La solitudine del prete

Non passa giorno che nei giornali, nelle televisioni, in Internet non si parli d’altro se non delle debolezze, dei peccati o dei vizi dei preti, come se tutti i mali che ci sono nella Chiesa dipendano soltanto dalla mancanza o dal venir meno a quell’”ethos”, cioè di quell’insieme di valori e norme…

 

 

di ANDREA FILLORAMO

 

Prendo spunto di quanto mi scrive, a commento di un mio recente articolo, P.C. un prete della diocesi di…………..che fra l’altro osserva: “nei giornali e nella televisione si parla poco o per niente della solitudine del prete…”…

 

Non passa giorno che nei giornali, nelle televisioni, in Internet non si parli d’altro se non delle debolezze, dei peccati o dei vizi dei preti, come se tutti i mali che ci sono nella Chiesa dipendano soltanto dalla mancanza o dal venir meno a quell’”ethos”, cioè di quell’insieme di valori e norme, di quei codici di comportamento interiorizzati che costituiscono e determinano la disposizione, il carattere, il temperamento culturale del sacerdote e mai si parla o si discute della solitudine del prete, della sua indefinita sensazione di marginalità sociale, del vuoto, della sua sofferenza nel sentirsi molto spesso prigioniero di limiti umani, intellettuali, pastorali, solitudine che probabilmente sta a fondamento delle stesse debolezze, dei peccati e dei vizi.

Diciamolo chiaramente: il prete spesso si sente incompreso dalla sua stessa gente che non esita a giudicarlo per quel che fa o che non fa. Egli prova una grande frustrazione quando scopre d’essere considerato un funzionario del sacro e che la parrocchia è vista come una stazione di servizio. L’importante, per tanti, è che il prete distribuisca i servizi che gli si chiedono: messe, funerali, matrimoni, battesimi; il tutto possibilmente come da richiesta più per soddisfare i bisogni dell’apparenza che quelli della fede.

Che dire poi della sua solitudine che nasce dal rapporto con il proprio vescovo che considera come un datore di lavoro, sempre pronto a mostrargli cordialità ma privo di partecipazione davvero paterna? È triste che proprio i vescovi non comprendano di aver bisogno dell’amore dei propri sacerdoti. Anche il più bravo dei Vescovi non potrebbe fare assolutamente nulla se non fosse affiancato dai suoi preti che non sono solo pedine da spostare ogni nove anni da una parrocchia all’altra per un “legittimo e naturale avvicendamento”, ma che vorrebbero essere nel frattempo considerati, cercati, orientati, amati per quello che veramente sono.

E ancora come giudicare il rapporto dei preti con i propri confratelli con i quali è difficile o impossibile condividere obiettivi teologici, pastorali, liturgici, con i quali si è obbligati a vivere separati non solo dai confini parrocchiali? Nessuno, quindi, si deve meravigliare se essi, desiderando qualcuno con cui parlare, con cui confidarsi, a cui narrare la propria vita, avvertendo il bisogno di relazioni vere, di confronto, di dialogo e di sostegno sincero, trasparente, fraterno, sincero e non ipocrita, imbocchino, come dice Papa Francesco, la strada della mondanità o seguano le esigenze del loro essere “uomini in carne e ossa”.

Proprio allora, scoppiano in lui, con una forza che lo spaventa, lo disorienta, e lo scombussola, l’affettività e la sessualità, tenute a bada per molto tempo fra incertezze, cadute, pentimenti, pur in mancanza di un’educazione seminaristica, che avrebbe reso più tranquillo il lungo percorso di formazione e molto più sereno lo stesso ministero.

Oggi si scrive e si parla molto dei preti che lasciano il ministero, che fa pensare come è difficile vivere o anche impegnarsi a vivere casti in una società che banalizza la castità e non comprende il senso del celibato ecclesiastico. Ma prima dell’abbandono non facile ma doloroso, anzi tragico, del ministero, c’è stato il Getsemani della solitudine.

Oggi si parla e si scrive, inoltre, della pedofilia clericale, sulla quale molto si è detto ma molto ancora bisogna dire e non per assolvere il prete pedofilo ma da condannare severamente in ogni caso.

Ad un esame attento di quello che può essere considerato un fenomeno, la pedofilia, al di là dell’aspetto   patologico che bisogna tener presente,  trova una sua motivazione profonda anche   nella solitudine del prete, di cui la Chiesa si deve veramente far carico o accollandosi la responsabilità della mancata vigilanza o di non essere intervenuta nei casi più eclatanti ben noti a tanti, per predisporre tutti gli strumenti consentiti per far sentire la vicinanza e l’affetto più sentito che sono gli antidoti per ogni malessere dello spirito, inclusa la pedofilia.