QUANDO LA STORIA VIENE MANIPOLATA

Non è la prima volta che lo storico Paolo Mieli nei suoi libri ci offre una selezione di episodi storici, più o meno legati tra loro, lo fa anche con il testo “Le verità nascoste. Trenta casi di manipolazione della storia”, pubblicato da Rizzoli (2019, e.19,50). La scelta del titolo del libro viene presa da un film di Robert Zemeckis, Le verità nascoste (Wath Lies Beneath).

Nell’introduzione al testo Mieli ci spiega come alcune verità sono indicibili, che non possono essere raccontate, come capita nelle università inglesi. Mieli fa qualche esempio, come quello di uno studioso americano, che valuta positivamente alcune fasi del colonialismo inglese. Non si può fare, tanto che lo storico di Oxford Nigel Biggar, ha protestato contro gli anticolonialisti, se noi pensiamo che tutto “il nostro passato imperiale è una lunga ininterrotta litania di oppressione, sfruttamento e autoinganno”, saremo vulnerabili alla manipolazione volontaria. Invece secondo lo storico occorre riconoscere che la storia dell’impero britannico “è moralmente assortita, proprio come quella di qualsiasi Stato […]”. Del resto come in tutti gli avvenimenti storici, abbiamo visto con la scoperta e la conquista delle Americhe, con il Regno di Isabella e Ferdinando, i Re cattolici.

Mieli fa altri esempi di verità negate o manipolate nella storia. E arriva alla conclusione che oggi è complicato esercitare il mestiere di storico. Le strumentalizzazioni politiche sono più pervasive di quanto non fossero  in tempi passati. E qui Mieli fa riferimento a un dibattito acceso sul “Sole 24 Ore”, dove si denunciava l’abuso che è stato sempre fatto della Storia da parte di certi intellettuali che la utilizzano al servizio di qualche ideologia, a dispetto dell’etica e della responsabilità.

E’ chiaro, ci tiene a precisare Mieli, che intuizioni, sospetti o arbitrari capovolgimenti delle “verità”, non dovrebbero finire in un libro di storia, a meno che non vengono utilizzate come ipotesi. E comunque occorre essere sempre cauti, perché potranno venire fuori sempre nuove prove che costringerebbero a riconsiderare ciò che era parso evidente. Si potrebbe forse sostenere che in campo storico le verità definitive non esistono. Certamente la Storia ha bisogno di un sano revisionismo sempre.

Il testo di Mieli, come recita il sottotitolo, prende in considerazione trenta episodi di manipolazione della storia. Pertanto, ci invita a diffidare di fonti inattendibili e versioni adulterate. Qualche volta si tratta di “falsi d’autore”, come il caso del diario, corretto ad arte di Galeazzo Ciano, il genero del Duce. Spesso si riscontra un uso politico della presunta verità raggiunta. Tuttavia c’è sempre un filo rosso che collega i vari saggi raccolti in questo libro. I temi proposti vanno dal Novecento con alcune figure più o meno ingombranti come Mussolini, De Gasperi, Togliatti, ma anche Churchill, Stalin, Mao Tze Tung.

Tra le verità indicibili, Mieli propone “le origini rivoluzionarie della mafia siciliana”. La scheda di Mieli si basa sulla ricostruzione fatta da uno studioso della materia, Salvatore Lupo che in sinesi, sostiene che la mafia è una costola della “rivoluzione siciliana”, di metà Ottocento. Una tesi esposta nel suo libro “La mafia. Centosessant’anni di storia tra Sicilia e America”. Un’altra tesi è che la mafia non solo prende a modello la massoneria, ma condivide alcuni caratteri di fondo, come il mantenimento del segreto tra gli affiliati. Mieli accenna alla lotta dello Stato liberale prima e poi quello fascista alla mafia, sfatando quel mito della durezza del prefetto Mori. Mi interessa la scheda di Mieli su Gabriele D’Annunzio, una figura fin troppo celebrata in certi ambienti. Interessante che Mieli subito scrive che l’impresa di Fiume dei “legionari” di Gabriele D’Annunzio è stata una sorta di anticipazione del Sessantotto. Probabilmente forse ha letto l’interessante studio di Salvatore Calasso sulla rivista Cristianità (“L’impresa di Fiume avanguardia della Rivoluzione Culturale”, luglio-sett. 2011, n.361). Infatti per Calasso, l’avventura fiumana può essere considerata l’avanguardia della Rivoluzione culturale sessantottina. Lenin, ma anche Gramsci hanno notato il carattere “rivoluzionario” dell’impresa dannunziana. In quel periodo in molti credettero che D’Annunzio potesse diventare un pericolo per il Fascismo. Peraltro nel 1923, i reduci, cercarono di creare una costituente sindacale, con l’obiettivo di resistere al fascismo, ispirata all’utopistica Carta del Carnaro. Tuttavia, Giordano Bruno Guerri nel suo “Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920”, (libro che possiedo nella mia biblioteca, ma che devo avere il tempo e voglia di leggerlo) sostiene che D’Annunzio non fu mai fascista. Se molti legionari aderirono al fascismo, altri furono antifascisti, persino mertiri dell’antifascismo. Ci si dimentica, scrive Guerri, che “Fiume fu anzitutto una ‘controsocietà’ sperimentale in contrasto sia con le idee e i valori dell’epoca sia – e tanto più – con quelli del fascismo”. Certo rispettava Mussolini il demiurgo che era stato capace di realizzare “quel che a lui non era riuscito, una rivoluzione”.

Proseguendo tra i saggi proposti da Mieli, troviamo delle prove che diversi uomini del regime fascista si sono arricchiti in maniera sconsiderata.

Seguono le pagine sulla triste sorte dei soldati dell’Armir nella seconda guerra mondiale, anche qui Mieli propone alcune tesi interessanti, citando in particolare il documentatissimo Eugenio Corti con il suo “I più non ritornano. Diario di ventotto giorni in una sacca sul fronte russo (inverno 1942-43)”. Nella scheda sull’insurrezione di Roma contro i tedeschi, Mieli affronta il tema delle contraddizioni dei partigiani comunisti e di quelli appartenenti alle altre forza politiche. In particolare sottolinea il ruolo centrale avuto dai Gap comunisti, che avevano come meta il sistema sociale di tipo sovietico, così sostiene Gabriele Ranzato. In questo contesto va visto l’attentato di Via Rasella, che certi gruppi partigiani non hanno condiviso.

Mieli sempre restando nel campo comunista si occupa dell’attentato del 14 luglio 1948 a Palmiro Togliatti (il giorno più buio), dopo che la Democrazia Cristiana aveva vinto le elezioni del 18 aprile 1948, grazie al grande impegno della Chiesa di Pio XII e soprattutto dei Comitati Civici di Luigi Gedda. Nella scheda successiva Mieli accenna al ruolo avuto da Togliatti e del Partito comunista italiano nella repressione della rivoluzione ungherese di Imre Nagy nel 1956, poi impiccato anche su ordine di Togliatti. In “Pintor si pentì dell’innamoramento per la Cina”, Mieli ricorda come negli anni ’70, gli intellettuali di mezza Europa si innamorarono di Mao Tze Tung e della sua rivoluzione, che è costata oltre 60 milioni di morti.

La II parte del libro è dedicata alle “Verità negate” e qui lo storico giornalista parte da lontano, da Tarquinio il Superbo e la sua finta rivoluzione e poi “le trame di Agrippina”. In questa parte prendo in considerazione, “I veri nemici della ‘caccia alle streghe’”. Qui Mieli si occupa di quel fenomeno “magia e satanismo”, che in tanti attribuiscono al “bieco” Medioevo, ma che per la verità Mieli non sta a questo gioco sporco e citando lo storico americano Rodney Stark, col suo “A gloria di Dio”, sfata questo mito. Intanto le vittime non appartengono all’epoca medievale ma si va dal periodo 1550 al 1660 e poi non sono milioni, furono sessantamila, che è certamente un qualcosa di agghiacciante, ma che non giustifica le grosse cifre esagerate. Anche su l’Inquisizione spagnola e il Santo Ufficio, Mieli scrive che difficilmente arrivarono alla condanna a morte, almeno per quanto riguarda l’Italia. Altro stereotipo da cancellare per Mieli è quello che la caccia alle streghe è un prodotto dell’ignoranza. Niente affatto, i più feroci persecutori delle streghe furono “i mecenati più colti del sapere contemporaneo”. Intanto il testo precisa che Portogallo e Irlanda, rimasero escluse da questa caccia. Mieli citando Trevor-Roper, non crede alla storia europea come continuo costante progresso. “Come se, passo dopo passo, Rinascimento, Riforma, Rivoluzione, la luce avesse avuto sempre la meglio sull’oscurità”, per certi versi sembra che Mieli abbia letto il fondamentale volume “Rivoluzione e Contro-rivoluzione” del professore brasiliano Plinio Correa de Oliveira.

Per la verità non conoscevo l’episodio di “Clemente VIII e la guerra ai turchi in Ungheria”, Mieli racconta del personaggio più importante del suo pontificato, il suo nipote Giovan Francesco Aldobrandini, all’inizio del Seicento a questo generale gli furono affidate ben tre missioni militari in Ungheria per soccorrere gli Asburgo contro i turchi che si erano impadroniti del quaranta per cento del territorio magiaro. Anche qui il nostro storico Mieli si appoggia a un testo, “La santa impresa. Le crociate del papa in Ungheria (1595-16019” di Giampiero Brunelli. Non sto qui a raccontarvi i particolari delle missioni.

La III Parte viene definita, “Le verità capovolte”. Inizia subito con “la strana leggenda di Ciceruacchio”. Il capopolo romano Angelo Brunetti, protagonista durante la rivoluzione romana del 1848 guidata dal triunvirato, Mazzini, Armellini e Saffo con l’aiuto militare di Garibaldi. Qui Mieli per inquadrare la figura di Pio IX, si avvale delle interessanti opere storiche di Roberto De Mattei, “Pio IX e la rivoluzione italiana” e di Fabrizio Cannone, “Il papa scomodo. Storia e retroscena della beatificazione di Pio IX”.

Facendo anch’io dei “salti pindarici”, del resto come fa pure Mieli, segnalo soltanto per avviarmi alla conclusione, l’interessante saggio sul populismo, con riferimento al libro di Michela Nacci, “Il volto della folla. Soggetti collettivi, democrazia, individuo”. In questo spazio si trovano spunti interessanti sulla politica attuale, i populisti che “votano con la pancia” e magari odiano, non distinguono, non scelgono vie di mezzo. La Nacci definisce il comportamento della folla. Qualcuno la definisce folle, oppure delinquente, perché non possiede la ragione. In questi contesti trionfano i demagoghi e ce ne sono tanti, “il rapporto tra il demagogo e le emozioni è ‘stretto’: il comportamento della folla trasforma automaticamente la politica in un’attività da demagoghi”.

DOMENICO BONVEGNA

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