Verso gli esami di maturità. C’è una scuola che giudica, non educa: il grido d’allarme dopo il suicidio di uno studente

di EveryOne Group

“Se non ritroviamo valori pedagogici profondi, rovineremo una generazione”.

Il suicidio di un giovane di 19 anni in provincia di Savona, presumibilmente per la mancata ammissione all’esame di maturità, è un colpo al cuore dell’Italia che ancora crede nella scuola come strumento di crescita, inclusione, ispirazione. È una tragedia annunciata, l’ennesimo segnale di un sistema educativo che ha smarrito la propria missione e che, piuttosto che educare, valuta, classifica, punisce.

Con il DDL Valditara e le nuove disposizioni ministeriali, si è aperta la stagione della “condotta” come metro di giudizio assoluto: basta un 5 in comportamento per compromettere l’intero percorso scolastico di uno studente, anche se eccelle nelle materie. L’istruzione pubblica italiana sta così regredendo verso un modello autoritaristico, fondato sul voto, sulla disciplina e sulla memorizzazione di nozioni, a discapito della creatività, del dialogo educativo e della comprensione critica.

Da anni la nostra associazione internazionale per i diritti umani EveryOne Group si impegna nel supportare studenti che subiscono discriminazioni nel sistema scolastico: ragazzi stranieri, privatisti, figli di famiglie umili o con percorsi atipici. Spesso, in questi casi, la scuola non accoglie ma respinge, non orienta ma giudica, trasformando il luogo del sapere in una forma crudele di inquisizione delle giovani menti.

“Questa scuola che non sa essere guida, ispirazione od orientamento,” dichiara il nostro co-presidente Roberto Malini, “si è trasformata in un tribunale in cui lo studente è valutato in base ai numeri, alla disciplina, alla capacità di memorizzare dati e nozioni senza riflettere su di essi. Gli spiriti liberi sono umiliati e perseguitati, mentre quelli che si piegano alle norme sono premiati. Siamo tornati indietro e non ce ne accorgiamo”.

Il rischio – ormai tangibile – è che gli insegnanti perdano il ruolo di mentori e diventino funzionari della selezione sociale, mentre i giovani – specie quelli più sensibili, più geniali, più divergenti – crollano sotto il peso del giudizio.

La morte di un adolescente, qualunque sia la causa precisa, è una sconfitta collettiva. Ogni qualvolta un giovane arriva a pensare che la vita non abbia più un senso a causa di un rifiuto scolastico, il sistema ha fallito.

“La missione del docente si è trasformata in burocrazia ed esercizio del potere. I giovani soffrono questa condizione che non valorizza la loro originalità, il loro spirito portato a indagare le fonti della cultura, il loro genio,” conclude Malini,“e se non ritroviamo valori pedagogici profondi, rovineremo una generazione”.

Non servono riforme punitive, ma un profondo ripensamento etico della scuola. Serve una comunità educativa capace di accogliere le diversità come risorse, dialogare con le fragilità, liberare i talenti, non classificarli.

Ogni insegnante, ogni dirigente scolastico, ogni istituzione dovrebbe domandarsi, oggi, se stia educando o solo controllando? Perché la prossima tragedia non sia solo una notizia tra le altre., ma il punto di svolta verso una scuola più umana, più giusta, più viva, più utile alle generazioni che stanno per entrare in una società tanto complessa quanto incerta sulla definizione di bene e male, di giustizia e iniquità, di arroganza e civiltà.