Digitale, come siamo diventati

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È successo in breve tempo e non ci siamo accorti che era in atto una rivoluzione digitale. In appena 40 anni è cambiato il nostro modo di comunicare, di relazionarci con gli altri, di trascorrere il tempo libero. Ogni aspetto della vita è stato investito da una rivoluzione, e così siamo diventati tutti digitali. Come è stato possibile? Come ci sentiamo oggi?

Prova ad offrircene qualche indicazione la mostra The game, Elettricità e rivoluzione digitale, appena aperta a Pavia nel museo della tecnica elettrica (sino al 23 febbraio 2023), che si ispira al fortunato libro di Alessandro Baricco (The game), scritto appena nel 2008, già un’altra epoca. Propone un viaggio in una trasformazione epocale delle nostre vite attraverso l’osservazione degli oggetti d’uso più comune, partendo dalle cose semplici e ordinarie.

Realtà digitale: più leggera, artificiale e astratta

Per esempio, ecco i vecchi giochi con cui, da ragazzi, ingannavamo le ore vuote, dal flipper al calciobalilla. Un bel giorno hanno cambiato faccia e funzionamento, e sono stati dotati di codici, tastiere, schermi. Ci è sembrato naturale, ci siamo abituati in fretta. Non abbiamo intuito che presto quelle modalità si sarebbero estese a tanto altro. Né abbiamo capito quali cambiamenti si sarebbero verificati a breve in ogni aspetto della vita. Era il segno dell’ingresso in un’altra realtà. Più leggera, anche più artificiale ed astratta. Oggi tutto ciò è materia di studio. I ragazzi, che non hanno vissuto la stagione, né hanno mai usato quelle cose, hanno la strana sensazione di trattare reperti archeologici. I più dotti parlano già di un’epoca “classica”, quella poco distante dal presente.

L’email ha messo fine al mondo fantastico delle cartoline

Era l’ultimo ventennio del Novecento quando sono comparsi i computer, nata la mitica Rete, i rullini dalle macchine fotografiche sono stati sostituiti da schede, e abbiamo cominciato ad usare le mail. Lo strumento dilagante che ha messo fine al mondo fantastico delle cartoline, alla scelta della carta da lettere, alla precisione della scrittura a mano. Le forme di un tempo lento cancellato dalla fretta.
Sono piccoli, grandi passi quelli che precedono lo stravolgimento dei primi anni del secolo. È la circolazione delle informazioni a subire uno cambiamento impensabile e irreversibile. Nascono i social, poi le versioni digitali dei giornali, in gara perenne con il fascino retrò della carta stampata. Nel nuovo tempo della velocità, si riduce la distanza tra l’uomo e la macchina, e quest’ultima si appropria di un’infinità di funzioni, sgravando le persone di pesi. Alleggerendone anche il ruolo sociale e significato individuale. Soprattutto, la tecnologia entra nel quotidiano, invade le case e il lavoro, sovvertendo incombenze e mansioni. Le improvvise facilità impongono ripensamenti mentali, e riordino accurato di ciò che resta.

Conquistati dal nuovo, preoccupati delle conseguenze del digitale

Capire che cosa sia successo in questo tempo non è facile, certo non siamo riusciti a farlo mentre accadeva. Oggi, siamo presi in contropiede, conquistati dal nuovo, preoccupati delle conseguenze. Ci è sfuggita la portata reale di tutto, finché abbiamo constatato che non saremmo tornati indietro. Né avremmo potuto farlo, ci eravamo spinti troppo oltre. Eccessiva la velocità di marcia, e forse scarsa la consapevolezza. Storditi dalle innovazioni, galvanizzati dalle novità, l’importante era la ricerca del nuovo sempre più nuovo. Proprio ritrovare gli oggetti di una volta, oggi desueti e inutilizzati, dà il senso della svolta. Vedere alla Silicon Valley in America il primo Mac riposto in una teca allontana da noi quel prodigio, lo rende quasi oggetto da proteggere tanto è fragile rispetto alle novità successive, suscita tenerezza e malinconia. Ma è la stessa raccolta delle cose d’uso in un museo a creare una cesura, è come consegnare un pezzo di vita alla memoria.
L’impressione che oggi accompagna l’osservatore è che il cambiamento abbia prodotto una sorta di “realtà aumentata”, moltiplicata per sé stessa, cresciuta nelle potenzialità e nelle sfaccettature. Non è solo un arricchimento di percezioni sensoriali come se ci servissimo sempre di visori potenti per guardare. Molto di più. È cambiato il modo di vivere nel senso che, ad esempio, siamo tutti “multitasking”, facciamo più cose nello stesso tempo, sovrapponendo spazi, occasioni, anche persone.

L’era digitale assottiglia i confini tra tempo del lavoro e dello svago

L’abbiamo vista, in forme accentuate, con la pandemia e lo smart working, questa mescolanza estrema. Non c’è più un tempo del lavoro distinto da quello del riposo o dello svago: tutto rischia di essere l’uno e l’altro insieme, confondendo fatica e leggerezza. Si leggono le mail di lavoro mentre si fa uno spuntino o si parla in famiglia, non si spegne il cellulare quando si è in compagnia o in situazioni non pertinenti (la scuola, il teatro, una riunione) o si parla tra amici: è sempre lì, in mano o a portata di dito, non smettiamo di monitorarlo. Un’ossessione che crea dipendenza senza sostanza. Come se non ci bastasse la vita e fossimo alla ricerca spasmodica di altro, o ne avessimo paura.
Le tecnologie ci liberano dall’ignoranza (se lo vogliamo) e da limiti materiali, offrendo possibilità (quasi) infinite. Ci inebriamo della sensazione di libertà, siamo estasiati al pensiero di ciò che possiamo fare. Si crea anche un sovraccarico di informazioni ed emozioni che spesso impedisce di apprezzarne il valore singolare. Scambiamo l’immersione continua nel flusso per un senso di pienezza, convinti così di sentirci al centro delle cose, in grado di controllarle.

La sensazione di non poter rinunciare alla tecnologia si collega alla paura dell’isolamento dal mondo

La sensazione di non poter rinunciare alla tecnologia si collega alla paura dell’isolamento dal mondo, fa sorgere il timore, se sconnessi, di essere emarginati, assume il significato di un sostegno irrinunciabile. Forse, varrebbe la pena ricordare che anche i buoni farmaci possono diventare veleno, se usati male. Se avessimo dato retta (solo su questo) a Platone, che diffidava della scrittura, prima tecnica della storia, perché avrebbe ridimensionato il ruolo della memoria, non avremmo fatto molti passi avanti nella tecnologia. Sarebbe stato un errore. Però l’umanità ha saputo progredire proprio perché ha cercato di non smarrire la coscienza degli strumenti che inventava.

Angelo Perrone – www.leurispes.it