L’INSURREZIONE DEL POPOLO UNGHERESE NEL 1956 CONTRO I CARRI ARMATI SOVIETICI

Gli anniversari dove si parla di comunismo passano ormai senza nessun ricordo, hanno avuto la stessa sorte, prima quello della rivolta del popolo ungherese del 1956 contro la tirannide sovietica, poi la caduta del Muro di Berlino, nel 1989.

Eppure, la rivolta del 1956 a Budapest, mistificata dall’allora Partito comunista italiano, fu un evento che ha segnato la storia. Anche se quel sangue sparso per la libertà gettò i primi germi del dissenso e del ravvedimento. Il Domenicale, non ha dimenticato, ha celebrato la rivolta del popolo magiaro (19.8.2006) con due pagine ben documentate. Il racconto fotografico di un giornalista, Erich Lessing, che ha visto con i suoi occhi tutte le fasi della rivolta. Lessing un fotografo austriaco, che ha svolto servizi fotografici per più importanti testate giornalistiche del mondo.

Si era specializzato in reportage politico, in particolare per i Paesi dell’Est europeo, è per questo che si trova a Budapest quando scoppia la rivoluzione; pertanto, può catturare con la sua macchina fotografica le fasi più sconvolgenti e drammatiche. Il Dom dà conto di una Mostra fotografica organizzata dall’Agenzia editoriale letteraria e fotografica Ultreya di Milano (www.ultreya.it). Mostra che è stata poi proposta al Meeting dell’Amicizia di Rimini. Il racconto di quei giorni è affidato a Fabio Ranucci. Una storia che va raccontata soprattutto per le giovani generazioni che non conoscono quello che è successo. Operai e studenti scesero in strada e nelle piazze il 23 ottobre del 1956 contro il regime comunista di Matyas Rakosi insediato da Mosca.

I rivoltosi riescono a rovesciare il governo filosovietico e subentra per pochi giorni il governo di Imre Nagy, sostenuto dalla popolazione. Ma Kruscev sceglie di mandare i carri armati per reprimere la rivolta. I carri avanzano alla cieca e travolgono decine di manifestanti, che a mani nude cercano di resistere. Il tributo di sangue degli insorti è enorme. Nei parchi e nei giardini della capitale si scavano le fosse comuni. In un primo momento i carri sovietici si arrestano e forse si poteva raggiungere un compromesso. Il Politburo di Mosca è diviso sul da farsi. Alla fine, si decise la repressione violenta, tra i vari capi comunisti c’era il nostro Palmiro Togliatti, convinto che bisognava schiacciare la rivolta.

I sovietici fanno finta di andarsene da Budapest, è tutto un imbroglio, poi arrivano 12 divisioni dall’Ucraina e dalla Romania con il compito di annientare a ogni costo il nemico di classe. In tre giorni la rivolta fu domata. Nagy subì il processo farsa e tre anni dopo fu impiccato, stessa sorte per il generale Pal Maleter. Ranucci nel racconto entra anche nei particolari, il consenso per la repressione si ebbe da parte di tutti i partiti comunisti da Mao a Tito. Intanto i comunisti in Italia erano nel caos. Togliatti che era appena tornato da Mosca aveva seguito il XX° Congresso del Partito bolscevico, dopo le notizie da Budapest, non esitò a indicare al Pci e all’Unità che si era di fronte a una “controrivoluzione”; quindi, era giusto l’intervento sovietico per reprimerla. Poi parlò di “dolorosa necessità”. L’Unità del 5 novembre 1956, titolò in prima pagina: “Le truppe sovietiche intervengono in Ungheria per porre fine all’anarchia ed al terrore bianco”. Naturalmente poi ci furono voci di dissenso all’interno del Pci, il dom, fa un elenco di quei professori universitari che hanno abbandonato il partito.

Su questo tema ne “L’Altra Storia:1956”, il Dom dell’11 novembre 2006, dà conto del cosiddetto riformismo del XX° Congresso del Pcus, che praticamente fu uno specchietto per le allodole. Una lotta interna per il potere, spazzato dai soliti vecchi metodi. In “Togliatti e Kruscev, compagni di merende”, il dom presenta un Dossier sui comunisti italiani, sul Pci, il Partito-Chiesa e la lezione togliattiana. Il compagno Kruscev anche se ammetteva i crimini di Stalin, era convinto che il compagno Stalin fu una gloria del marxismo-leninismo e nessuno si doveva azzardare a usare i suoi torvi crimini per sparlare del socialismo reale. E comunque Kruscev e Togliatti andavano d’accordo su tutto: a Budapest servivano i carri armati; gli ungheresi andavano massacrati.

I dissidenti (non i compagni dal ‘volto umano’, Amendola, Natta, Napolitano, Berlinguer, Rodano) pochi, pochi, sparirono all’VIII° Congresso del Pci, all’inizio di dicembre 1956 con i cadaveri ungheresi ancora caldi. “Su una cosa i compagni del PCI post 1956, poi del Pds, poi Ds hanno concordato con il compagno Togliatti con i suoi compagni di allora e con i compagni del Pcus: nessuno doveva saperne niente”, scrive Marco Respinti. E il Pci-Pds-Ds come l’irriducibile giapponese che combatte da solo a guerra finita, ha osservato le consegne fino a oggi. Nessuno saprebbe niente se non fosse per gli archivi oramai aperti a Mosca. Infatti, il comunismo riesce sempre a farla franca, scrive lo storico Ugo Finetti, il fuhrer comunista italiano tutto controllò e tutto zittì. La grande muraglia (alla cinese) di Togliatti fermò ogni autonomia da Mosca. Infine, segnalo una nota polemica di Oscar Sanguinetti che in una breve scheda sui fatti ungheresi, si chiede perché ancora in Italia non è stato scritto un saggio decente sulla rivolta in Ungheria nel 1956.

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com