
di Andrea Filloramo
Nello Stretto di Messina c’è un fenomeno tanto reale quanto sfuggente, tanto visibile quanto impalpabile: è la cosiddetta “Lupa”, un’apparizione spettrale che compare ciclicamente, soprattutto nei giorni vicini agli equinozi.
Si tratta di un’ombra densa che serpeggia sulle acque, striscia lungo la costa e si arrampica avvolgendo ogni cosa.
Spinta dalle brezze, avanza con un movimento quasi vivo, un animale invisibile che soffia sulla terra e si spinge fin dove le condizioni atmosferiche glielo permettono.
Gli scienziati la chiamano nebbia d’avvezione, ma il nome non riesce a catturarne la natura inquietante.
Non è una semplice nube bassa, né il frutto di un’innocente umidità. La Lupa nasce da un contrasto estremo: quando le acque fredde del mare incontrano masse d’aria calda e umida provenienti dal sud, la condensa avvolge l’aria come un sudario e si insinua sulle coste e va via quando il vento cambia direzione.
I messinesi osservano la Lupa con grande indifferenza; per loro è solo una metafora che, simile al mito greco di Silla e Cariddi, rappresenta l’incertezza di un continuo oscillare fra due rive d’approdo e, quindi l’impossibilità di vedere chiaramente il futuro. Ciò crea un senso di smarrimento e di discrepanza tra le aspettative e l’immutabile realtà.
La verità di questa rappresentazione gli abitanti della vecchia Zancle oggi la vedono concentrata tutta nel vecchio progetto del Ponte sullo Stretto, riesumato da Salvini, che è destinato a rimanere sempre qualcosa di sospeso sul mare, come la Lupa, una promessa che dovrebbe unire terre e destini, ma, ad ogni passo del lungo iter esecutivo, rivela il vuoto sotto i piedi e, pertanto, il vento e la nebbia più fitta scuote chi osa attraversarlo.
I messinesi osservano il mare come se sapessero, segretamente, che il Ponte sullo Stretto — il più grande del mondo, luminoso, enfaticamente celebrato nei rendering ministeriali — non potrà mai esistere.
Sanno che le correnti impetuose, le faglie geologiche, la profondità dell’acqua e i venti incessanti, infatti, lo rendono un sogno impossibile a realizzarsi, una Lupa non voluta dalla natura, un fantasma destinato a rimanere, come fino ad ora è avvenuto, nelle carte ministeriali, nelle mappe del Comune e, mal sopportato, negli allarmati verbali delle commissioni consiliari.
Lo sa bene Federico Basile, il sindaco di Messina, al quale sta a cuore la città che amministra, che parla, rassicura, firma osservazioni, cerca di convincere i cittadini che il Ponte è una “opportunità epocale”, ma sicuramente dentro di sé ha chiara la verità: il Ponte è una realtà oscura che non nascerà mai. Ogni sua parola è un atto politico necessario, obbligato, ma ogni suo gesto è un passo su un filo invisibile tra la realtà e l’illusione.
Nella città, intanto, ci sono tanti che, di notte, sollecitati da Matteo Salvini sognano il Ponte: un arco sospeso sull’acqua, auto e treni che lo attraversano, luci che illuminano il cielo, miriadi di uccelli di tutte le specie che scappano atterriti; poi, però, il vento lo scuote, le onde lo spezzano e tutto crolla, svanisce come fumo, come la nebbia che scompare quando cambia il vento. Poi infine c’è con la sveglia la loro amara illusione.
La Lupa intanto continua a incombere sullo Stretto; il mare, come fa da millenni, continua a infrangersi sulle scogliere e la città, continua a vivere, fragile come sempre, ma capace di nutrire la certezza di essere finalmente unita con l’altra sponda ma solo con l’immaginazione.