“L’Induismo in Italia”. Primo Rapporto di ricerca

Gli induisti in Italia sono oggi oltre 150.000; la loro presenza nel nostro Paese ha conosciuto in questi anni una crescita rilevante. Oltre alla popolazione immigrata, si contano circa 30.000 cittadini italiani induisti. Tuttavia, la cultura induista rimane in Italia scarsamente conosciuta, ridotta a meri stereotipi e semplificazioni, quando non a vere e proprie false credenze.

Per tentare di restituire finalmente un’immagine dell’Induismo fedele alla sua complessità, dimostrando ancora una volta come le differenze siano essenzialmente fonte di scoperta e di arricchimento, l’Eurispes ha realizzato il Primo Rapporto “L’Induismo in Italia”; la prima approfondita ricerca sull’Induismo nel nostro Paese, che racconta questa realtà da prospettive diverse e dà voce direttamente agli induisti, sia quelli italiani sia quelli stranieri che vivono sul nostro territorio.
L’indagine è stata condotta tra maggio 2018 e giugno 2019 ed ha coinvolto 330 induisti italiani e 519 induisti di origine straniera residenti in Italia, dai 18 anni di età in su. La rilevazione è stata realizzata soprattutto nei templi induisti, ma anche in alcuni luoghi di aggregazione dei lavoratori indiani. I questionari hanno indagato una serie di aree tematiche relative a cultura e pratica religiosa, condizione femminile, integrazione scolastica, discriminazione, conoscenza dell’Induismo e stereotipi. A completare la ricerca una sezione che raccoglie 32 interviste in profondità ad opinion leader, studiosi di storia delle religioni, accademici, sociologi, esperti di dialogo interreligioso, immigrazione, integrazione.

L’identikit degli induisti italiani in Italia

Induismo a scuola: informazioni spesso non corrette sui testi scolastici
Otto cittadini italiani di fede induista su dieci ritengono che i testi scolastici che parlano di Induismo riportino informazioni corrette solo “qualche volta” (43,8%) o “raramente” (35,6%); addirittura secondo l’11% di loro, le informazioni non sono “mai” corrette.

La figura della donna: libere, autonome e meno conservatrici degli uomini
La quasi totalità del campione (96,1%) sostiene che le donne debbano ricevere un’istruzione, il 90,9% ritiene che debbano lavorare e contribuire all’economia familiare. Secondo un quarto degli intervistati (24,5%) le donne dovrebbero seguire il marito e più di due su dieci (21,1%) credono che la donna abbia il compito di accudire casa e famiglia; solo secondo il 3% è meglio che le donne stiano a casa dove corrono meno pericoli e sono più al sicuro.
I più conservatori sono gli uomini: il 26,9% afferma che le donne devono occuparsi soprattutto di casa e famiglia (contro il 16,7% delle donne); il 29% che le donne devono seguire il marito (contro il 21%), il 5,5% che sarebbe meglio che stessero in casa per stare più al sicuro (contro l’1,1%).
A sorpresa, sono le più giovani a ritenere che le donne sono più al sicuro se rimangono a casa: lo afferma l’8,3% delle 18-24enni; il 7,3% delle 25-34enni contro il 3,4% delle 35-44enni e il 2% delle 45-64enni. Il 72,8% degli intervistati non conosce donne che in famiglia vengono maltrattate dagli uomini; tuttavia, il 27,2% ne conosce “poche” (16,9%), alcune (9,1%), molte (1,2%).

Per il 72,6% l’Induismo è una visione della vita
Quasi i tre quarti degli induisti italiani (72,6%) identifica in una precisa visione della vita ‒ impegnata a cogliere segni del divino in ogni cosa o essere ‒ la sua appartenenza alla fede induista. Secondo il 14,2%, invece, l’aspetto fondamentale è da rintracciare nella pratica religiosa (osservanza dei riti, abitudine alla meditazione, frequentazione di templi sacri); secondo il 4,5% tutto gira intorno alla propria comunità di appartenenza e il 3% si identifica nelle sue abitudini e tradizioni. A credere che la visione della vita sia la principale caratteristica della propria identità religiosa sono l’80% dei 45-64enni, il 79% degli ultra sessantacinquenni. Il 75,1% dei giovanissimi 18-24enni, il 66,3% dei 35-44enni e solo il 51.2% dei 25-34enni. Questi ultimi ritengono in misura molto più alta rispetto agli altri (34,1%) che sia la pratica religiosa alla base della loro identità induista. L’87,3% degli induisti italiani si sente libero di scegliere il modo in cui vestirsi, l’86,7% di esprimere le proprie convinzioni e valori, l’86,1% di celebrare le feste religiose, il 70,1% di educare i figli secondo i valori induisti.

Identità religiosa: per 9 induisti su 10 la religione è importante nella propria vita
Per un quarto degli intervistati (25,7%) la religione riveste “moltissima” importanza nella vita quotidiana, per il 32,9% “molta”, per il 31,7% “abbastanza”. Quindi per meno di uno su dieci la religione riveste “poca” 8,8% o “nessuna” 0,9% importanza.
A ritenere “molto” o “moltissimo” importante la pratica religiosa sono più le donne rispetto agli uomini (31,4% contro il 26,5%). Nessuno dei giovanissimi 18/24enni ritiene che la religione rivesti “poca” o “nessuna” importanza per la sua vita. All’aumentare del titolo di studio, cresce il favore alle affermazioni che vedono la religione come marginale nella vita degli intervistati.

La pratica religiosa: più della metà ha difficoltà ad accedere a un tempio
L’86,7% degli italiani praticanti l’Induismo pratica lo yoga, il 72,5% studia le Scritture e i testi sacri, il 70,7% prende parte alle celebrazioni dei festival induisti, il 67,4% si reca per abitudine in un tempio induista o presso un luogo adibito a tempio, il 65,6% recita testi sacri, il 63,4% fa volontariato, più della metà (51,1%) pratica rituali domestici, tre su dieci (31,1%) osservano i voti. Ad osservare i voti sono principalmente i giovani tra i 25 e i 34 anni (48,8%), seguiti dal 31,1% de 45-64enni, dal 27% dei 35-44enni, dal 26,3% degli over 65 e dal 16,7% dei 18-24enni.
Tra le principali difficoltà riscontrate dagli induisti italiani, c’è la scarsa presenza di templi: più della metà degli intervistati (52,6%) non ha un tempio nei pressi della propria casa o luogo di lavoro; e coloro che, invece, ne hanno uno vicino, sostengono che nel 34,1% dei casi si tratta di luoghi preesistenti e adattati. Dunque, il nostro Paese è sprovvisto di strutture pensate per il ritrovo delle comunità per la celebrazione del culto e delle festività.

Il rapporto con le altre religioni: uno su tre frequenta altri luoghi religiosi, il 65% conosce parroci
Rispetto e tolleranza sono gli atteggiamenti prevalenti degli induisti nei confronti di chi pratica altre religioni: quasi 6 su 10 (58%) indicano il rispetto come atteggiamento prevalente; il 23,6% è incline ad uno scambio reciproco; il 9,7% è interessato a professioni religiose differenti; il 6,9% prova invece indifferenza e l’1,8% rifiuto.
D’altra parte, quasi uno su tre (32,9%) frequenta anche altri luoghi religiosi oltre al tempio induista contro un 67,1% che, al contrario, non lo fa. E il 65,3% conosce parroci o rappresentanti della Chiesa cattolica, segno di apertura e dialogo (il 34,7% non ne conosce).

L’Unione Induista Italiana: punto di riferimento per 9 su 10
Quasi 9 induisti italiani su dieci (89,4%) si sentono rappresentati dall’Unione Induista Italiana; per l’80,7% questa realtà rappresenta un tramite con le Istituzioni italiane; per il 74,9%, l’Unione tutela i loro diritti e per il 60,1% rappresenta un punto di riferimento in caso di necessità.
I giovani, più degli altri, contano sull’Unione Induista Italiana per quanto riguarda la tutela dei diritti (83,3% dei 18-24enni contro il 74,7% in media delle altre fasce d’età); e come figura intermedia nel dialogo con le Istituzioni (83,3% dei giovanissimi contro una media del 78,8% dei più adulti).

L’integrazione sociale: solo il 6% frequenta prevalentemente persone induiste
Quasi sei induisti italiani su dieci (58,3%) dedicano parte del proprio tempo al volontariato (il 41,7% non lo fa). A cercare di essere utili al prossimo sono soprattutto le donne (62,9% contro il 52,4% degli uomini), e gli over 65 (65,8%). La metà del campione (52%) nel tempo libero frequenta sia persone induiste sia persone di religione differente; il 42,3% frequenta prevalentemente persone che professano altre religioni; una piccola minoranza frequenta prevalentemente persone induiste (5,1%) o esclusivamente induiste (0,6%).

Il rapporto con la cultura italiana: gli induisti amano la storia ma non sopportano la mancanza di senso civico degli italiani
La metà degli intervistati (49,8%) della cultura italiana apprezza soprattutto la storia e la sua tradizione culturale; l’altra metà si divide tra coloro che apprezzano l’ideale diffuso di libertà (23,3%), il senso della famiglia (9,7%), la capacità di godere i piaceri della vita (4,2%), l’apertura verso gli stranieri (1,8%). A dare, invece, maggiormente fastidio della cultura del nostro Paese è la mancanza di senso civico (41,8%), il materialismo e l’assenza di spiritualità (24,5%), l’egoismo (10,9%), la mancanza di rispetto verso gli anziani (10%), l’intolleranza verso gli stranieri (5,9%).

La politica italiana distante e indifferente
Al quesito “quale area politica secondo te è più attenta ai problemi degli induisti italiani”, il 43,5% non sa che cosa rispondere e il 22,7% risponde nessuna. La restante fetta si divide tra chi vede nella sinistra il partito più attento (14,2%), avverte la vicinanza del centro-sinistra (13%); una ristretta minoranza risponde “centro-destra” (3,3%), “centro” (2,1%) e “destra” (1,2%).

Criticità e discriminazione: quasi la totalità ritiene che gli italiani non conoscano la religione induista
Secondo la metà degli induisti italiani (49,8%), il principale problema tra la comunità induista residente e l’Italia è la mancanza di conoscenza e dialogo; il 16,6% ritiene non ci sia alcun problema; uno su dieci pensa che le Istituzioni italiane siano indifferenti verso i diritti e i problemi degli induisti; il 9,7% crede ci siano profonde differenze tra le due culture; secondo l’1,8% esiste una diffusa ostilità degli italiani nei confronti degli induisti.

Ma quale atteggiamento hanno gli italiani nei confronti degli induisti?
Quasi tre su dieci (28,1%) credono ci sia una grande curiosità; per il 18% l’atteggiamento prevalente è, invece, l’ignoranza; per il 16% l’indifferenza, per il 10,9% la diffidenza. Al contrario, secondo il 9,4% gli italiani mostrano apertura; solo l’1,2% percepisce ostilità. Oltre la metà degli intervistati (52,9%) ritiene che gli italiani conoscano poco la religione induista e per l’altra metà (45,6%) non la conoscono affatto; solo l’1,5% pensa che sia abbastanza conosciuta.

Per gli italiani lo yoga è una moda o una ginnastica 
La stragrande maggioranza degli induisti italiani sostiene che gli italiani interpretino lo yoga in modo diverso da quello che rappresenta per loro, ovvero una pratica di ascesi e meditazione che mira al ricongiungimento del sé universale. Secondo il 64,4% gli italiani la vedono come una forma di ginnastica; secondo il 30,2% è una moda. Solo il 2,1% sostiene sia considerata una pratica religiosa.
Razzismo: uno su dieci è stato spettatore di episodi di razzismo
Alla domanda “sei mai stato spettatore di episodi di razzismo contro gli induisti in Italia?”, quasi nove su dieci (88,3%) rispondono negativamente, il 6,3% è stato spettatore “una volta”, il 4,8% “qualche volta”, lo 0,6% “molte volte”.

Utilizzo di Internet
Interrogati sul modo in cui si servono di Internet, gli induisti che vivono in Italia rispondono come segue: il 96,5% cerca informazioni di interesse personale, il 94,3% utilizza la posta elettronica, il 74,8% effettua acquisti on line, il 73% utilizza i social network, il 69,2% se ne serve per comunicare tramite chat, il 45,3% usa Internet per scaricare film, musica, giochi e video, il 36,5% lo utilizza per cercare lavoro, il 35,8% per promuovere la propria attività e il 23,6% se ne serve per giocare.

L’identikit degli induisti stranieri in Italia

La maggiore presenza di templi induisti e dell’Unione Induista Italiana nell’Italia settentrionale si riflette nella rilevazione: in questa area geografica, infatti, risiede circa metà del campione degli induisti stranieri intervistati. La maggioranza degli intervistati è coniugata (55,1%), il 43% celibe o nubile. Quest’ultimo dato è da imputare all’elevata quota di giovani tra gli intervistati: solo il 16% ha più di 45 anni, il 29% dai 18 ai 24 anni. Gli uomini sono leggermente più numerosi delle donne (54,5%). Metà del campione è costituito da diplomati, un terzo possiede la licenza media, il 7,9% è laureato, il 5,2% ha la licenza elementare, il 3,7% è privo di titolo. Per quanto riguarda la condizione occupazionale, il 55,3% è occupato, il 17,3% è studente, il 15,8% casalinga/o, il 6,9% disoccupato, il 4,4% in cerca di prima occupazione. Tra gli occupati, circa un terzo riferisce di avere un contratto a tempo indeterminato, il 30,7% a tempo determinato, il 10,8% a partita Iva, il 9,1% atipico, ben il 17,4% non ha nessun contratto.

Il 71,9% degli induisti immigrati vive in Italia da oltre 10 anni, nella metà dei casi con tutta la famiglia
Gli immigrati di religione induista sono residenti in Italia da un lungo periodo: il 71,9% vive nel nostro Paese da oltre 10 anni, il 18,3% da 6-10 anni, il 4,2% da 3-5 anni, il 2,9% da 1-2 anni, il 2,7% da meno di un anno. In oltre la metà dei casi, il 54,7%, vive in Italia con tutta la famiglia; in un terzo con una parte della propria famiglia (33,5%), in uno su 10 senza familiari (11%).

La scelta di emigrare dettata da ragioni economiche e di lavoro
Il 46,6% degli intervistati ha lasciato il proprio paese di origine per ragioni personali (tra le quali la ricerca di migliori condizioni di vita ed economiche); il 38,3% per lavoro; in una minoranza di casi (6,2%) la motivazione risiede nei problemi legati al paese d’origine.
Tra quanti provengono dallo Sri Lanka risulta più alta della media la percentuale di chi riferisce di essere emigrato per motivi legati al proprio paese (15,4%). Il 57,9% degli originari del Bangladesh si sono trasferiti per lavoro. Tra chi proviene dal Nepal e dalle Mauritius la motivazione più frequente è rappresentata dalle ragioni personali (rispettivamente 66,7% e 55,3%).

Prospettive per il futuro: l’Italia come scelta definitiva
Il 44,1% degli stranieri induisti ha intenzione di restare per sempre nel nostro Paese, il 23,3% almeno per diversi anni. Poco più di uno su 5 ha, invece, intenzione di spostarsi: il 17,9% in un altro paese, il 3,3% tornando nel proprio paese di origine.
Tra i più giovani è maggiore la propensione ad immaginare il proprio futuro in un’altra nazione: la pensano così il 30,6% tra i 18-24enni e il 20,3% tra i 25-34enni, contro l’11,1% di quanti hanno un’età compresa tra i 35 e i 44 anni e solo il 5% di chi ha 45 anni in su. Inghilterra (32,3%), Canada (21,5%), Stati Uniti (19,4%) e Germania (16,1%) sono le mete più indicate tra quanti hanno intenzione in futuro di lasciare l’Italia. La scelta di andar via è motivata dall’insoddisfazione per la propria situazione lavorativa (36,4%) oppure dal desiderio di dare un futuro migliore ai propri figli (18,2%); per il 10,9% prevalgono invece le difficoltà economiche, per l’8,2% il desiderio di tornare nel proprio paese d’origine; solo l’1,8% ha messo da parte una somma di denaro sufficiente a realizzare i propri progetti. Il 24,5% segnala altre motivazioni di natura eterogenea.
Tra di chi intende restare nel nostro Paese, oltre la metà vuole rimanere perché si trova bene (54,6%; di cui per l’80,9% giovanissimi tra i 18 e i 24 anni) e il 30% pensa di restare perché ha un lavoro. In pochi restano perché non desiderano tornare nel paese di origine (5,4%) o perché prima hanno necessità mettere del denaro da parte (3,4%).

6 su 10 hanno un’occupazione, solo un terzo delle donne lavora
Il 60,5% degli immigrati induisti svolge un lavoro nel nostro Paese. Solo la metà del campione dei lavoratori però ha un impiego stabile (51%): per il 28,7% si tratta di un impiego periodico/stagionale, per il 18,2% saltuario/occasionale. D’altra parte, quasi un quarto degli induisti immigrati (24,5%) non lavora e non cerca un impiego, il 13,1% sta invece cercando lavoro.
Il divario uomini/donne in questo senso emerge osservando il dato che indica come avere un lavoro sia una condizione prettamente maschile (81,3%), tra le immigrate induiste invece le lavoratrici sono solo poco più di un terzo (35,6%). Tra le donne, ben il 42,8% non lavora e non cerca un impiego (a fronte del 9,2% degli uomini) ed il 17,4% cerca lavoro (il 9,5% tra gli uomini).
Un quarto degli induisti immigrati lavora come operaio (25,8%), il 18,5% come lavoratore agricolo o pescatore. Altre professioni piuttosto diffuse sono domestico/addetto alle pulizie (7%), badante (6,1%), commerciante (6,1%), cameriere/aiuto in cucina (6,1%), cuoco/ristoratore (5,7%); vi sono poi impiegati nel settore privato (4,8%), facchini (3,8%), liberi professionisti (3,2%), fattorini/addetti al volantinaggio (2,9%), commessi (2,2%).

Scuola e integrazione: un quinto dei figli di immigrati induisti ha un gap linguistico
La quasi totalità dei genitori immigrati di religione induista (94,4%) ritiene che i propri figli a scuola abbiano buoni rapporti con gli alunni italiani e con gli insegnanti; l’81,3% è sicuro che si sentano anche rispettati come induisti.
Secondo quanto riferito da poco più della metà dei genitori (52,3%) i ragazzi hanno la possibilità di celebrare le feste induiste. La questione del legame con la propria identità originaria viene posta anche dal dato elevato di genitori (69,2%) che vedono la scuola come un luogo dove i propri figli vengono assorbiti nella cultura italiana. Infine, si segnala un dato preoccupante: oltre un quinto dei ragazzi, secondo i genitori, a scuola hanno difficoltà legate alla comprensione della lingua italiana (21%).
testi scolastici in molti casi non riportano informazioni corrette quando parlano di Induismo: le informazioni sono “spesso” esatte per il 20,6% dei genitori immigrati e “sempre” esatte appena per il 3,7%, per ben il 43,5% lo sono solo “qualche volta”, per il 22% addirittura “raramente”, per il 7,9% “mai”.

Più giovani più integrati?
Interrogati su chi, a loro avviso, risulti più integrato nella società italiana, gli intervistati rispondono, nel 39,5% dei casi, le seconde generazioni di induisti e nel 35,5% le terze generazioni. Solo il 5% cita le prime generazioni, mentre per il 17,9% non ci sono differenze rilevanti.
È soprattutto il timore che le nuove generazioni, vivendo in Italia, dimentichino i valori professati dall’Induismo ad attanagliare gli immigrati induisti (53,2%); anche se con minor frequenza, non manca chi (43,9%) si dice preoccupato per l’influenza negativa della cultura occidentale e chi teme che i giovani abbraccino altre religioni (31,8%).

Donne, emancipazione a metà
Un intervistato su 5 ritiene che le donne debbano stare a casa, dove sono più al sicuro (20,2%); la stessa percentuale pensa che le donne non debbano lavorare e contribuire all’economia familiare. Nella maggior parte dei casi si ritiene tuttavia che la donna debba lavorare (lo pensa il 77,1%) e non restare confinata tra le mura di casa (76,9%). Il campione si divide a metà sulla principale occupazione femminile: per il 49,9% le donne devono occuparsi soprattutto della casa e della famiglia, mentre per il 46,8% non è così. Per la maggioranza (57,6%), la donna deve seguire il marito (solo il 34,7 si esprime contrariamente). L’idea che la donna debba ricevere un’istruzione, d’altra parte, viene condivisa da quasi tutti (89,4%; è contrario solo il 7,1%).

Una persona su quattro testimone di episodi di violenza sulle donne
È stato chiesto di rispondere sulla conoscenza di eventuali episodi di maltrattamento in àmbito familiare: si tratta di pochi (17,5%), alcuni (9,1%) e molti (soltanto 1,7%).

La condizione delle donne indiane rispetto alle italiane
Secondo il 62,8% degli immigrati induisti le donne indiane non sono meno rispettate di quelle italiane, benché 1 su 3 sostenga il contrario (33%). In oltre la metà dei casi (55,1% contro il 41,4%) si ritiene che le donne italiane siano più libere di quelle indiane che, di contro, vengono ritenute meno esposte a rischi rispetto a quelle italiane (49,9% vs 45,5%). L’impegno mostrato verso i figli e il marito, invece, accomuna donne italiane e indiane con una variazione minima in favore delle donne indiane dello 0,6%.

Assistenza sanitaria promossa
In maggioranza (77,4% contro il 18,8%) gli induisti stranieri si dicono soddisfatti dell’assistenza sanitaria in Italia. Alle donne è stato chiesto se si sentano o meno a proprio agio a essere visitate da un medico uomo: la maggioranza (66,1%) non ha imbarazzo (contro il 30% di quante sono a disagio), ma questo è più vero nelle giovani generazioni (il 74,7% delle 18-24enni).

Identità religiosa e libertà personale e di culto
L’elemento più rilevante dell’identità induista è la pratica religiosa per il 47,8% degli induisti stranieri; seguono abitudini e tradizioni (22,9%), e visione della vita (10,6%), mentre la comunità di riferimento è un elemento poco rappresentativo (8,7%) come il legame con il paese d’origine (5,2%).
Per quanto riguarda le libertà personali, il 93,6% degli intervistati si sente libero di scegliere il proprio abbigliamento, l’85% di celebrare le festività religiose, l’83,2% di esprimere le proprie convinzioni e valori. Solo la libertà di educare i figli secondo i valori induisti, raccoglie percentuali non così condivise (67,8%).
La religione ha un ruolo rilevante ed indicata come importante abbastanza per il 37,2% degli immigrati induisti, molto per il 36,8%, moltissimo per il 21,2% e poco per il 4,4%, solo lo 0,2% risponde che la religione non riveste alcuna importanza nella propria vita.
Tra abitudini e rituali legati al culto, quelle più importanti sono: la celebrazione dei festival induisti (96,1%) e la frequentazione del tempio induista (93,8%). I rituali domestici fanno parte delle abitudini di vita del 69,7% del campione; meno sentiti risultano essere l’osservanza dei voti (58%) e lo studio dei testi sacri (61,7%), mentre lo yoga viene praticato abitualmente solo dal 35,5% degli intervistati.
Interrogati sulla presenza di templi nelle vicinanze della casa o del posto di lavoro, gli intervistati si dividono tra chi pratica in un luogo preesistente adattato a tempio (91,1%) e chi invece ha la possibilità di farlo in un luogo progettato e costruito appositamente (solo il 2,1%).

Il rapporto con le altre religioni basato soprattutto sul rispetto (69,4%)
Il rapporto con le altre religioni è improntato sull’apertura: vincono il rispetto (69,4%), l’interesse (9,4%), lo scambio reciproco (5,6%), sebbene ci sia una percentuale di intervistati che prova indifferenza (13,1%) o addirittura rifiuto (1,9%). Più di una persona su tre (37,6%) frequenta altri luoghi di culto non induisti, sebbene sia maggiore la percentuale di chi invece afferma il contrario (61,8%). Coerentemente con questo dato, il 33,9% degli stranieri induisti conosce almeno un esponente della Chiesa Cattolica contro il 65,6% di chi non ne conosce alcuno.

L’Unione Induista Italiana: punto di riferimento e di mediazione per 7 induisti su 10
Sul rapporto con l’Unione Induista Italiana, gli induisti stranieri in Italia hanno risposto di sentirsi soprattutto rappresentati dall’ente religioso (70,5%) e di individuarla come tramite con le Istituzioni italiane (70,1%). È invece un punto di riferimento per i momenti difficili per il 37,6% del campione, e più della metà (56,6%) lo vede come ente di tutela dei propri diritti.
La fascia d’età che si sente più vicina all’UII è quella degli over 45, che dichiara di sentirsi rappresentata (82,5%) dall’ente, punto di riferimento per i propri problemi per 1 intervistato su 2 (50%), e garante di tutela dei propri diritti (67,5%). Il ruolo dell’UII come tramite con le Istituzioni italiane è invece più sentito dalla fascia d’età dei 18-24enni, con una percentuale del 78,9% di risposte positive.
Il rapporto degli induisti stranieri con l’UII è più consolidato nelle regioni del Nord, dove c’è un alto riscontro di risposte positive sulla rappresentatività dell’ente (86,8% nel Nord-Est e 78,6% nel Nord-Ovest), sulla tutela dei diritti (86,8% nel Nord-Est e 67,7% nel Nord-Ovest), e come punto di riferimento per i problemi della vita quotidiana (57,9% nel Nord-Est e 50,9% nel Nord-Ovest).

Tra criticità, discriminazione e razzismo
La maggior parte degli intervistati ritiene che non ci siano problemi tra la comunità induista e l’Italia (30,4%), ma questa opinione è quasi eguagliata dalla constatazione di una mancanza di conoscenza e dialogo tra le due comunità (29,3%). Il 13,5% degli induisti residenti in Italia denuncia l’indifferenza delle Istituzioni italiane verso i diritti e i problemi della propria comunità e poco meno di uno su dieci (9,2%) reputa un problema le profonde differenze tra la cultura induista e quella italiana; solo il 3,7% riporta l’esistenza di una diffusa ostilità degli italiani nei confronti degli induisti e il 13,9% ritiene che sussistano ulteriori problemi, differenti da quelli proposti. L’atteggiamento degli italiani nei confronti degli induisti viene considerato in generale rispettoso (36,6%), aperto (17%) e improntato sulla curiosità (12,3%). Non manca chi rileva anche atteggiamenti negativi come: indifferenza (16%), diffidenza (8,5%), ignoranza (5,4%) e ostilità (1,5%).
Oltre un terzo degli intervistati (34,2%) ha assistito ad episodi di razzismo contro induisti: almeno una volta (20,4%), qualche volta (12,1%) e spesso (1,7%). Tra quanti hanno invece vissuto in maniera diretta comportamenti razzisti, il più sofferto risulta essere la scortesia (32,6%), seguito da derisione (23,5%), esclusione (14,8%) e insulti razziali (13,3%).
Complessivamente al 30,8% degli induisti intervistati è capitato che qualcuno abbia cercato di convincerlo a cambiare religione da quando vive in Italia (sommando le risposte “raramente”, “qualche volta” e “spesso”). La richiesta di destinare l’8 per mille alla Chiesa cattolica o ad altre religioni in fase di dichiarazione dei redditi ha invece coinvolto circa il 27% del campione.

Italiani, troppi stereotipi e poca conoscenza
Con diverse intensità (sommando le risposte “qualche volta”, “spesso” e “sempre”), tra gli induisti è diffusa l’opinione che i non induisti credano che l’Induismo sia una religione politeista (91,9%). Inoltre, gli induisti credono di essere considerati inclini al proselitismo nel 66,3% dei casi. Associare l’Induismo alle vacche sacre è, secondo gli intervistati, un fenomeno comune (91,6%,) e con ancora più frequenza ritengono che la loro religione sia associata alle caste (92,7%). Con minore frequenza invece i non induisti assocerebbero l’Induismo alla mancanza di rispetto per le donne (79,1%). La religione induista, infine, sarebbe associata all’amore per gli umili nel 77,8% dei casi e alla fede nel karma nel 94,4% dei casi.
Rispetto allo yoga, il 42,6% del campione è convinto che esso sia visto dagli italiani come una forma di ginnastica e per il 32,9% viene considerato una moda. Solo il 2,9% degli induisti crede che gli italiani riconoscano lo yoga come una pratica religiosa, mentre il 21,6% non sa indicare una risposta. Rispetto alla diffusione dei cosiddetti movimenti neoinduisti, la percentuale più ampia del campione si dichiara non interessato ad essi (40,8%), ma circa un terzo li giudica in modo negativo (32,8%), mentre sono il 24,5% coloro i quali li giudicano in modo positivo.

Tv e Internet: strumenti per mantenere un legame con il proprio paese
Nel guardare la televisione il 40,5% degli induisti stranieri usa sia i canali satellitari del proprio paese di origine sia i canali italiani; in molti comunque fruiscono solo dei canali italiani (30,4%) e non manca chi guarda esclusivamente i canali del proprio paese (25,2%).
Nella quasi la totalità dei casi, Internet viene usato per mantenersi in contatto con amici e parenti nel paese d’origine (96,7%), per comunicare tramite chat (90,6%) e per cercare informazioni di interesse (90,4%). Il 71,7% comunica tramite la posta elettronica, mentre superano di poco la metà quanti fanno acquisti on-line (55,9%) e cercano lavoro (52,3%); il 50% degli intervistati utilizza la Rete per scaricare musica/film/giochi/video e si fermano al 41,2% i giocatori on-line. Meno diffuso l’uso del web come mezzo di promozione della propria attività (negozio, ristorante, ecc.), con solo il 12,7% delle indicazioni positive.