Sodoma, potere e scandalo in Vaticano

Sodoma: è certo che la sessualità non può essere negata a nessuno neppure ai preti, che occorre viverla con grande equilibrio, che se non è vissuta con equilibrio viene facilmente sostituita da una delle tante forme patologiche e psichiatriche di cui il clero non può essere immune.

 

di ANDREA FILLORAMO

Siamo in attesa di leggere il libro “Sodoma” di Frédéric Martel (Casa Editrice Feltrinelli) in libreria a partire dal 21 febbraio, di cui fino a oggi abbiamo alcune recensioni ma che si preannuncia come un’operazione editoriale internazionale fatta a ridosso del summit sulla pedofilia voluto da Papa Francesco.

 

L’edizione italiana, in modo completo, si intitola «Sodoma, potere e scandalo in Vaticano», una “bomba editoriale” per la Chiesa cattolica. Dopo quasi quattro anni di interviste al di là del Tevere per mettere a fuoco i comportamenti, l’autore dimostra che la corruzione e l’ipocrisia nel cuore del Vaticano regnano sovrane e che 8 preti su 10 nella Santa Sede sarebbero gay.

Ritengo che il contenuto del libro – ma lo dico senza molta convinzione – possa convincere i vescovi che non hanno “scheletri nell’armadio”, che sicuramente ci saranno, a seguire il papa nella lotta alla corruzione dei preti in qualunque maniera essa si presenta.

E’ certo che la sessualità non può essere negata a nessuno neppure ai preti, che occorre viverla con grande equilibrio, che se non è vissuta con equilibrio viene facilmente sostituita da una delle tante forme patologiche e psichiatriche di cui il clero non può essere immune. A tale equilibrio, preti, vescovi e cardinali, nei lunghi anni del seminario – diciamolo con chiarezza – non sono stati educati. Mi permetto, perciò, riportare qualche “stralcio” del mio libro: “Oblio e ricordi” (Casa Editrice BOOK Sprint 2016), dove affronto questo tema e particolarmente quello della sessualità nei seminari.
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DA OBLIO E RICORDI di Andrea Filloramo

Oggi lo dobbiamo gridare ai quattro venti: l’essere umano ha bisogno di sesso come ha bisogno di cibo. L’astinenza prolungata, come la fame, genera squilibri mentali che portano l’uomo a comportamenti spesso pericolosi per sé e per gli altri. Molti dei vizi e delle perversioni che si verificano nella società, infatti, sono determinati da tabù che impediscono il normale svolgersi delle leggi naturali. È cosa risaputa che la natura, quando viene contrastata, prima o poi, fa valere le sue ragioni e in maniera tanto più violenta per quanto più violenta è la repressione che si opera contro di essa. In una società dove il sesso è considerato come un bisogno fisiologico e non come fonte di vizio e di peccato, tutte le perversioni sarebbero ridotte pressoché a nulla come lo sarebbero quelle violenze carnali e quegli omicidi che spesso sono determinati da un odio verso la donna che è vista dall’uomo come responsabile dell’angoscia derivante dalla repressione. Il sesso, che in una società priva di tabù potrebbe essere motivo di distensione e di concordia, diviene così, in un mondo basato sulla frustrazione, motivo di ricatto, di odio e di rancore. Il credere che la rinuncia ai piaceri della carne ci renda meritevoli di ricompense dopo la morte non è che uno dei tanti assurdi per imporre, una falsa morale! Cambierà la dottrina della Chiesa sulla sessualità? Mi sembra difficile che avvenga. Secondo Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, la Chiesa ha formulato i propri precetti nel contesto di una fase storica ben determinata, quella in cui ha vissuto Cristo, ma ha commesso l’errore di assolutizzare e difendere ostinatamente la dottrina senza più badare alla sua adeguatezza rispetto alle trasformazioni sociali: “Il Cristianesimo ha trasformato in un assoluto quello che è solo un passaggio della civiltà”. In nessuno strato sociale vi sono tanti casi di isteria e di perversioni come negli ambienti della Chiesa. Da questo però non si deve trarre la conclusione sbagliata di dover trattare queste persone come criminali pervertiti. Da conversazioni avute con alcuni preti, formati allora nei seminari, mi risulta che, insieme al rifiuto della sessualità, esiste in essi anche una buona comprensione del loro stato. Queste persone sono come tutti gli altri uomini scisse in una personalità ufficiale e in una personalità privata. Ufficialmente considerano la sessualità come un peccato, ma privatamente sanno benissimo che non possono vivere senza i loro soddisfacimenti sostitutivi. In seminario tutto, quindi, concorreva a reprimere l’istinto sessuale e non si pensava che la repressione della sessualità, quando è priva di sublimazione, crea disagio sociale ed emotivo in chi è costretto a subirla. Ritengo interessante la considerazione di don Enzo Mazzi quando afferma che bisognerebbe intervenire sul “disprezzo” per la sessualità che spesso è diffuso tra il clero, e dunque sul seminario, luogo nel quale questo “disprezzo” nasce e si sviluppa. Accettare questa opinione, significa affermare che il cammino formativo dei seminari tende a “congelare” la sessualità, e, quindi, a bloccare il naturale sviluppo sessuale dei ragazzi-seminaristi. Se esso non si recupera, a fatica e da soli dopo, si rischia di diventare adulti con una sessualità ferma al periodo puberale o adolescenziale o, addirittura, con specifiche patologie sessuali. Ormai è accertato, infatti, che l’avversione sessuale esprime sempre marcate difficoltà emotive verso il sesso in condizioni psicologiche e psicopatologiche che coinvolgono estrema ansietà, sentimenti di terrore, attacchi di panico e manifestazioni somatiche.