Quante donne sono sopraffatte dal peso e dal dramma della violenza

Andrea Filloramo

Uno dei fenomeni più inquietanti della storia dell’umanità e il più grande ed esteso “femminicidio” che mente umana possa immaginare a danno delle donne è stata la cosiddetta “caccia alle streghe”, che prese il via il 5 dicembre 1484 quando il Papa  Innocenzo VIII promulgò la bolla “Summis desiderantes” e continuò per secoli.

Con questa bolla il Pontefice ordinò di inquisire, torturare e uccidere le streghe in tutta Europa e incaricò due frati domenicani Jakob Sprenger e Heinrich Kramer, di dare inizio alla caccia in Germania.

I due frati pubblicarono il Malleus maleficarum, che è il primo manuale inquisitoriale interamente dedicato alla stregoneria. Per almeno due secoli sarà l’opera di riferimento per i tribunali cattolici e protestanti, diventando il libro più diffuso dopo la Bibbia.

 Le vittime della caccia alle streghe sono state circa 50.000. Sono state donne accusate di stregoneria, ritenute cioè anello di congiunzione tra l’umanità e il demonio, ritenute colpevoli di aver stretto un patto con Satana e per questo consegnate al tribunale dell’Inquisizione.

Sono state quindi torturate e bruciate vive con le motivazioni più diverse, spesso in base a delazioni anonime mosse anche da interesse. Bastava il pettegolezzo pubblico perché le donne fossero essere condotte a processo. Sostanzialmente una volta arrivate davanti alla sbarra erano quasi sicuramente condannate al rogo..

Alcune stime parlano di circa 110.000 processi, svoltisi principalmente in Germania (50.000), Polonia (10.000), Francia (10.000), Svizzera (9.000), isole britanniche (5.000), paesi scandinavi (5.000), Spagna (5.000), Italia (5.000) e Russia (4.000). Lo storico statunitense Brian P. Levack ha valutato le esecuzioni capitali al 55% dei processi, giungendo pertanto a un totale di giustiziati pari a circa 60.000 persone in tre secoli.

 Ritengo che oggi una domanda sia d’obbligo: La caccia alle streghe fu un atto cosciente estremo di misoginia alimentata dalla Chiesa, che per fortuna è impensabile ai nostri giorni; ma di quella misoginia quanta ne rimane ancora nelle pieghe oscure dell’anima di tanti e nella stessa Chiesa?

Credo che ancora ce ne sia tanta. Ci siamo forse reso conto in questi ultimi giorni da quando un corposo dibattito pubblico è scaturito dal rapimento e assassinio di Giulia Cecchettin e si fece avanti un malcelato vittimismo maschile («non tutti gli uomini»), un esplicito rifiuto della stessa categoria sociologica di patriarcato, la derubricazione della violenza a disordine affettivo e/o un invito alla prudenza.

In quel «non tutti gli uomini» c’è una forma dello strutturarsi al maschile di un “peccato originale”, di cui, come uomini, siamo dapprima vittime, diventandone presto complici.

Lo dice Papa Francesco quando afferma:

Quante donne sono sopraffatte dal peso e dal dramma della violenza! Quante sono maltrattate, abusate, schiavizzate, vittime della prepotenza di chi pensa di poter disporre del loro corpo e della loro vita, obbligate ad arrendersi alla cupidigia degli uomini”.

Bergoglio  punta  il dito anche contro i media e aggiunge:

Purtroppo su questo i mass-media giocano ancora un ruolo ambiguo. Da una parte favoriscono il rispetto e la promozione delle donne; ma dall’altra trasmettono continuamente messaggi improntati all’edonismo e al consumismo, i cui modelli, sia maschili sia femminili, obbediscono ai criteri del successo, dell’autoaffermazione, della competizione, del potere di attrarre l’altro e dominarlo. Ma dove c’è dominio c’è abuso! Non è amore quello che esige prigionieri. Il Signore ci vuole liberi e in piena dignità! Davanti alla piaga degli abusi fisici e psicologici sulle donne c’è l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci”.