Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk: Riccardo Chailly e Vasily Barkhatov portano Šostakovič al 7 dicembre

Inaugura la Stagione d’opera 2025/2026 del Teatro alla Scala Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovič, nel cinquantesimo anniversario della scomparsa del compositore.

Il Direttore musicale Riccardo Chailly, alla sua dodicesima inaugurazione di Stagione, dirige Orchestra e Coro del Teatro alla Scala. La regia è di Vasily Barkhatov, le scene sono di Zinovy Margolin, i costumi sono firmati da Olga Shaishmelashvili, le luci sono a cura di Alexander Sivaev. Il cast vocale è guidato da Sara Jakubiak (Katerina L’vovna Izmajlova), Najmiddin Mavlyanov (Sergej), Yevgeny Akimov (Zinovij Borisovič Izmailov) e Alexander Roslavets (Boris Timofeevič Izmailov).

L’opera andrà in scena domenica 7 dicembre alle ore 18 (con l’Anteprima Under30 giovedì 4 dicembre alle ore 18), mercoledì 10 dicembre alle ore 20 (turno Prime Opera), sabato 13 dicembre alle ore 20 (turno A), martedì 16 dicembre alle ore 20 (turno B), venerdì 19 dicembre alle ore 20 (turno C), martedì 23 dicembre alle ore 20 (turno D) e martedì 30 dicembre alle ore 20 (fuori abbonamento).

Il compositore, autore anche del libretto tratto dal romanzo di Nikolaj Leskov, aveva immaginato l’opera come prima anta di un trittico che avrebbe descritto la condizione della donna in diverse epoche della storia russa. La vicenda, ambientata nella campagna russa negli anni 1860 (la servitù della gleba è abolita nel 1861), vede protagonista la giovane Katerina Izmajlova che, sposata contro la sua volontà a Zinovij, un giovane possidente imbelle, e soggetta alle angherie anche sessuali del suocero, è attratta dal garzone Sergej, sfacciato e brutale. Quando il suocero li scopre e frusta Sergej, Katerina lo avvelena con una zuppa di funghi. Al ritorno del marito, Katerina e Sergej si liberano anche di lui e si sposano, ma durante la cerimonia un servo scopre il cadavere di Zinovij nascosto in cantina. Katerina e Sergej (che nel racconto di Leskov uccidono anche un nipote per sottrargli l’eredità) sono condannati ai lavori forzati. Durante il viaggio Sergej preferisce a Katerina una ragazza più giovane: Katerina la uccide trascinandola con sé nelle acque ghiacciate del fiume.

Dopo la doppia prima, il 22 gennaio 1934 a Leningrado e due giorni dopo a Mosca, l’opera gode di un clamoroso succès de scandale, sia per la spietata critica sociale sia per l’inedito realismo nella rappresentazione della sessualità. Šostakovič abbandona la vena satirica astratta e surreale della sua prima opera, Il naso – tratta da Gogol’ e andata in scena per sole sei rappresentazioni a Mosca nel 1930 – per rifarsi alla ruvida aderenza al vero di Musorgskij, e il pubblico risponde entusiasta: duecento rappresentazioni in due anni tra Leningrado e Mosca. Il vento però sta cambiando, come spiega Galina Vishnevskaya, celebre interprete di Katerina, nelle sue memorie: “I compositori dell’ex-Proletkult che in passato erano stati spietatamente criticati da Šostakovič stavano ora monopolizzando l’Unione dei Compositori proprio di fianco al Cremlino, e covavano il loro rancore verso Šostakovič”.

Ma soprattutto, le direttive di Ždanov, nuovo responsabile della cultura del Partito comunista, chiedono ottimismo, eroi positivi e finali lieti. Nel gennaio 1936 Stalin assiste a una rappresentazione. L’articolo della Pravda segna il bando per l’opera in Russia e la disgrazia del compositore, che dura fino agli anni di Kruščëv, quando Šostakovič accetta di curare una versione emendata del suo lavoro che va in scena a Mosca nel 1963 con il nuovo titolo Katerina Ismailova. Le scene di erotismo più acceso sono soppresse, il linguaggio musicale è meno abrasivo.

Il rapporto di Riccardo Chailly con la produzione operistica di Šostakovič ebbe inizio proprio al Piermarini più di cinquant’anni fa: “Tutto cominciò nel 1972, quando avevo 19 anni. Ebbi il privilegio di assistere alle prove e alle rappresentazioni dell’opera Il naso di Šostakovič, diretta da Bruno Bartoletti con la regia di Eduardo De Filippo. Rimasi letteralmente stordito per giorni. Mi colpì enormemente la modernità, il coraggio di affrontare un testo di Gogol’ in quel modo”.

Da una parte, la tecnica compositiva di uno Šostakovič appena ventiquattrenne che realizza un’orchestrazione di rara fattura, in cui – come continua Chailly – “non si corregge niente, non si taglia niente, e che mostra nella scrittura un sapiente e innovativo uso della politonalità”. Dall’altra, una conoscenza capillare del patrimonio delle melodie popolari russe, fattore determinante per lo strabiliante successo riscosso nel periodo precedente alla sua censura, che porta questo titolo a essere rappresentato quasi duecento volte tra Leningrado e Mosca nell’arco di un anno e mezzo. Continua Chailly: “Šostakovič accenna, ammicca, inserisce quasi a mosaico elementi riconoscibili dalla tradizione popolare russa”.

Ma non finisce qui. In Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk coesiste con questa tradizione folklorica anche un aspetto legato alla musica mitteleuropea, come attesta la citazione all’interno della seconda aria di Katerina nel Quarto Atto, dell’Abschied dal Lied von der Erde di Gustav Mahler, come ricorda Chailly: “Qui Šostakovič aveva bisogno di rappresentare musicalmente il vuoto totale di una donna delusa da tutto, a un passo dalla disperazione definitiva”.

Del resto – come ci ricorda Franco Pulcini – nel Quarto Atto “l’alchimia dell’orchestrazione raggiunge effetti lugubri. Pensiamo all’impressionante ‘Passacaglia’, interludio posto fra i due quadri del secondo atto. Il finale dell’opera, l’ultimo atto, è di abissale pessimismo, con musica in presa diretta emotiva. Qui e altrove, insieme a Musorgskij, il faro dell’ispirazione resta soprattutto l’ultimo Mahler, poeta sinfonico della morte, per le tinte cadaveriche che traspaiono nel tessuto strumentale”.

Una partitura piena di contrasti, dunque, in cui, al fianco di questo elemento struggente, convive l’elemento grottesco, magistralmente rappresentato musicalmente da Šostakovič. Continua il Direttore musicale: “Il grottesco in quest’opera sconvolge fin dal primo ascolto. Basta concentrarsi sul canto del prete dopo aver scoperto che Boris è stato avvelenato da Katerina. Una scrittura che rimanda quasi al mondo dell’operetta, un linguaggio musicale completamente diverso, quasi da tragedia satirica, in cui s’impone l’idea del grottesco”.

La revisione dell’opera negli anni ‘50 aveva suscitato un vivo interesse anche in via Filodrammatici. Il successo planetario del romanzo Il dottor Zivago, proibito dalla censura sovietica e pubblicato per la prima volta dall’editore italiano Feltrinelli nel 1957, aveva creato un’ondata di interesse per le opere del dissenso e il Direttore artistico Francesco Siciliani aveva avviato invano le trattative per ottenere che la prima assoluta della Katerina avvenisse alla Scala. L’opera vi arriva invece solo nel maggio 1964, con la direzione di Nino Sanzogno, la regia di Milo Wasserbauer e Inge Borkh nei panni di Katerina. Negli anni seguenti Mstislav Rostropovich si fa paladino della riscoperta della prima e più radicale versione dell’opera: una battaglia insieme artistica e politica per le ragioni autentiche, ancorché rinnegate, del lavoro poetico. Bisognerà attendere il 1992 perché Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk arrivi anche alla Scala, con la regia di André Engel e la direzione di Kazushi Ono, per poi tornare nuovamente nel 2007, con la direzione di Myung-Whun Chung e la regia di Richard Jones.

Riccardo Chailly, direttore

Con la sua dodicesima inaugurazione di stagione il maestro Riccardo Chailly prosegue una collaborazione con il Teatro alla Scala che risale al 1978 e che proseguirà anche nei prossimi anni. Le opere di Giuseppe Verdi, dai titoli giovanili fino a Aida e Don Carlo, la scoperta delle versioni originali di titoli pucciniani, il ritorno di capolavori che ebbero alla Scala la loro prima rappresentazione, nonché una vastissima ricognizione del repertorio sinfonico, che negli ultimi anni si è concentrato in particolare sulla Seconda Scuola di Vienna, sono solo alcuni dei percorsi approfonditi dal Maestro in un rapporto sempre più stretto con l’Orchestra e il Coro scaligeri. Tra questi filoni, anche il repertorio russo: con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk Chailly corona un percorso iniziato nel lontano 1991 con La fiera di Sorocincy di Modest Musorgskij e proseguito poi con L’angelo di fuoco di Prokof’ev nel 1994 e con Boris Godunov nel 2022.

Riccardo Chailly ha intessuto negli anni un rapporto profondo con Orchestra e Coro scaligeri. Un legame che, come nel caso del repertorio operistico di Šostakovič, vede strettamente connesso il Direttore musicale al Teatro alla Scala, in un lavoro di perpetua ricerca e condivisione di meravigliose pagine del repertorio, e che proietta questa sinergica e prolifica collaborazione nel futuro garantendo al pubblico la presenza di Riccardo Chailly al Piermarini negli anni a venire.

Vasily Barkhatov, regista

Vasily Barkhatov segna con questa regia il suo debutto scaligero. Quello fra direzione musicale e regia è stato in questo caso un lavoro capillare e profondo nella partitura, iniziato da molto tempo, come ricorda il regista: “Questa è la mia prima collaborazione con Riccardo Chailly. Quasi due anni fa abbiamo parlato per la prima volta dell’opera. Grazie al lavoro con lui ho potuto scoprire ulteriori aspetti interessanti della partitura: una partitura molto cinematografica, in cui vengono forniti minuziosi dettagli per l’azione scenica e che ci consente dunque di rappresentare minuziosamente i personaggi dal punto di vista psicologico. Stiamo osservando e discutendo insieme tutto, è una collaborazione che ci vede affiancati molto in profondità”.

Ne deriva una regia concentrata sul personaggio di Katerina Izmajlova, in una drammaturgia che si sviluppa lungo i suoi ricordi e le sue confessioni. Le coordinate della messa in scena si basano proprio sulla drammaturgia suggerita da Šostakovič, che, secondo le parole di Barkhatov, “oscilla tra humour e tragedia cinematografica, tra l’assurdo, il realistico e la tragedia violenta. Facciamo lo stesso, cercando di salvaguardare l’intero contenuto della partitura”.

E chi è Katerina, nella visione di Barkhatov? Afferma il regista: “Katerina sta compiendo un delitto per la sua libertà e per la sua identità, ma rimane pur sempre un delitto. Proviamo a entrare nella sua mente. Katerina ha bisogno di fare questo, non ha altro modo per fuggire da una costrizione. Ma quando diventa cosciente del tradimento di Sergej, in Siberia, realizza profondamente di aver commesso nient’altro che un omicidio, capisce di essere un mostro, capisce di non aver fatto niente di buono”.

Una donna che, lottando per la sua identità, compie un gesto efferato. Tuttavia, continua Barkhatov, “non la vedo assolutamente come una pazza, ma come una donna scontenta e frustrata, che ha preso questo amore con Sergej come qualcosa di grande”.

Un’opera che parla ancora molto al presente e porta in scena, ad esempio, l’attuale tema della libertà sessuale, una delle conquiste della Rivoluzione russa, che, come si diceva al tempo, avrebbe dovuto garantire che la possibilità di soddisfare i propri istinti dovesse essere semplice come “bere un bicchier d’acqua” quando si ha sete. Ma è nel 1934, anno di pubblicazione dell’opera, che l’Unione Sovietica introduce il divieto di aborto, cerca di assumere contromisure significative contro il divorzio e mette al bando l’omosessualità. Come ci ricorda Franco Pulcini, tra gli altri, “il successo dell’opera coincide con l’abolizione di tale libertà”, e rappresenta in qualche modo un riscatto di queste libertà perdute.

Del resto, Šostakovič ambienta la vicenda nel mondo provinciale del distretto di Mcensk, una società rurale, arretrata e patriarcale, che fa sì che il testo sia connotato da un linguaggio esplicito e prosaico, atto a rappresentare una società fortemente patriarcale in cui la considerazione della donna è estremamente arretrata, e che il compositore mette in scena per condannarla.

Le trasmissioni Rai

Anche per questo 7 dicembre si rinnova la collaborazione con Rai, che propone la Prima in diretta su Rai1 il 7 dicembre a partire dalle 17.45, con una definizione quattro volte superiore rispetto agli standard televisivi abituali, come già avvenuto negli anni scorsi con Don Carlo e La forza del destino. Si tratta della quarantanovesima apertura della Stagione d’opera del Teatro alla Scala trasmessa in diretta dalla Rai, preludio all’anniversario del 2026, che segna i cinquant’anni di questa importante collaborazione, iniziata nel 1976. Su Rai1 Milly Carlucci e Bruno Vespa, con collegamenti di Giorgia Cardinaletti dal foyer, condurranno la diretta televisiva incontrando, prima dell’inizio e durante l’intervallo, i protagonisti e gli ospiti presenti. Per Radio3 seguiranno la diretta Gaia Varon e Oreste Bossini, e sarà prevista la trasmissione sul Circuito Euroradio in diretta in Romania, Croazia, Slovacchia, Serbia, Portogallo, Bulgaria e Slovenia, e in differita in Spagna (data da destinarsi), Francia (13 dicembre), Svezia (data da destinarsi), Svizzera (data da destinarsi) e Belgio (27 dicembre).

Lo spettacolo, con la regia televisiva di Arnalda Canali, sarà trasmesso in diretta anche su Rai Radio3, su Rai1 HD canale 501, su Rai4K e su RaiPlay, dove potrà essere visto per 15 giorni dopo la Prima. Anche quest’anno la trasmissione dell’opera sarà corredata dall’audiodescrizione in diretta. Sono numerosi i broadcaster di tutti i continenti che trasmetteranno l’evento in diretta da Milano grazie agli accordi sottoscritti con Rai Com: da ARTE per Francia, Belgio, Austria, Germania, Liechtenstein e Lussemburgo alla Svizzera RSI, dalla portoghese RTP. Dall’Europa al Giappone, dove la NHK manderà in onda l’opera in differita in formato 4K HDR. La Prima della Scala sarà fruibile in tutto il mondo sulla piattaforma Medici Tv e sarà proiettata in diretta anche nelle sale cinematografiche di Finlandia, Scandinavia, Spagna, Svizzera, America Latina, Australia e Nuova Zelanda.

Aspettando il 7 dicembre. Come ogni anno, il Teatro alla Scala propone un ampio palinsesto di appuntamenti di avvicinamento all’apertura della Stagione d’opera. Un calendario che prosegue fino al 7 dicembre, e che è iniziato nelle scorse settimane con l’incontro di studio intitolato “La donna e la storia: un’inquietante tragedia satirica”, a cui, insieme al M° Riccardo Chailly e al curatore Raffaele Mellace, hanno partecipato Paolo Nori, Franco Pulcini e Anna Giust.

Agli incontri organizzati dal Teatro si aggiunge il calendario di eventi compresi nel progetto “Prima diffusa” promosso da Comune di Milano, Rai e Edison.