Prima [si pensi a] vivere, poi [a] fare della filosofia

 

di ANDREA FILLORAMO

 

Primum vivere deinde philosophari”  è questa una citazione latina, che ha il sapore della sapienza proverbiale, che significa “prima [si pensi a] vivere, poi [a] fare della filosofia”. Questa frase, talvolta con significato esteso, viene usata come richiamo alla concretezza.

E c’è qualcosa più concreta di un virus, il coronavirus, che, seppure piccolissimo e invisibile, sta lacerando la nostra vita, il tessuto sociale, ci ha messo in una situazione irreale e ci costringe in uno stato di prigionia e di guerra che non sappiamo se, quando e come ne usciremo?

Primum vivere”: diciamolo con chiarezza – non è questo il momento delle lagne, delle accuse, delle polemiche, dei corvi, della politica gridata e inconcludente ma solo elettoralistica di Destra, Sinistra, Centro, Cinque Stelle e movimenti vari. Ma diciamolo pure: essi, nessuno escluso, sono responsabili di quanto sta accadendo negli ospedali italiani, particolarmente in quelli della Lombardia dove il virus si è fatto più virulento.

Ritengo che questo sia il momento di non ascoltare neppure quei politici o i loro “leccapiedi”, i loro “tuttologhi”, consulenti e periti, appartenenti e non ai palinsesti della sfascio, pagati spesso con i soldi dello Stato per esprimere pareri in tutte le televisioni, che urlano, urlano a più non posso per non dire spesso nulla.

Primum vivere”: cerchiamo perciò di avere estrema cura di noi, dei nostri anziani, dei nostri bambini per mantenerci in vita, prendendo tutte le precauzioni che ci sono state suggerite: non usciamo di casa, scopriamo o riscopriamo il senso della famiglia, aiutiamo i giovani che lo stare con mamma e papà, con i fratelli e sorelle è l’unica terapia adatta a superare la tristezza data dall’incertezza di quando e come usciremo dal tunnel.

Il “deinde philosofari” lo faremo dopo che tutti avremo pagato tutt’intero lo scotto del sistema sanitario italiano, che anche se considerato ancora tra i migliori al mondo, è stato pesantemente sotto stress. E’ assurdo che siano sull’orlo del collasso i reparti di terapia intensiva come quello di Milano, Bergamo e Brescia e che siano dolorose le scelte sui pazienti da intubare, con numero alto di morti per adesso imprevedibile, le tre province della Lombardia dove, solo poco tempo prima, Roberto Formigoni si vantava di aver realizzato nella regione il migliore sistema sanitario europeo.

Da gridare ai quattro venti; Formigoni dal processo che lo ha visto imputato e condannato, ha abilmente distratto oltre 200 milioni di soldi pubblici, quindi dei contribuenti, a favore di cliniche private. Di chi fossero quelle cliniche è ovvio, suoi amici e amici di amici. Sei di quei milioni sono finiti proprio nelle sue tasche per corruzione e dopo un simile saccheggio a danno dei malati, ci saremmo almeno aspettati di vedergli scontare i 5 anni e 10 mesi di reclusione a cui è stato condannato e invece nulla di tutto questo.  Dopo cinque miseri mesi, lo hanno spedito a casa ai domiciliari adducendo motivazioni che superano il ridicolo sconfinando nel drammatico.

Secondo chi lo ha rimesso in libertà, Formigoni in carcere ha mantenuto “uno stile di vita riservato” e ha dimostrato “uno sforzo di adattamento, consolidato da elementi tra cui la fede” e il “volontariato in biblioteca”.

Eppure, secondo i pm che ne hanno chiesto la condanna – ottenendola per poi vederla girare in farsa – Formigoni sa benissimo in quale paradiso fiscale è nascosto il bottino della banda criminale con cui ha derubato la sanità lombarda ma non ne fa parola.

Il lombardo omertoso e tanto religioso, custodisce il segreto proteggendo nomi e luoghi ma ciò nonostante, i giudici hanno ritenuto di regalargli la libertà eppure questi soldi sarebbero oggi utili per dare un colpo di grazia a quel virus maledetto.

Non dimentichiamo che un’altra condanna pende sulla banda criminale protetta da Formigoni; la richiesta della Corte dei Conti per lui, Umberto Maugeri, Costantino PasserinoPierangelo Daccò e l’ex assessore alla sanità lombarda Antonio Simone, del risarcimento di oltre 47 milioni per danno erariale alla regione.