
Puntualmente ogni volta che un Papa sale alla Casa del Padre, si assiste più o meno alle stesse reazioni dei fedeli, un’appassionata e confusa adesione all’operato del Papa appena defunto, magari dimenticando il suo essenziale Magistero che va seguito e studiato. A mio ricordo è capitato per Paolo VI, per Giovanni Paolo II, Benedetto XXVI. Per non parlare degli interventi sconcertanti di un certo giornalismo, forse obbligato a riempire le pagine dei giornali o delle trasmissioni televisive, pertanto, spesso si leggono articoli o si ascoltano interventi contenenti le peggiori banalità. Sui social è molto peggio, perché lì non vi sono freni inibitori e chiunque si sente in dovere di esprimere la propria opinione.
Di solito vengono utilizzate le categorie destra/sinistra o conservatore/progressista, le uniche che forse capiscono coloro che scrivono, i quali poco o niente sanno di cose di Chiesa. “Il risultato è un po’ bizzarro, come se un Papa conservatore non dovesse privilegiare i poveri, come insegna il Vangelo, senza cadere nell’odio verso i ricchi tipico della lotta di classe, oppure non dovesse visitare i carcerati senza per questo dimenticare l’importanza della certezza della pena. Oppure, al contrario, ci si stupisce che un Papa considerato progressista condanni l’aborto e ricordi che il matrimonio è soltanto fra uomo e donna, come se il progresso consista nel dimenticare l’esistenza della natura per cui l’uomo è stato creato maschio o femmina”. (Marco Invernizzi, Che cosa hanno dimenticato di Papa Francesco?, 28.4.25, alleanzacattolica.org) E a proposito del Magistero di Papa Francesco c’è da segnalare uno splendido articolo di Susanna Tamaro sul Corriere della Sera del 24 aprile, (“Il suo tornare al Cuore La lezione che lascia in tempi di solitudine”) dove la scrittrice arriva a decantare la bellezza dell’ultima enciclica di Papa Francesco sul Sacro Cuore (Dilexit nos) passata completamente nel dimenticatoio anche tra noi cattolici. Uno scandalo autentico.
Per la Tamaro l’enciclica Dilexit nos, si può considerare il suo testamento spirituale. “Sono rimasta colpita già allora dal silenzio mediatico che l’ha accolta, diversamente dalle popolarissime, almeno nelle citazioni, Laudato si’ e Fratelli tutti. Avevo pensato allora — e lo penso ancor di più oggi — che questo pontefice così generosamente mediatico sia stato in fondo un Papa «à la carte». Esaltato e applaudito ogni qual volta diceva cose interpretabili secondo lo spirito del tempo, silenziato, se non redarguito, quando toccava gli argomenti tabù della società attuale. Fu disapprovato infatti quando con vigore ribadì che l’aborto era un omicidio o quando affermò che la colonizzazione dell’ideologia di genere portava molta confusione nel mondo, confondendo così la sua umana accoglienza alle persone diverse con l’approvazione di un progetto di sovraversione dell’ordine naturale del Creato”.
Qualcuno ha giudicato il pontificato di Francesco soltanto con gli occhi europei e quindi ritenuto fallimentare perché nei dodici anni di Francesco gli italiani che frequentano la chiesa sarebbero diminuiti, dimenticando colpevolmente che i flussi storici devono essere giudicati cominciando da molto prima del loro inizio. La realtà è che la Chiesa non è l’Italia e nemmeno l’Occidente, ma è presente anche in Africa e Asia, dove cresce continuamente. “La Chiesa è il corpo mistico di Cristo e ha come scopo la salus animarum”, scrive Invernizzi. Purtroppo ci sono troppe persone che si credono credenti, ma in realtà credono soltanto alle loro opinioni, pensano e scrivono della Chiesa come se si trattasse di un partito. I giornalisti possono essere compresi, ma se sono fedeli cattolici la cosa si complica, perché mettono in dubbio i principi fondamentali della fede per seguire le loro fantasie. “La fede vera è quella semplice della vecchietta, che è certa che colui che prossimamente apparirà di fronte ai fedeli radunati in piazza San Pietro è il Pontefice, il vescovo di Roma successore degli Apostoli, il Vicario di Cristo. Al quale si deve obbedienza. Punto”.Anche se questo non significa smettere di cercare di capire, non vedere le difficoltà, fare finta di non vedere le divisioni che ci sono sempre state, da Giuda in poi.
“Il problema pastorale della Chiesa è il mondo nel quale vive e opera, perché la Sposa di Cristo deve cercare di proporre la salvezza agli uomini del proprio tempo, i contemporanei, a partire da come sono e non da come si vorrebbe che fossero. Essa non è un circolo culturale, dove si producono elaborate riflessioni teologiche, per quanto importanti esse siano; la Chiesa predica Cristo, vero Dio e vero uomo, e la salvezza eterna nel suo nome”. Inoltre, c’è la Dottrina sociale della Chiesa serve a costruire un mondo dove sia più facile salvarsi e santificarsi proprio perché corrispondente al progetto salvifico di Dio sull’umanità. E’ ovvio che la Chiesa vive nel proprio tempo e ne subisce gli influssi negativi, proprio perché cerca un dialogo necessario alla salvezza degli uomini cui si rivolge. Non può fare diversamente, senza rinunciare a se stessa e alla propria vocazione. Per dialogare deve avvicinarsi e correggere, e questa è la cosa difficile. Del resto, se si avvicina troppo al mondo viene subito accusata di “tradire la dottrina”, ma se non si avvicina non instaura nessuna relazione salvifica. Guardiamo a Gesù: Nostro Signore, parlava con tutti, senza preoccuparsi di scandalizzare: prostitute, nemici del popolo d’Israele, adultere, poveri o ricchi e potenti come Lazzaro, pur avendo un’attenzione privilegiata verso coloro che non avevano nulla nella vita. Le Beatitudini ce lo ricordano. Diceva loro la verità, con mitezza e anche fermezza, quando necessario. Forse del pontificato di Francesco si è dimenticato l’elemento più importante, anche se non è l’unico: lo spirito missionario, la “Chiesa in uscita”, come lo chiamava Papa Francesco quell’anelito a portare la salvezza e la verità agli uomini che non conoscono Cristo o lo hanno rifiutato. Il principale documento del pontificato, l’esortazione apostolica iniziale e programmatica, Evangelii gaudium, dedica il primo capitolo alla “trasformazione missionaria della Chiesa”. Per quanto riguarda l’Occidente questo atteggiamento si chiama “nuova evangelizzazione”, gli altri continenti sono nella prima fase dell’implantatio ecclesiae, ma in entrambi i casi si tratta di quell’urgenza apostolica che muoveva san Francesco Saverio (1506-1552), il grande missionario gesuita, e santa Teresina di Lisieux (1873-1897), la patrona delle missioni che non si è mai mossa dal suo convento.
Questo è il lascito di Papa Francesco, o meglio una parte importante del suo pontificato, spesso dimenticata. “A molti può essere piaciuto il suo stile, ad altri no, in entrambi i casi dimenticando che gli uomini hanno diverse sensibilità e, se vi è chi viene attratto alla fede dalla semplicità e dall’umanità del tratto, anche di un Papa, altri possono invece apprezzare maggiormente uno stile sacrale o particolarmente austero. Ma quello che conta, quel che la Chiesa deve veramente cercare ogni giorno, con fatica e chiedendo il dono del discernimento, è la capacità di entrare in relazione con gli uomini del proprio tempo per trasmettere loro la fede che salva”. Allora, in attesa di ascoltare il Magistero del prossimo Papa, “rileggiamo Francesco prima di giudicare senza averlo letto, accogliamo il suo invito a trasformare in senso missionario ogni momento della vita della Chiesa perché, soprattutto nell’Occidente secolarizzato, è quello di cui c’è maggiormente bisogno”. Certo evangelizzare il mondo non è stato mai facile, basta leggere la Storia della Chiesa. Intanto ascoltiamo il suo insegnamento, che è la cosa più importante e duratura di un pontificato, in particolare la “chiamata”, tipicamente ignaziana, a cercare anzitutto e soprattutto la gloria di Dio, perché «Al di là del fatto che ci convenga o meno, che ci interessi o no, che ci serva oppure no, al di là dei piccoli limiti dei nostri desideri, della nostra comprensione e delle nostre motivazioni, noi evangelizziamo per la maggior gloria del Padre che ci ama» (Evangelii gaudium, 267). Tuttavia, il fatto che pochi abbiano ricordato la portata missionaria del pontificato di Francesco dice molto del modo superficiale e banale di affrontare i temi inerenti alla Chiesa di oggi.
DOMENICO BONVEGNA
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