Il Giornale’, una telefonata tra l’allora segretario dei Ds Piero Fassino e l’ex presidente di Unipol Giovanni Consorte. Con un’aggravante: che se le intercettazioni pubblicate normalmente dai giornali hanno almeno il pregio di essere state depositate prima alle parti, la famosa telefonata tra Fassino e Consorte (‘Allora, abbiamo una banca?’), irrilevante penalmente ma micidiale politicamente, addirittura non era nemmeno stata portata a conoscenza dei magistrati. Secondo le accuse, la sera della vigilia di Natale del 2005, Paolo Berlusconi accompagnato dall’imprenditore ed ex socio Fabrizio Favata e da Roberto Raffaelli, amministratore delegato della Rcs (Research Control System) la società d’intercettazioni cui si era rivolta la procura nell’ambito delle indagini sulla scalata Bnl da parte di Unipol, si presentarono nella villa di Arcore portando con sè un ‘dono’ che avrebbe cambiato gli equilibri politici delle elezioni del 2006, ammorbidendo, di molto, la sconfitta elettorale del Cavaliere. Si trattava, così testimoniarono gli stessi protagonisti, di una chiavetta contenente il file della famosa telefonata di Fassino che Raffaelli aveva sottratto ai computer in uso alla Procura. I verbali raccontano di un Berlusconi all’inizio stanco e annoiato ma poi, dopo l’ascolto dell’intercettazione, ‘eternamente grato’ al manager della Rcs che sperava così di ottenere degli appalti in Romania. Ieri Berlusconi, che si è presentato davanti al gup Domanico per rendere dichiarazioni spontanee e farsi interrogare, ha negato questa ricostruzione ammettendo soltanto di ricordare ad Arcore la presenza del manager Raffaelli ma di non aver mai visto ne’ ascoltato in anteprima l’intercettazione. In ogni caso, ha aggiunto ‘non ho mai dato ordine di farla pubblicare’. La sua parola contro quella di Raffaelli e dell’altro indagato, Fabrizio Favata il quale, prima di vuotare il sacco davanti ai pm, si rivolse alle redazioni di vari giornali tentando di mettere in atto una serie di estorsioni, persino nei confronti dell’avvocato del Premier, Niccolo’ Ghedini. Non a caso in un primo tempo la Procura aveva chiesto che la posizione di Berlusconi venisse archiviata, non potendo dimostrare che l’ex premier fosse consapevole di come quel nastro fosse stato trafugato e dunque rappresentasse di per se’ un illecito. Successivamente però il gip Donadeo ne aveva ordinato l’imputazione coatta individuando in Berlusconi il vero beneficiario di quel file che comparve sulla prima pagina del ‘Giornale’ una settimana dopo la visita ad Arcore, il 31 dicembre 2005. Secondo la valutazione del gip, la pubblicazione della telefonata ‘avrebbe leso, cosi’ come e’ stato, l’immagine di Piero Fassino’, cioe’ del capo del principale partito avversario di Berlusconi. Tesi evidentemente accolta anche ieri dal gup Domanico e che spalanca la porta alla costituzione di parte civile dell’attuale sindaco di Torino. Il gup inoltre ha respinto una questione di competenza territoriale, una di legittimita’ costituzionale ed essendo ormai da tempo conclusa la fase istruttoria, non ha ammesso i tre testimoni chiesti dagli avvocati Ghedini e Longo: il giornalista Gianluigi Nuzzi, che firmò lo ‘scoop’ de ‘il Giornale’, Paolo Berlusconi, editore dello stesso e a sua volta già rinviato a giudizio per il 6 marzo per la stessa vicenda, e il direttore dell’epoca, Maurizio Belpietro, indagato in procinto d’archiviazione. Ma che permangano ancora margini di dubbio sulla buona fede o meno di Berlusconi, lo dimostra lo stesso dispositivo dell’ordinanza di ieri, laddove si scrive che ‘allo stato degli atti si ritiene che non si possa operare una valutazione di non utilita’ del processo’. Ovvero solo un dibattimento, fissato per il prossimo 15 marzo, potra’ stabilire se il Cavaliere fosse o meno consapevole dell’esistenza di quell’intercettazione, se fu lui ad ordinarne la pubblicazione e soprattutto se sapeva che si trattava di nastro trafugato. Per i suoi legali comunque, si tratta dell’ennesima conferma: ‘E’ tutto come da programma – ironizza Ghedini – e ormai abbiamo perso il conto dei processi’. E questo si prescrive nel giugno del 2013".