
di Andrea Filloramo
Ormai è chiaro a tutti che con Papa Leone XIV c’è un ritorno o – forse sarebbe meglio dire – una valorizzazione della figura di Sant’Agostino d’Ippona, (354 – 430), vescovo, filosofo, Padre e dottore della Chiesa Cattolica, considerato il maggiore rappresentante della Patristica Occidentale, al cui Ordine (gli agostiniani) il Pontefice appartiene.
Ai conoscitori della filosofia di Agostino e a quanti hanno letto le sue “Confessioni”, che è un’opera introspettiva di straordinaria modernità, che svela l’interiorità umana con una profondità inedita per l’epoca, basta poco per rilevare, gli elementi rintracciabili nei discorsi del Papa, che testimoniano questo “ritorno” e per fare qualche riflessione su che cosa esso significhi e quali siano le sue implicazioni che possono avere all’interno della Chiesa.
Leone XIV in tutti i suoi discorsi fatti dal giorno della sua elezione, si rifà continuamente ed esplicitamente alla teologia di Agostino considerandola, non come un insieme di astratti pensieri ai quali fare riferimento, ma come qualcosa che nasce dall’esperienza di Dio, dal rapporto personale che egli ha avuto e che tutti possono avere con Lui e, quindi, dal vissuto dell’anima, dai sentimenti e dalle domande esistenziali comuni a tutti gli uomini.
Il tema centrale di Agostino, trattato nelle Confessioni è di “non andare fuori” di sé ed è l’invito del “redi in te ipsum”, cioè del “ritorna in te stesso”, perché “in interiore hominis stat veritas”. Solo, quindi, all’interno dell’uomo – secondo Agostino -ciascuno può trovare la verità.
Agostino, così, invita a rivolgere lo sguardo verso l’interno, non nel senso di chiudersi in se stessi, ma per riscoprire che la verità non è un oggetto da possedere, un concetto da manipolare, ma una realtà viva che ci precede e ci abita.
Cercarla fuori di noi, negli onori, nelle mode, nelle opinioni, nell’apparire, porta a smarrimento; cercarla dentro di noi significa, invece, ascoltare quella voce segreta che parla al cuore.
Dire che la verità sta nell’interiorità dell’uomo significa anche che l’autenticità personale è inseparabile dalla verità. Non si può essere “veri” fuori, se si è divisi dentro. L’interiorità è dunque anche il luogo della coerenza: là dove c’è il cuore, la mente e le azioni si ricompongono.
In una cultura spesso dominata dall’esteriorità, dall’ immagine, dalla visibilità e dal riconoscimento, l’invito agostiniano è di straordinaria attualità: ci ricorda che senza radici interiori, anche la comunicazione della fede, le istituzioni e persino la vita comunitaria rischiano di ridursi a superficie.
Se la Chiesa oggi riscopre questo modello, vuol dire che la teologia viene vista non come mera dottrina ma come vita e come trasformazione. L’invito all’interiorità suggerisce, perciò, che non bastano le pratiche esteriori o le attività pastorali generiche. Serve che il credente cammini nella conversione personale.
Da osservare che il ritorno ad Agostino proposto dal Papa non è un mero ritorno individualistico, né il richiamo all’interiorità è da interpretare come fuga dal sociale, come introspezione senza azione, se non bilanciata con l’impegno verso il prossimo.
Da evidenziare che Agostino nelle sue opere insiste moltissimo sulla comunità, sull’unità nella molteplicità, sulla vita condivisa. Guardare per la Chiesa ad Agostino, implica, perciò, un rafforzamento del senso di comunità, della fraternità ecclesiale, della corresponsabilità.
Questo invito il Papa lo riprende con molta forza e continuamente.
Inoltre, come è proprio della spiritualità agostiniana, che vede Cristo al centro come mediatore, modello e sapienza, Leone XIV insiste su Cristo come fondamento del messaggio della Chiesa, sull’annuncio, sulla conversione missionaria.
Il magistero di Leone XIV mostra, in poche parole, che l’“eredità” di Agostino non è solo storica ma vitale: si fa strada nella risposta ai problemi odierni, alle sfide digitali, alla crisi esistenziale, ai conflitti, alla ricerca di senso.
Agostino è maestro nel coniugare fede, ragione e cultura. Questo ritorno può spingere, pertanto, la Chiesa a dialogare meglio con i saperi moderni, con le domande filosofiche e scientifiche, con le sfide etiche contemporanee.
Da osservare, però, che questo “ritorno” non è senza sfide.
Sappiamo e lo sa anche il Papa che la teologia agostiniana ha anche dei limiti storici. Basta solo pensare che Agostino ha vissuto nel tempo del tardo impero con i problemi e i conflitti di allora. Applicare la sua teologia, quindi, ai problemi moderni richiede, perciò, tanto discernimento.
Serve anche che il linguaggio e la formazione siano capaci di rendere accessibili alcuni temi profondi, di filtrarli e di riconsiderarli alla luce della teologia successiva e del pensiero contemporaneo.
Non tutti i fedeli conoscono Agostino o i suoi scritti, e spesso serve mediazione educativa, catechetica, omiletica.
Una cosa però è certa: per Agostino, tutti i suoi scritti convergono nell’amore: «Ama, e fa’ ciò che vuoi» egli ha scritto.
Leone XIV rilancia questo messaggio come criterio decisivo della vita cristiana. Non basta per lui una fede di formule, né un’attività pastorale frenetica. La carità è la misura di ogni scelta.
Da qui l’insistenza del Papa sulla Chiesa come comunità che accoglie, riconcilia e costruisce ponti.
Il ritorno di Agostino non è per il Pontefice sicuramente una nostalgia intellettuale.
Leone XIV legge le opere del vescovo d’Ippona come risposte attuali alle domande di oggi: la ricerca di senso, la frammentazione sociale, le solitudini digitali, i conflitti che lacerano popoli e comunità.
La teologia agostiniana diventa così una bussola per orientarsi, capace di parlare non solo agli studiosi, ma al cuore di ogni credente.
Un altro tratto distintivo del “ritorno agostiniano” di Leone XIV è lo stile.
Il Papa cita Agostino non solo davanti a teologi o religiosi, ma anche nei contesti più popolari, dalle celebrazioni liturgiche agli incontri pubblici. Solo in questo modo, testi come le Confessioni o il De vera religione diventano accessibili anche a chi non ha mai aperto un libro di teologia.
Concludendo: il “ritorno di Sant’Agostino” con Leone XIV non è nostalgia, ma rinnovamento.
Quello del Papa è un invito a guardare al patrimonio della tradizione non come a un museo, ma come a una fonte viva. L’inquietudine che spinge a cercare Dio, l’interiorità che nutre la missione, la comunità che diventa segno di fraternità, la carità come criterio ultimo: E’ in queste quattro coordinate che si condensa l’eredità agostiniana oggi rilanciata dal vescovo di Roma.
Per Leone XIV, riportare Agostino al centro non significa guardare indietro, ma aprire strade nuove. Il Papa vuole una Chiesa che non ha paura di ascoltare le domande del cuore umano, che diventi una comunità capace di fraternità, che mette al primo posto solo l’amore.