Il virus della disinformazione una minaccia per l’Europa

Essere giornalisti nell’era di ChatGPT: un vasto orizzonte di nuove responsabilità e implicazioni emerge in questo momento storico denso di contraddizioni. La libertà dell’informazione appare minacciata dallo strapotere delle piattaforme, mentre risulta sempre più difficile fare il cronista nell’affollata arena del web, dove vero e verosimile si mescolano in maniera inestricabile.

Un interessante seminario, che si è svolto nella giornata dell’8 marzo a Roma “L’Europa alla sfida della disinformazione: #Giornalismo #IA #FakeNews” organizzato dall’Osservatorio TuttiMedia e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, ha affrontato questi temi destinati a pesare nell’immediato futuro. Al centro del confronto la preoccupazione per il “virus” dilagante della disinformazione, rispetto al quale il miglior antidoto (su questo gli specialisti convenuti si sono trovati d’accordo) rimane, anche nel tempo di Internet, la qualità nell’esercizio della professione giornalistica e il controllo rigoroso e puntuale delle fonti.

Disinformazione una grave minaccia per la collettività

«L’88% del pubblico che segue l’industria delle notizie per aggiornarsi e capire i segnali dell’attualità considera la disinformazione – ha commentato Carlo Corazza, direttore dell’ufficio del Parlamento EU in Italia ‒ come una grave minaccia per la collettività. Un giornalismo robusto può servire ad attenuare il rischio, perché sono i buoni operatori dell’informazione le prime sentinelle della democrazia liberale». Investire nella professionalità è dunque il fattore cruciale, se abbiamo a cuore i diritti universali, patrimonio inestimabile di ogni uomo. Protagonisti del dibattuto sono stati gli specializzandi che frequentano i Master in giornalismo della Lumsa e della Luiss.

«Il ruolo delle nuove leve – ha sottolineato Antonio Parenti, capo della Rappresentanza italiana della Commissione Europea – oggi si carica di una importante dimensione etica. Individuare con perizia le fonti, privilegiando le più attendibili, vuol dire riaffermare quella funzione di critica e di controllo del potere che è compito del giornalista, da sempre “cane da guardia” della democrazia». Quando parliamo di equilibrio tra i poteri, sono sempre in gioco i princìpi cardine su cui si regge il pavimento della civile convivenza, fa notare Agnese Pini direttore del Quotidiano Nazionale: «Il fatto che l’informazione con l’avvento della rivoluzione hi-tech non sia più elitaria, amplifica l’esigenza di educare tutti ad un uso corretto della strumentazione digitale di cui ormai tutti disponiamo con grande immediatezza». Esiste un’ermeneutica della notizia (non stiamo parlando di un’astratta materia accademica ma di una capacità che un giornalista. un professionista deve possedere) che risulta decisiva nella costruzione del racconto giornalistico e che può contribuire a migliorare il discorso pubblico, troppo spesso superficiale quando non imbarbarito dall’assenza di visione del bene comune. A questo proposito è utile ricordare che «Informazione e comunicazione non sono la stessa cosa ‒ riprende l’analisi di Agnese Pini ‒ marcare questa differenza significa comprendere quanto sia importante la lettura critica di fatti ed eventi».

La mediamorfosi irrompe nel cambiamento d’epoca

Il cambiamento d’epoca deve diventare, esso stesso, fenomeno di studio se non si vuole perdere la bussola di comprensione del presente. «L’arrivo dirompente di quello che gli studiosi definiscono Large Language Modelling, linguaggio sofisticato dell’Intelligenza artificiale e delle prime serie di GPT di OpenAI, con l’ingresso in campo di Microsoft e Google con Bing e Bard, segnala un salto quantico: non solo nel processo di trasformazione digitale, ma anche delle categorie epistemologiche e antropologiche», il parere di Derrick de Kerckhove, direttore scientifico di TuttiMedia, allievo di McLuhan, filosofo e massmediologo di fama mondiale, celebre teorico dell’Intelligenza connettiva. «Gli esseri umani stanno per delegare alle macchine la loro caratteristica distintiva, cioè il pensiero in tempo reale con parole e immagini. Nella tempesta attuale si cerca, infatti, aiuto nell’IA che si presenta come una soluzione per il controllo sulla verifica dei fatti, per la traduzione linguistica, per il reporting automatizzato e per la personalizzazione. Le tecnologie però non sono ancora pronte o sufficientemente mature, perché non possono andare a sostituire la capacità e il senso critico del giornalista in quanto umano, come mi ha risposto anche lo stesso ChatGP. Quella descritta dal direttore scientifico di MediaDuemila è una vera e propria “mediamorfosi”, che vede l’ingresso dell’algoritmo anche nelle redazioni. Il giornalista è chiamato a non arretrare di un millimetro nel suo ruolo di mediatore, costretto, come spesso si trova, a regolare il traffico di notizie che corrono su piattaforme multicanale, che tendono a sfuggire a ogni verifica. Anche se abbiamo l’impressione che le fonti si moltiplicano a ritmi vorticosi, bisogna ricordare che il fatto rimane nella sua unicità, lasciando al cronista la responsabilità di analizzarlo, sminuzzarlo, raccontarlo. Sovente, lo si sta vedendo molto bene in questo annus horribilis della guerra russo-ucraina: l’approvigionamento delle notizie è inquinato fin dalle origini, le carte vengono mescolate, nella volontà di nascondere la verità. Slow news, no news, era l’adagio tradizionale ricordato da Michele Mezza nel recente saggio Net-War (ed. Donzelli), volto a sottolineare l’importanza del fattore tempo che insegue chi lavora con l’attualità, ricercando il nesso plausibile che lega gli accadimenti. La libertà, non deve mai mancare nella tessitura dell’informazione, perché è la libertà il “respiro” della democrazia come solennemente sancito dall’articolo 21 della Costituzione. Oggi, si impone una riformulazione di quel detto, nella forma: “Slow analysis, no news”, il giornalista di domani sarà sempre più un analista, che si misura con tecniche di cyber security, muovendosi nell’orizzonte del digitale, si troverà a maneggiare una diversa sintassi, impegnato a proteggere fonti reali e virtuali, dalle insidie di hacker, capaci di giocare con gli eventi, di capovolgerli, proiettandoli in un “metaverso” di significati, difficili da interpretare.

La tecnologia è il messaggio

Ma se la tecnologia è il messaggio, l’algoritmo, il vestito su misura che bisogna indossare, il senso critico del soggetto, la sensibilità che si sviluppa con il metodo dialettico e il confronto, quale destino avrà? «Informazione e disinformazione sono due facce della stessa medaglia», il parere di Gianni Riotta, direttore del Master della Luiss con un passato di inviato per la televisione e la carta stampata. «Gli organismi europei riuniti a Roma sono impegnati nella battaglia contro la disinformazione ed è una buona notizia, peccato però che i fondi a loro dedicati siano stati dimezzati». Una contraddizione intollerabile denunciata, in conclusione del dibattito, da Maria Pia Rossignaud, vicepresidente dell’Osservatorio TuttiMedia e direttore responsabile di MediaDuemila «Non ci può essere futuro senza visone, nostro compito è quello di tracciare percorsi e pratiche di successo per i giornalisti e il mondo dei media». La nostra speranza è che il messaggio forte, che questa giornata di studi ha voluto comunicare all’opinione pubblica, possa diventare priorità nell’agenda dei governi e di quelle élite cosmopolite che hanno in mano il destino del Pianeta.

Massimiliano Cannata – www.leurispes.it