Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù

Chiesa: non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna…

di ANDREA FILLORAMO

Ricevo e trascrivo il seguente sms

“Spesso lei nei suoi scritti parla del Concilio Vaticano II ma del Concilio i preti non parlano mai neppure nelle loro prediche. Mi sorge una domanda: “ ma i preti conoscono il Concilio?” Il mio parroco (………………)  non ha mai citato il Concilio e ha agito sempre come se il Concilio non ci fosse stato. Adesso arriverà il nuovo parroco (……….), speriamo che consideri la parrocchia la casa di tutti e non di sua esclusiva proprietà”.

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Prima di rispondere, così come posso al quesito, mi si permetta di fare alcune considerazioni:  Solo chi ha vissuto le attese del Concilio Vaticano Secondo comprende appieno quanto Benedetto XVI,  ha manifestato dopo tanti anni. Le sue sono parole di grande delusione quando scrive:  “I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI.  Ci si aspettava un nuovo entusiasmo, e si è invece finiti troppo spesso nella noia e nello scoraggiamento. Ci si aspettava un balzo in avanti, e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza”.

La Chiesa – e di questo sono convinto – ha fatto fatica e ancora è in affanno perché stenta a riconoscersi e a presentarsi come popolo di Dio che vive nel mondo, che ha fiducia del mondo, che intende positivamente la laicità, l’ecumenismo, la partecipazione, la modenità, voluti dal Concilio.

E’ indubbio che di fatto negli ultimi cinquanta anni c’è stata una involuzione  della Chiesa che è stata ancora intesa non come comunione ma come istituzione gerarchica,  in cui i problemi vengono risolti non attraverso una discussione aperta, ma soltanto tramite indicazioni dall’alto. Non c’è stata, quindi, un’adeguata promozione del ruolo dei laici.

La Chiesa è stanca.  – Così si esprimeva il cardinale Carlo Maria martini, in una sua intervista “La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo.”

Andiamo al quesito: Sono molti i preti pre-conciliari, e il suo parroco ( dal contesto del suo ims intuisco che è stato ordinato prima del Concilio),   ignorano totalmente o parzialmente il Concilio Vaticano II. L’ignoranza delle decisioni conciliari riguarda anche molti altri preti ordinati anche dopo.

Essi non hanno nessun rapporto con la cultura, con l’informazione, con la stessa teologia  che diventa per loro  «un feticcio»; giungono, così,  a una sottrazione del confronto con i laici, creando, quindi, per sé un mondo asfittico, in pieno contrasto con i decreti conciliari. Per loro il Concilio si ferma alla riforma liturgica, che abbandona la lingua latina e promuove l’altare coram. Diventano così soltanto uomini di culto e non pastori. Non conoscono i documenti prodotti dal Concilio cioè: le 4 costituzioni, i 9 decreti e le 3 dichiarazioni, che indicano la strada che la Chiesa dovrebbe percorrere per un’autentica “ modernizzazione”.

L’ignoranza di quella che dovrebbe essere la strada maestra del cambiamento ecclesiale costringe molti preti, per ricoprire il vuoto psico-sociale facilmente causato dall’incultura, a riscoprire in sé vocazioni diverse che essi stessi “ clericalizzano” incollandole al ruolo presbiterale. Nascono così  i preti costruttori, i preti promotori, gli accompagnatori turistici, pellegrinanti continui dentro e fuori l’Europa.

Auguro all’autore della sms inviatami che collabori con il nuovo parroco e l’aiuti a svolgere la sua missione nel miglior modo possibile, che non abbia alcun pregiudizio nei confronti di chi ha accettato una parrocchia che per molto tempo conserverà l’impronta del precedente, che si spera avrà l’intelligenza di “ mettersi totalmente da parte ” per far lavorare il successore come ritiene opportuno.

Termino dicendo che Giovanni XXIII definiva la parrocchia fontana del villaggio a cui tutti ricorrono per la loro sete. Paolo VI diceva che la parrocchia è un prodigio sociale, una bellezza sociale, in cui ci si unisce in una rete di rapporti spirituali, dove ci si vuole bene nel vincolo della carità (16 marzo 1969). Giovanni Paolo II, nella Christifideles laici esorta a non identificarla con un territorio o un edificio, ma con la famiglia di Dio, casa aperta a tutti e al servizio di tutti; è la chiesa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie, che vive sul posto. Un altro vocabolo importante per il nostro discorso è “comunità”, dal latino cummunus, che può essere tradotto come “mettere insieme, condividere i doni”. Abitiamo un tempo e una società dove sempre più le persone si chiudono nel proprio privato, dove sempre più si è soli e isolati, separati dalle barriere generazionali, economiche, delle opportunità lavorative, in cui si cerca di stare solo con chi la pensa come noi e ci si chiude nei propri muri.

Una parrocchia è una comunità alternativa suscitata dalla comunione e che genera comunione, cioè persone che s’incontrano, che imparano a stare insieme perché unite da qualcosa che non dipende da preferenze, programmi o somiglianze. «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).