LA PRIMAVERA DI PECHINO DEGLI STUDENTI CINESI DI PIAZZA TIENANMEN

A che cosa serve ricordare dopo 29 anni il sangue versato di migliaia di giovani sulle strade attorno al viale Chang’an della piazza Tienanmen a Pechino. Nei mesi di aprile e maggio del 1989, oltre un milione di persone, guidate dagli studenti, delle varie università, occuparono pacificamente piazza Tienanmen a Pechino, chiedendo libertà e democrazia. Non solo Pechino, in tutta la Cina, decine di milioni di cittadini appoggiavano le loro richieste. «In totale, quasi cento milioni di persone vi parteciparono».

I leader del Partito comunista cinese respinsero ogni ipotesi di dialogo, e tra la notte del 3 e 4 giugno la piazza fu sgombrata dall’esercito. A oggi ancora non si hanno i numeri esatti dei morti e dei feriti di quella tremenda repressione dell’esercito con ogni tipo di arma, compresi i tank. Certamente più di mille manifestanti furono uccisi e migliaia di persone arrestate in tutto il paese. Ancora oggi le madri e il gruppo di parenti delle vittime scrivono lettere al presidente Xi Jimping, «definendo la serie di uccisioni un ‘crimine contro l’umanità’. Il gruppo chiede a Xi anche di perseguire i responsabili e di ricompensare le vittime». Riprendo l’informazione dal mensile Asianews, diretto da padre Bernardo Cervellera. «Il Pcc ha sempre difeso il suo operato come annientamento di una ‘ribellione controrivoluzionaria’. Qualche leader, come Jiang Zemin ha osato dire che il massacro è stato un ‘male minore’[…]». Ogni anno per il 4 giugno, la polizia costringe madri e parenti agli arresti domiciliari. «Sembra – dice la lettera – che questa enorme e potente dittatura del proletariato abbia paura di un fragile gruppo di persone vecchie e malate». (Giugno-Luglio 2018, Asianews).

Esiste un ottimo testo uscito in contemporanea in tutto il mondo che ricostruisce nei minimi particolari la rivolta degli studenti cinesi e quindi la tragica fine in piazza. Si tratta di Tienanmen, curato da Andrew J. Nathan e Perry Link, due accademici, professori americani. Il primo insegna alla Columbia University e il secondo alla Princeton University. Il testo in Italia è stato pubblicato da Rizzoli nel 2001.

Il libro, abbastanza corposo (587 pagine), pubblica centinaia di documenti che provengono dal vertice del Partito comunista e dello Stato. Si tratta di trascrizioni integrali o parziali di testimonianze che riguardano le scelte dei vertici del partito durante quelle drammatiche settimane, della primavera del 1989 a Pechino. «Il movimento democratico che vide la luce in quei mesi fu uno degli eventi più importanti della storia della Cina comunista – scrive Nathan nell’introduzione – e il presente volume ci fornisce il resoconto dettagliato delle decisioni politiche che furono all’origine del tragico epilogo di quelle proteste».

I documenti pubblicati nel libro sono stati rilasciati da Zhang Liang, uno pseudonimo, naturalmente si tratta di un informatore che deve proteggere se stesso e la sua famiglia. Nathan ci tiene a ribadire che «il lettore avrà modo di constatare, questi documenti hanno una coerenza intrinseca, una ricchezza e una credibilità umana che sarebbe impossibile falsificare. Essi riguardano avvenimenti che ebbero luogo a Pechino, nelle province e all’interno dell’esercito; ci rivelano che cosa accadde negli incontri aperti e segreti tra gli studenti e gli intellettuali che li sostenevano […]».

Quest’opera è un’occasione unica per conoscere dall’interno uno dei sistemi politici più ermetici. Anche perchè, per la verità, non esistono tante pubblicazioni sui fatti del 4 giugno 1989. «Il 4 giugno – scrive Liang – non è stato soltanto una protesta studentesca o un patriottico movimento democratico. Esso segnò il culmine delle più affollate, durevoli e influenti dimostrazioni per la democrazia del XX secolo».

Tra le tante domande il curatore Nathan ne pone una impegnativa: a chi giova questo progetto e chi è danneggiato. Secondo l’accademico professore americano, «la pubblicazione di questo libro avrebbe compromesso le carriere dei due leader più potenti della Cina, Jiang Zemin e Li Peng, favorendo l’ascesa dei loro rivali». Inoltre il volume potrebbe influenzare le carriere di molti dei funzionari del partito comunista.

Comunque sia il compilatore dei documenti, rendendoli pubblici ha costretto il Politburo a confrontarsi con Tienanmen, svelando le gravi responsabilità di Li Peng e dei suoi seguaci.

I documenti di Tienanmen smascherano le dure decisione degli Anziani del partito ( Deng Xiaping, Li Xiannian, Peng Zhen, Yan Shangkun, Bo Yibo e Wang Zhen) che decidono l’evacuazione della piazza senza scrupoli. Tra tutti, la decisione di Deng Xiaping.

«Troppe domande sono ancora senza risposta. – Scrive Zhang Liang- in quanto testimone e partecipante di quell’evento, è mio dovere nei confronti del popolo cinese e della storia pubblicare un fedele e completo resoconto delle decisioni che furono all’origine di quei tragici avvenimenti».

Un altro elemento importante nei processi politici nel 1989 era il peso dell’esercito. Infatti nota il curatore, che era importante per i leader comunisti tenere il comando delle forze armate.

Infine ci sono gli studenti che secondo Nathan, «non avevano intenzione di lanciare una sfida mortale a quello che sapevano essere un regime estremamente pericoloso, né il regime intendeva usare la forza contro gli studenti. I due schieramenti condividevano molti obiettivi e un linguaggio comune, ma gli errori di valutazione e le difficoltà di comunicazione fecero asserragliare entrambi su posizioni che rendevano sempre meno attuabile la possibilità di un compromesso».

Il movimento studentesco ebbe inizio il 15 aprile con la morte del riformatore Hu Yaobang. Nella notte tra il 19 e il 20 aprile i dimostranti e la polizia si scontrarono davanti alla Porta Xinhua del palazzo Zhongnanhai, dove ci sono gli uffici e le residenze dei vertici dello Stato cinese e del Partito comunista. Da questo momento per la classe politica cinese, le organizzazioni studentesche rappresentano un pericolo paragonabile alla rivoluzione culturale. Più avanti il 21 maggio la sicurezza presso la residenza dei leader del Partito centrale fu rafforzata. Venne raddoppiata la guardia armata delle abitazioni degli anziani, e sono state poste mitragliatrici davanti ad ogni palazzo.

Il 22 aprile una enorme folla partecipò ai funerali di Hu Yaobang, i dirigenti comunisti pensarono che dopo le esequie, gli studenti si sarebbero dispersi. Non fu così, anzi gli studenti rafforzarono le loro manifestazioni. Il libro ripercorre scrupolosamente, giorno per giorno quello che è successo. Due mesi intensi di attività politica. I documenti raccontano confronti, discussioni, interventi, reazioni, riunioni più o meno segrete, sia dei vertici politici cinesi che delle associazioni studentesche.

Al centro di questa storia, c’è sempre la piazza Tienanmen, che in quelle settimane, si trasforma in simbolo della Nuova Cina libera. I dirigenti comunisti non potevano sopportare un affronto così grave, del loro luogo sacro e solenne, era inammissibile che la piazza fosse ridotta a una specie di comando di guerra, centro di trasmissione nazionale della controrivoluzione, dove si lanciavano attacchi furiosi al Partito e al governo. Wang Zhen, uno degli anziani, prima di prendere la decisione di evacuare la piazza, così si esprimeva sulla rivolta: «Maledetti bastardi! Chi si credono di essere per calpestare vergognosamente il sacro suolo di Tienanmen per tanto tempo e restare impuniti? Se la sono cercata. Dovremo dare ordine ai soldati di andare ad arrestare questi controrivoluzionari, compagno Xiaping![…] Dobbiamo agire senza indugi, altrimenti non potremo mai perdonarci le conseguenze […] Chiunque tenti di rovesciare il Partito comunista merita la più indecorosa delle morti!».

Tutti erano convinti che bisognava reprimere rapidamente e in modo deciso i disordini. Occorre sradicare il morbo controrivoluzionario e restituire la piazza al popolo. «Dagli altoparlanti installati abusivamente da questa minoranza risuonano senza interruzione attacchi contro il Partito e le più alte istituzioni dello Stato, diffondono propaganda controrivoluzionaria ed esortano ad abbattere il nostro governo». Gli stralci dei rapporti fanno riferimento alla «statua di una Dea davanti al monumento agli Eroi del popolo, come se volessero chiamare a nume tutelare della loro lotta la libertà e la democrazia americana».

Intanto il movimento studentesco si intensifica anche nelle province, e gli interessi non erano solo quelli che riguardavano lo studio, le università. «Gli studenti avevano ampliato i propri interessi, includendo politica, economia, cultura, istruzione, teoria ideologica, costumi e ordine sociale». E quello che contava, stavano suscitando le simpatie dei funzionari e membri del corpo insegnante.

I membri del Partito comunista ordinano a tutto il personale di mescolarsi tra gli studenti per esortarli a rientrare in aula. Il testo mette in evidenza il notevole interesse che ha suscitato l’editoriale del 24 aprile, uscito sul Quotidiano del Popolo, il primo quotidiano del partito. Il testo firmato da Deng Xiaping, divenne una nuova causa di insoddisfazione non solo tra gli studenti, ma anche tra i cittadini. Per il vertice del Partito l’editoriale, invece andava studiato da tutti per uniformare il pensiero e la visione dei fatti. Ogni scuola organizzazioni partitiche, tutte le autorità scolastiche, dovranno svolgere un accurato lavoro di formazione e indottrinamento tra gli studenti. «Dovrete assumere al più presto il controllo della situazione e usare il corretto pensiero politico per risolvere qualsiasi smarrimento e equivoco possa sorgere tra gli studenti». Così si esprimeva il compagno Li Tieying al Forum dei segretari di partito di alcune università.

Bisogna stroncare il fenomeno sul nascere. Non possiamo permettere che quei ragazzini vengano sobillati. La battaglia è complessa e durerà a lungo secondo Li Peng, che presiedeva il Comitato permanente del Politburo. Presso i palazzi dello Zhongnanhai dove erano riuniti i vertici governativi, arrivavano diversi rapporti riguardanti le varie manifestazioni studentesche in tutto il paese. Un’altra preoccupazione si aggiungeva per i dirigenti comunisti, si tratta della visita di Gorbaciov, il segretario Pcus: «mentre Gorbaciov è qui, deve regnare ordine in piazza Tienanmen. Ne va della nostra immagine internazionale. Che figura facciamo se la piazza è nel caos?». Se lo chiedevano in tanti.

I vertici erano convinti che gli studenti non agivano da soli, dagli slogan diffusi nella piazza, sono molto simili a quelle faziose di «Voice of America», inoltre appartengono anche ad alcune testate giornalistiche e radiofoniche di Hong Kong e Taiwan. Naturalmente i comunisti avevano tutto l’interesse di colpevolizzare i media stranieri. Infatti sono convinti che «un elemento importante in questi disordini è stato il grande appoggio, sia morale che materiale, dato direttamente o indirettamente ai cospiratori e organizzatori da diverse forze reazionarie, organizzazioni e singoli individui, in patria e all’estero». Questo appoggio spirituale e materiale secondo gli organismi comunisti di Pechino ha imbaldanzito la Federazione autonoma degli studenti (Fas).

Il 1 giugno il ministero della Sicurezza di Stato, accusa l’Occidente di infiltrazioni, interventi e attacchi sovversivi. Sottoponendo al Centro un rapporto proprio su questo.

I comunisti intravedono una infiltrazione ideologica e culturale da parte di tutte le amministrazioni americane, che non hanno mai rinunciato a queste infiltrazioni. Gli alti vertici cinesi descrivono bene la situazione, scendendo nei dettagli, per quanto riguarda l’aspetto religioso: «In anni recenti gli Stati Uniti hanno anche inviato in Cina dei missionari sotto mentite spoglie di insegnanti uomini d’affari, medici e tecnici per condurre in segreto opera di evangelizzazione». Tra l’altro dai documenti risulta che nell’ambasciata americana si nascondono agenti della Cia, che ogni giorno, la sera si recano in piazza Tienanmen o all’Università di Pechino o alla Normale e incitano ai disordini.

Pertanto secondo i dirigenti comunisti, l’Alleanza cinese per la democrazia (Acd), «non è che uno strumento in mano agli Stati Uniti contro la Cina. Questo ricettacolo della feccia della nostra società ha sede a New York e ha collaborato con l’associazione cinese di sostegno al Kuomintang […]».

Mentre poi a livello politico, sono presenti le forze reazionarie di Taiwan e Hong Kong, in particolare i servizi segreti militari e il Kuomintang di Taipei.

Il 2 giugno gli Anziani del Pcc decidono l’evacuazione della piazza. Fino all’ultimo  si auguravano che non ci fosse spargimento di sangue. Durante la riunione Deng interviene sulle cause dell’instabilità in Cina, oltre ad essere attribuite ai Paesi Occidentali, che con la scusa dei «diritti umani», vogliono inserirsi nei nostri affari, si fa anche autocritica. Deng dice: «[…] dobbiamo ammettere la nostra parte di responsabilità. Due anni fa  sostenevo che gli errori più grandi hanno riguardato il campo dell’istruzione […] si è trascurato l’aspetto dell’educazione ideologica e molti altri sono rimasti ambigui».

Il 3 giugno nel pomeriggio, i soldati entrarono in città e si scontrarono con la popolazione arrabbiata, le speranze dei leader di evitare spargimenti di sangue, colarono a picco. Ormai hanno capito che avevano a che fare con una «sommossa controrivoluzionaria», che poteva essere repressa solo con la forza. Intanto nel pomeriggio gli alti dirigenti comunisti cinesi si riunirono in seduta d’emergenza per discutere del peggioramento della situazione. Dai verbali dell’incontro del Comitato permanente del Politburo, si nota una certa agitazione, per giustificare la repressione si cerca di trovare innumerevoli giustificazioni. Intanto gli uomini dell’esercito si stanno sforzando  e cercano di contenersi di fronte alle provocazioni degli studenti. Tutti sono d’accordo che la situazione deve tornare alla normalità. E soprattutto di fronte al mondo che ci guarda, occorre far capire che non è colpa nostra degli spargimenti di sangue.

Da questo momento è un susseguirsi di bollettini, di ordini, all’esercito di liberazione.

Per quanto riguarda l’esercito, gli ufficiali erano pronti, determinati a superare ogni difficoltà, appoggiavano incondizionatamente la decisione di instaurare la legge marziale. «Grazie alla grande attenzione data all’educazione politica ed ideologica, tutto il corpo degli ufficiali e degli effettivi è preparato a resistere e a restare saldo in mezzo al tumulto, combatterlo senza risparmiare i colpi e affrontare compatto e unito le tempeste politiche di queste ore».

Nei documenti si evidenziata l’efficienza per raggiungere gli obiettivi fondamentali della sicurezza, si era studiato ogni minimo particolare, esaminato tutte le possibili eventualità, che potevano accadere nella piazza. Viene sottolineato che la maggior parte dei soldati proviene dalle campagne, pertanto entrano per la prima volta in un centro urbano. E soprattutto sia gli ufficiali che la truppa sono consapevoli che stanno espletando una missione speciale. Le truppe sono stazionate nel parco Zhongshan, qui da due settimane, gli ufficiali hanno condotto un’imponente opera di rieducazione ideologica che li ha resi pronti  a procedere all’evacuazione di piazza Tienanmen.

Il racconto minuzioso dello sgombero della piazza, nella notte del 3 e l’alba del 4 giugno, come si può immaginare fu abbastanza tragico e sanguinoso. Da una parte c’era un esercito tra i più potenti al mondo, dall’altra studenti inermi che si difendevano a mani nude.

Termino con un volantino distribuito dalla Federazione autonoma degli studenti (Fas): «L’intero popolo cinese non può tollerare questo massacro fascista. Il sangue non sarà stato versato invano; la lotta non deve finire qui […] Non abbiamo un esercito nostro, siamo indifesi di fronte a truppe moderne ben equipaggiate. Chiediamo ai cittadini di Pechino e a tutto il popolo cinese di astenersi dal lavoro e di boicottare i mercati. E’ necessario inoltre ottenere l’appoggio della comunità internazionale». Ma la comunità internazionale, al di là dei proclami, alla fine non si muove come non si è mossa nel 1956, quando i ragazzi di Budapest combattevano contro carri armati sovietici.

Comunque sia in Cina le proteste continuarono, il libro fa l’elenco di ben 181 località dove si dimostra contro la repressione del governo. Mentre tra il 10 e il 30 giugno ci sono i rastrellamenti di attivisti del movimento democratico che vengono incarcerati. Però molti di quelli che hanno guidato la rivolta riuscirono a fuggire dalla Cina.

 

 

Domenico Bonvegna

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