La riflessione: Il Papa, Biden e il futuro del mondo

di ANDREA FILLORAMO

Dalle ultime elezioni, celebrate qualche settimana fa, Presidente eletto degli Stati Uniti d’America è risultato il democratico J. Biden, già vice Presidente di Obama,  senatore ben conosciuto e stimato al di là dell’Oceano, chiamato a scrivere un nuovo capitolo della storia americana, dopo il ciclone Trump e, quindi anche a  determinare un nuovo corso anche della stessa politica europea, che il suo predecessore aveva fortemente condizionato particolarmente con le sue prese di posizione eccessivamente nazionaliste, che avrebbero nel tempo “strozzato” le economie dei paesi europei.

Dagli anni 60, da quando, cioè, J. Kennedy era stato inquilino della Casa Bianca non c’era stato più un cattolico, ad assumere questo potere.

Biden ricorda spesso l’importanza che ha per lui la fede cattolica e sostiene di aver trovato conforto e sostegno negli insegnamenti cattolici e nella Chiesa nei due momenti più tragici della sua vita, quando nel 1972 perse la prima moglie Neilizia e la figlia piccola Naomi e nel 2015, quando perse anche il figlio Beau, morto di cancro al cervello.

La fede cattolica di Biden, però, se entusiasma i correligionari italiani ed europei, ha lasciato indifferente la “United States Conference of Catholich Bishops (Usccb)”, cioè la Conferenza episcopale statunitense, che dinnanzi alla scelta fra Trump e Biden, con un suo documento prima delle elezioni, non ha espresso alcuna linea guida. In esso, gli elettori cattolici sono stati lasciati liberi di votare qualunque candidato, anche promotore di intrinsically evil act come l’aborto, l’eutanasia, discriminazioni razziali o trattamenti inumani dei più poveri, purché nelle loro intenzioni non ci fosse stato il sostegno personale a tali politiche. Insomma: né Biden, né Trump sono stati in alcun modo qualificati dai vescovi statunitensi.

Tale posizione della Conferenza episcopale statunitense certamente diventa incomprensibile per chi vive in Italia e da cattolico segue, almeno teoricamente, le indicazioni dei vescovi su quei temi sensibili, che seguono la linea politico-religiosa del Papa.

Come si spiega ciò?

La risposta è data dal fatto, come facilmente si può vedere, che c’è una profonda differenza fra il cattolicesimo italiano e europeo e quello americano.

A tal proposito Manlio Graziano, sottolineando che la scelta americana, appartiene alla stessa sua storia, di cui non può fare a meno, scrive:

Cinquantacinque anni fa un candidato alla presidenza degli Stati Uniti fu costretto a dichiarare pubblicamente che mai avrebbe ricevuto ordini dal papa; oggi, i vertici politici degli Stati Uniti sono pieni di cattolici, eppure nessuno sembra accorgersene. Cent’anni fa, la libertà di coscienza rappresentava per la Chiesa cattolica il male assoluto; oggi, la vita, la libertà, e la ricerca della felicità sembrano essere diventate il suo nuovo mantra. Apparentemente, non c’è nulla degno di nota: il tempo ha fatto giustizia dei vecchi tabù. In realtà, c’è qualcosa di più: gli Stati Uniti sono sempre più cattolici, e la Chiesa è sempre più americana. I due «imperi paralleli» di cui ha scritto Massimo Franco sono dunque destinati a convergere?”.

Tenendo ben presente questa citazione di Graziano, cerchiamo, per quanto ci è possibile in poche righe, di andare in più profondità in questa pagina di storia tipicamente americana, cercando di cogliere il significato che gli americani danno alla religione, sia quella cattolica, sia quelle delle numerose confessioni presenti negli Stati Uniti d’America.

Negli States il senso della religione è vissuto come ritualità collettiva, che si basa e si alimenta sul principio di libertà di coscienza, nato dall’incontro di idee illuministiche e zelo di quelli che secoli addietro sono stati gli immigrati puritani provenienti dalla madrepatria inglese, che con fatica erano riusciti a rielaborare gli schemi teologici e l’impianto dottrinale per fare posto ad un concetto di libertà  più ampio e comprensivo di quello che avevano portato dal Vecchio Mondo, quando avevano attraversato l’Atlantico per dare vita a quello che chiamavano il «sacro esperimento», che prevedeva una società basata sull’osservanza della legge di Dio e sull’ortodossia religiosa.

Per realizzare questo progetto era possibile soltanto una tolleranza limitata su questioni «particolari o marginali, sulle quali gli uomini possono avere opinioni diverse senza pregiudizio per la salvezza», perché sulle questioni dottrinali fondamentali c’era la Parola di Dio, che appariva così chiara che una persona poteva soltanto «essere convinta nella propria coscienza del suo pericoloso errore». Se questa persona persisteva nel suo errore, doveva essere punita; in realtà non veniva punita per la sua coscienza, ma «per aver peccato contro la sua coscienza».

Questa dottrina, la cui sottigliezza a nessuno può sfuggire, non era facilmente acquisibile dagli immigrati cattolici europei, che per questo hanno dovuto sopportare una marginalizzazione culturale e politica lunga, che è durata, con fasi alterne, subendo anche l’influenza della cultura puritana, fino al XX secolo, fino, cioè, al 1960, quando fu eletto il cattolico John Fitzgerald Kennedy alla carica di Presidente.

Il cattolicesimo si è dovuto, perciò, “americanizzare” e svolgersi su diverse direttrici connesse, in primo luogo, all’ascesa dell’immigrazione di stampo latino.

Da un lato, abbiamo, pertanto il cattolicesimo conservatore, per lo più di origine anglo-europea e di residenti nella macroregione del Midwest, che sostengono un’agenda anti-abortista e ostile ai matrimoni omosessuali.

Dall’altro, invece, il cattolicesimo liberale, più aperto sulle questioni dogmatiche, geograficamente collocato sulle coste – in particolare quella californiana – e più soggetto a un processo religioso di inculturazione.

Sono questi i cattolici liberal del Partito democratico – come, appunto, Biden, il presidente eletto –  che si schierano a favore della libertà decisionale delle donne e a favore del riconoscimento delle unioni civili.

Quello che sarà il Presidente degli Stati Uniti nel prossimo gennaio, ha sempre il rosario in tasca e cita spesso gli insegnamenti ricevuti a scuola dalle suore del Cuore Immacolato di Maria e dai genitori cattolici. Si dice personalmente contrario all’aborto ma convinto che debba essere legale, con alcuni limiti; nel 2012 si dichiarò «a suo agio» di fronte al matrimonio tra persone dello stesso sesso; due anni prima ha appoggiato la clausola contenuta nella riforma sanitaria Obama-care che obbligava i datori di lavoro a fornire ai dipendenti una copertura per anticoncezionali e farmaci abortivi.

Tale atteggiamento, come abbiamo visto è consigliato dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti in quel documento sopra citato che non operava una scelta tra Trump e Biden nelle ultime elezioni.

Da evidenziare il fatto che gli americani pur, con diverse tonalità, in modo concreto e immediato, manifestano il rifiuto, anche se parzialmente mitigato dal protocollare rispetto nei confronti del suo magistero, del messaggio sociale, economico e politico di papa Francesco e ciò ci colpisce particolarmente e dà un senso all’atteggiamento assunto da Mons. Viganò, già nunzio apostolico negli Stati uniti, ma non lo giustifica, nei confronti di Papa Francesco.

È questa una contrapposizione  che, non a caso, ha fatto parlare di un problema americano” per chi sarà il successore di Papa Bergoglio.

Il messaggio sociale, economico e politico del papa argentino, infatti, è, per i cattolici americani irricevibile, in quanto contrario all’idea stessa di Stati Uniti d’America.

Gli statunitensi non riescono a comprendere, infatti, perché le questioni bioetiche e sessuali non sono al centro del pontificato bergogliano e perché il Papa si ostini a denunciare le diseguaglianze economiche, la mancata salvaguardia dell’ambiente e la questione migratoria.

Le idee papali che invitano a superare lo steccato occidentale, l’uscita della Chiesa verso il mondo, la predilezione verso i poveri, cozzano con le certezze mercatistiche, liberiste e nazionalistiche del cattolicesimo sostanzialmente conservatore americano e l’ethos capitalistico statunitense e contraddice la convinzione etno-religiosa del tradizionalismo cattolico americano, che eleva il proprio Paese a “modello di carità cristiana”.

Constatiamo che nei vari settori del conservatorismo statunitense è ben presente una strategia che non è tanto quella di costringere Papa Francesco a lasciare, a dimettersi, come qualcuno dice, quanto di incidere sull’elezione del prossimo Pontefice, creando le condizioni affinché il prossimo Papa non continui ad approfondire il cammino che Francesco ha invece indicato e intrapreso.

Del resto ciò era stato previsto dal cardinale tedesco Walter Kasper, tra i principali elettori di Bergoglio nel conclave del 2013, che aveva dato una lettura simile, evidenziando la presenza di persone e gruppi, dentro e fuori la Chiesa, che “non vogliono bene a questo pontificato” e sono attive per avere presto un nuovo conclave per indirizzarlo “in loro favore”.

Quale, quindi, sarà il futuro del cattolicesimo negli Stati Uniti, dove le radici della cultura della libertà hanno prodotto frutti di ideologia libertaria anche in quei circoli intellettuali e clericali che si appellano all’autorità del magistero della Chiesa? Nessuno lo può dire.