Saper leggere la cronaca giudiziaria aiuta. Prendiamoli con filosofia gli scandali di Messina

E’ stato l’anno degli scandali nella Sanità siciliana. Dodici mesi trascorsi tra i veleni, tra le faide, i sospetti, i capovolgimenti di fronte. Da Palermo a Messina. Forse è stato l’anno più difficile anche per l’Ateneo di Messina: due personaggi di primo piano finiti sotto i riflettori della Procura: Salvatore Cuzzocrea e Francesco Stagno d’Alcontres, una tempesta di polemiche, il primo scampato all’arresto, l’altro finito ai domiciliari. E un fiume di soldi sequestrati dall’autorità giudiziaria. Rendiconto di un libro che promette nuove rivelazioni scabrose. Per il momento, sussurrano i soliti bene informati, letto soltanto in parte, solo per metà. Ma per qualche ragione, evidentemente.


La prima ragione, confessata a occhi bassi, è che si tratta di un libro complicato e lunghissimo che inizia con la morte del professore Matteo Bottari, avvenuta a Messina il 15 gennaio 1998, un caso irrisolto. L’omicidio del professore di Diagnostica e Chirurgia Endoscopica all’Università di Messina, scosse la città e diede origine a indagini complesse che coinvolsero esponenti della mafia, docenti e studenti universitari, ma a oggi, la giustizia, non ha fatto piena chiarezza. Ma di qui passa tanta gente. E gente molto diversa.

Messina città “babba”, è l’abusata definizione di luogo felice in cui avviare e coltivare certi rapporti d’affari. Cosa Nostra e ‘Ndrangheta hanno messo le mani sulla città, stando a quanto emerge in molte inchieste condotte dai magistrati antimafia: a dimostrazione che questa definizione, più che una condanna, è stata una maledizione perché è diventata l’alibi dei mascalzoni, dei profittatori, dei venditori di sogni. Sotto traccia, in maniera silenziosa, senza spargimenti di sangue, hanno indossato i panni di abili imprenditori se non di amministratori della cosa pubblica.
Nella città babba, un po’ per spacconeria, un po’ per comodo, la gente preferisce non sapere da dove proviene il socio ricco o, se il denaro che usa, per fare business, sia pulito.


No, la gente di Messina è attratta da coloro che si fanno beffa della legge, che non pagano le tasse e che usano la stessa mano per premere il grilletto e accompagnare i figli a scuola. Epperò, nutrire una città così popolata di bravi ragazzi richiede un’organizzazione efficiente e non poca fatica.
La gente ha fretta. Ha fretta di prendere il diploma, la patente di guida, la laurea. Fretta di produrre, di lavorare, di fare carriera, di divertirsi, La gente ha fretta.
Ma di un presunto “Palazzo dei veleni” la Rettrice Giovanna Spatari non vuole sentire più parlare, esprime una certa inquietudine, d’accordo, ma assicura che con la sua elezione alla guida dell’Ateneo si è voltato pagina. Ciononostante, tutto cambia perché in realtà non cambia niente. Siamo di nuovo a Tomasi di Lampedusa, al suo celebre: “Se vogliamo che tutto rimanga com’ è, bisogna che tutto cambi“? Forse sì. Del resto come sorprendersi; con i tempi che corrono, con le cose che si vedono?


Traduciamo per i nostri lettori: l’Università di Messina non costituisce una fabbrica di veleni, ma talvolta ha conosciuto fenomeni di “intossicazione”. Troppo semplice: la Rettrice dimentica che sovente i cosiddetti veleni vengono dall’esterno, e sono all’interno, anche a causa di difetti di regole e controlli. Virus recepiti e ingeriti, talvolta metabolizzati, talvolta respinti: in una concezione civile della gestione di un “Palazzo” è sempre meglio dire la verità che tacere o raccontare una bugia su un segreto di Pulcinella. E’ sicuramente un momentaccio per l’Università di Messina e non si può prevedere se passerà in fretta. Alla fine quel che resta è una grande tristezza, ma nessuno stupore: purtroppo, occupandoci da anni di scandali, corruzione, mafia e appalti ai colpi di scena siamo abituati. Nel nostro amato e glorioso Ateneo non ci sarà molta legalità, ma il varietà è assicurato.