La nostra società avrebbe bisogno di profeti. L’intervista a Piero Bassetti

«Sa come dicevamo noi artiglieri in tempo di guerra mettendo il nemico nel mirino del mortaio? Fermete che te copo! (“fermati che ti colpisco”, NdR). Ecco, con il Covid-19 ci siamo comportati pressappoco così. Abbiamo aspettato che il virus si fermasse e invece ci ha travolti».

 

Piero Bassetti vive a Milano l’emergenza pandemia, ma non la paragona ad una semplice guerra. Classe 1928, è stato il primo Presidente della Regione Lombardia dopo la riforma del 1970. Uomo di costante visione, per alcune legislature in Parlamento, ha portato a livelli europei la Camera di Commercio di Milano (la quale ha diretto per molti anni). Imprenditore, ma anche un po’ filosofo, oggi presiede l’Associazione Globus et Locus e la Fondazione che porta il suo cognome.
Globus et Locus ha un obiettivo importante: creare la grande comunità degli “Italici”, italiani di seconda o terza generazione, emigrati o, più semplicemente, uomini e donne che amano la nostra cultura e le nostre tradizioni.

Presidente Bassetti, “vedere quello che gli altri non vedono” che vuol dire?
Significa avere un po’ di quelle caratteristiche che una volta si attribuivano ai “profeti”. La società di oggi, soprattutto alla luce delle devastanti emergenze sanitarie ed economiche, è una società che avrebbe bisogno di profeti, com’è accaduto con gli scienziati, da Galileo in poi, i quali guardavano “oltre”.
Oggi la scienza, ma anche l’impresa, devono affrontare il problema di un “oltre” che né gli scienziati né i politici vedono. Il problema si pone drammaticamente perché se il potere è nelle mani di coloro che vedono l’oggi e non sanno vedere il domani, è chiaro che non costruiscono le soluzioni per il domani e semmai, a stento, quelle per l’oggi.
Questo è il problema nazionale.
Noi stiamo costruendo quelle poche soluzioni, ad esempio lo Stato sociale, per i problemi di oggi e non ci accorgiamo che stiamo scassando il futuro del Paese e dei giovani, i quali dovrebbero vivere alle condizioni che i vecchi hanno preparato in modo inconcepibile.
Esempio tra tutti, creando il debito.

Per contrastare il tracollo dell’economia, si offrono soluzioni da parte del Governo con decreti legge e Dpcm i cui risultati hanno un orizzonte non immediato. Lei che ne pensa del dibattito e delle soluzioni chi si propongono?
Ascoltando tutte le voci, i dibattiti, esaminando il panorama internazionale, mi sono venute davanti agli occhi le immagini di un film: Titanic. Noi italiani, come gli inglesi e altri cittadini del mondo, non potremo più sventolare il nostro Tricolore o la Union Jack. In sostanza, non potremo più farci scudo soltanto dei valori della nostra cultura. L’osso – rappresentato da 2.500 anni di storia, dall’Impero romano al Rinascimento, dalle esplorazioni alla scoperta di altri Continenti – è stato spolpato. La nostra storia passata non rappresenta più la carta vincente per agganciare il futuro. Siamo destinati al naufragio se non scendiamo giù dal pero e ci nascondiamo dietro al nostro passato. Dobbiamo avere la consapevolezza che questa pandemia è stata un formidabile acceleratore per l’ammodernamento della società, del cui arrivo non ci siamo accorti. Alla fine del tunnel sbucheremo in una nuova, sconosciuta valle dove sarà fondamentale ripensare l’assetto politico in senso alto degli Stati.

Presidente Bassetti, in ogni caso qualcuno dal naufragio del Titanic si salvò. Possiamo dirci moderatamente ottimisti?
Io sono ottimista per natura e, di conseguenza, a 92 anni, ho anche l’età per dire che se ci sarà un miglioramento, o un peggioramento, io probabilmente non ne sentirò gli effetti.
Penso che ci sarà un miglioramento, che ci sarà una ripresa. Sarà, comunque, una ripresa smart, che dovrà confrontarsi a livello planetario con le sfide che ci ha portato la natura. L’attacco del virus è rivolto a tutto il genere umano che non ha saputo metterlo sotto controllo. Guardate le sottovalutazioni che hanno portato gli Stati Uniti a essere il paese più infetto del mondo e alla Russia che, giorno dopo giorno, vede sterminare la sua popolazione. Non è una sfida al mondo, ma alla sua mancanza di sapere e al non saper tenere sotto controllo il territorio. È dunque palese che ad organizzare la difesa contro la pandemia non possono essere gli Stati nazionali.

Ma detta così sembra che non ci sia difesa contro il contagio. Chissà, allora, quando ne usciremo.
Casomai la difesa potrebbe essere organizzata su un presupposto di mobilità, essendo il contagio molto mobile. Se devo sparare ad un fagiano non posso sparargli come ad un pollo fermo per terra. Per ammazzare un pollo mi basta una 7 e 65, per il fagiano ci vuole un fucile a pallini. La nostra ignoranza della “Scienza del Dove” creata dalla tecnologia fa sì che siamo totalmente incapaci di organizzare il contrasto alla pandemia. E, questo, perché tutto il potere della politica del mondo è totalmente disorganizzato. Non è un caso che l’Europa sia andata più avanti negli ultimi trenta giorni – dallo scoppio di Covid-19 – che negli ultimi decenni. Se vogliamo organizzare la ripresa dobbiamo mettere a disposizione le risorse di tutti e non di ognuno. Pensate soltanto che cosa potrebbe succedere affidando la riorganizzazione agli ottomila Comuni italiani. Non andremmo da nessuna parte. Abbiamo bisogno dei soldi dei tedeschi, degli altri e, loro, hanno bisogno del nostro contributo. Finora la vera mancanza dell’Italia e dell’Europa è quella di aver dimostrato di non saper usare le armi tecnologicamente avanzate mentre altri paesi, come il Sud Corea, ne hanno fatto un utilizzo smodato, prediligendo al distanziamento la sfida dell’inseguimento del virus. Ci siamo dimostrati arretrati nella scelta delle soluzioni, soprattutto se gli si dà come nome “Immuni”.

EMILIO ALBERTARIO