La vita è uno spettacolo. La ragazza di Nardò

Messaggi strazianti dei famigliari. Polizie mobilitate. Ipotesi tra le più truci con informazione che già rimpinguava le statistiche dei femminicidi, che se la “scomparsa” fosse stata maschio, è probabile che – a parte “chi l’ha visto” e le forze dell’ordine e i parenti – pochi ci avrebbero fatto caso.

Il giorno dopo. Tutti dicono che si è concluso bene, con babbi, mamme, fratelli e amici in lacrime (le uniche reali vittime della vicenda), con qualcuno che magari pensa ad una chiamata in giudizio per falso allarme… di chi? La giovane si faceva i fatti propri. Dei media?

Siamo una società in fibrillazione, in allarme verso noi stessi, all’erta su tutto ciò che non è abitudine o facendo diventare spettacolo le abitudini. Noi individui, noi genitori, noi figli, noi amici. I media lo sanno, come sanno che hanno talvolta poco da dire e quindi costruiscono notizie e ipotesi delle stesse (Garlasco ci perseguita…). Spazzatura mediatica? No, entro una certa decenza di rispetto degli attori, ma disperata medianicità alla ricerca dello scoop.

Il giorno dopo ancora, forse la giovane di Nardò, aspirante con ottime credenziali a qualche “grande fratello”, sarà ospite di qualche trasmissione mediatica, di qualche discoteca o sagra. E forse godrà delle ferite che le sono state affibbiate per essere stata se stessa.

Sembra una versione 2025 della “Banalità del male” di Hannah Arendt. Molto aggiornata e molto più banale e meno drammatica.  Dove il “male” non è l’ovvio e banale dovere dell’impiegato hitleriano Eichmann che bruciava ebrei come fossero pratiche da far firmare al capo, ma è quello di una comunità che usa il “male” come fosse il “bene” e viceversa, e gode ed è normale spettacolarizzando se stessa.

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc