Dopo il successo della versione multimediale de La voix humaine di Poulenc firmata da Barbara Hannigan, il prossimo e ultimo appuntamento della Stagione 2025 della Filarmonica della Scala è già il prossimo lunedì 3 novembre alle ore 20. Manfred Honeck torna al Teatro alla Scala con un programma raffinato che riunisce tre anniversari: nel duecentesimo anno dalla nascita di Johann Strauss la Filarmonica esegue l’ouverture della sua opera più famosa, Die Fledermaus; sono cinquanta gli anni che ci separano dalla morte di Dmitrij Šostakovič, omaggiato con la Sinfonia n. 10 in mi minore op. 93; il pianista britannico Benjamin Grosvenor è solista nel concerto per pianoforte in sol maggiore di Maurice Ravel, del quale ricorre il centocinquantesimo anniversario della nascita.
Ultimo appuntamento anche per la stagione delle Prove Aperte, domenica 2 novembre alle ore 19:30 a sostegno di Fondazione Aquilone e in particolare del progetto Scuola bottega, uno spazio educativo che coinvolge ogni anno preadolescenti a rischio dispersione scolastica.
Coprendo ottant’anni di musica, il programma unisce tre linguaggi molto diversi: l’ouverture da Die Fledermaus è un vero e proprio omaggio di Honeck al suo connazionale austriaco Johann Strauss, ricordato attraverso la sua opera più famosa;
Ravel avrebbe voluto intitolare il suo concerto in sol “divertimento”, e il suono del pianoforte è come acqua fresca e trasparente, in un dialogo giocoso con l’orchestra che fa pensare alla leggerezza mozartiana; la Decima Sinfonia di Šostakovič ci racconta della nuova libertà creativa del suo autore, tornato alla composizione sinfonica dopo una lunga pausa di otto anni, alla morte di Stalin.
Nicola Cattò scrive nelle note di sala: «A proposito della Decima, sono due i temi critici da sempre evidenziati, ossia la presenza ricorrente della propria “firma” musicale, DSCH, e la raffigurazione sonora di Stalin nel secondo movimento: in Testimony, la controversa raccolta di memorie di Šostakovič realizzata da Solomon Volkov, egli afferma di avere realizzato in questa sinfonia un ritratto del dittatore. “L’ho scritta subito dopo la morte di Stalin, e nessuno indovinò di cosa parlava la sinfonia. Parla di Stalin e degli anni dello stalinismo”. Come quasi tutto quello che è contenuto in quel libro, anche questa affermazione è stata a lungo contestata: a me pare che sia corretto quanto afferma Ian MacDonald, secondo cui il ritratto musicale di Stalin va visto specularmente al citato motto musicale DSCH, da vedersi come “una dichiarazione di individualismo nell’ambito di una cultura di collettivismo totalitarista”, dove l’unico “io” possibile era ovviamente Stalin stesso. E perciò questa autoaffermazione – leggibile anche come Šostakovič che situa il proprio destino nei binari di quello della Patria tutta – doveva attendere la morte di Stalin per essere espressa».
