LA GUERRA DEL CONI: POCHI VINCITORI E TANTI SCONFITTI

Lo scontro tra chi pretende uno sport pulito e chi invece pensa di manovrarlo a suo piacimento (lobby della federazioni) ormai è diventato diretto, frontale. Da tempo del resto Giovanni Malagò e i suoi fedelissimi, lavoravano perchè questo accadesse.

 

Tra malumori, scatti d’ira, riappacificazioni improvvise molti dei loro ultimi atti di governo erano tutti tesi a una sorta di sottilissimo stanamento reciproco. L’accusa aperta adesso è molto dura, esiste una Lobby ritenuta colpevole di una “gestione confusionale” dello sport e ovviamente della giustizia stessa che regola le norme comportamentali dei tesserati.

E quanto lo sport rappresenti come movimento popolare e come industria bastano a ricordarlo i suoi grandi numeri e dunque gli interessi che regolano certi rapporti di forza. Se il tifoso è autorizzato dalla sua ignoranza a sospettare complotti, manovre, inciuci lo stesso non può dirsi per chi gestisce società o è deputato ai controlli.

Se ciò accade è sintomo di malessere. Tecnicamente sembra debbano ancora resistere i valori del campo ma sotto sotto scopri che esiste altro. E questo non va bene, non può essere accettato come male necessario. Non c’è uomo di sport che per ora si sia stupito delle ultime polemiche.

Troppe le vicende che sono scoppiate negli ultimi anni: dal calcio scommesse al toto nero nel basket per non dimenticare il doping negli spogliatoi e nei bilanci societari. Fino alla stessa gestione delle carriere degli arbitri (calcio e basket su tutti).

Sembra una stagione di sport vuota. Quando si parla della grande professionalità dei giocatori o degli stessi arbitri e della loro capacità di gestirsi, sarebbe bene dare uno sguardo alle tribune e alla facilità con cui si riempiono ormai di ex addetti ai lavori vogliosi di tutto fuorchè di continuare a giocare in un mondo senza regole né etica.

Ma al di là della consumata inciviltà dei soliti noti, colpisce la paura sottopelle dello tesserato normale, quello che vive lo sport, la gara, come un fatto sportivo e basta, quell’aria di eterna precarietà che si respira dovunque.

Alla fine è bastato un colpo di tosse di un generale dei carabinieri prestato allo sport che qualche “ultras” si muovesse per rimettere a tacere le voci fuori dal coro. Ma se molti difenderanno la voglia di restaurazione da tutto, chi difenderà lo sport da se stesso?

Insomma, il Coni rischia di dover temere le sue nuove regole, quella sorta di assetto gelido tutto targato managerialità e professionismo. Di fatto, nessuno va allo stadio o al palazzetto per veder giocar bene, tutti vanno per veder vincere.

Questo improvviso, continuo smembrarsi delle società, questo disperdersi dei patrimoni, il loro eterno trattare, cavillare e ripartire, rischia di mettere profondamente in crisi qualunque tipo di identificazione. E non è roba da poco.