La riflessione: Chiesa, abusi e don Vinicio Albanesi

Mentre a Roma il Papa e i presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo, affrontano per la prima volta i problemi della pedofilia e degli abusi sessuali del clero cattolico, don Vinicio Albanesi, un prete italiano di 75 anni, presidente della Comunità di Capodarco…

 

di ANDREA FILLORAMO

Mentre a Roma il Papa e i presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo, affrontano per la prima volta i problemi della pedofilia e degli abusi sessuali del clero cattolico, don Vinicio Albanesi, un prete italiano di 75 anni, presidente della Comunità di Capodarco dal 1994, fondatore, insieme a don Luigi Ciotti, del “Coordinamento delle comunità di accoglienza” denuncia pubblicamente gli abusi subìti da ragazzo in seminario da parte di sacerdoti protetti dalla cultura del silenzio e dell’omertà con cui la Chiesa ha nel passato preteso di “tutelare” la loro reputazione che coincide con quella della stessa istituzione ecclesiastica.

La dichiarazione di don Vinicio, molto tardiva, incompleta per la mancanza di nomi e cognomi dei preti (probabilmente già morti, magari in odore di santità) che si erano resi colpevoli di così gravi fatti, riguarda, com’è facile notare, preti predisposti alla formazione “oculatamente” scelti dal vescovo per educare i futuri presbiteri.
Don Vinicio si è imposto per tantissimi anni il silenzio su quegli abusi, a cui la Chiesa nel passato l’obbligava, rendendosi complice – diciamolo con chiarezza – con chi l’aveva impunemente abusato, approfittando non solo di lui ma quasi sicuramente anche di altri seminaristi.
Porsi la domanda del perché quel prete ha rivelato quella atroce verità dopo 50 anni può essere inutile se pensiamo che non è facile parlare in determinati ambienti anche se esprimersi con libertà di fronte a un abuso è fondamentale per la propria sanità psichica. Parlare sicuramente può valere per tutti ma non per i preti che nei lunghi anni del seminario, sono stati privati della libertà e non hanno potuto acquisire il senso del limite. Acquisire re il senso del limite, aiuta a sviluppare e a interiorizzare il senso di colpa, quello buono e costruttivo, la cui mancanza crea sempre disastri.
E poi: pensiamo al fatto che don Vinicio come tutti i preti di un tempo e come tanti preti di oggi, si trovava in una Chiesa che non riconosceva gli errori del passato e nascondeva quelli del presente con la parola d’ordine del “silenzio necessario” e che all’occorrenza additava come traditori coloro che, dall’interno, si spingevano non necessariamente fino all’aperta e diretta denuncia, ma anche solo fino alla critica più semplice, cauta e misurata.
Per la gerarchia ecclesiastica e, quindi, per i suoi ministri, a iniziare dal papa fino all’ultimo curato di campagna, della Chiesa e degli uomini di Chiesa bisognava sempre parlare bene: essa è la “sposa di Cristo” e, per tal motivo “senza macchia”. Tutto, quindi, nella Chiesa deve apparire lindo, perfetto, immacolato, privo di ogni macchia.
Certo che la Chiesa di Papa Benedetto e di Papa Francesco ci sta aiutando a guardare sotto la talare dei preti, dove c’è un mondo non più misterioso, ma reso in parte manifesto. La sua totale manifestazione avverrà quando, con coraggio e prima di essere messi alla gogna dalle loro stesse vittime, i preti pedofili o operatori di abusi sessuali, presenti in ogni diocesi o in ogni congregazione religiosa, renderanno manifesta al vescovo o al superiore religioso la loro natura.
Da quel momento sarà il vescovo che si prenderà la responsabilità di una decisione che può essere anche quella della riduzione allo stato laicale.
Dubito, però, che ciò avvenga.
Ma sono certo che non accadrà più che un seminarista, alla vigilia dell’ordinazione, accusato di abusi sessuali operati su un altro seminarista più giovane, venga cacciato dal seminario ma poi accolto da un vescovo benevolo di un’altra diocesi che lo ordinerà e lo avvierà alla carriera ecclesiastica fino a diventare monsignore.
Non ci saranno più preti che passeranno da una diocesi ad un’altra, per occultare qualche loro “peccatuccio” né religiosi che, senza serie motivazioni ma per gli stessi motivi, chiederanno l’incardinazione in una diocesi per diventare preti secolari.
I vescovi, quindi, aiutino i loro preti ad essere autentici testimoni della fede che professano e vigilino affinché la piaga della pedofilia e degli abusi sessuali del clero scompaia definitivamente nella Chiesa, come auspica Papa Francesco.