La metafisica del colore: visione e trascendenza nell’arte di Beato Angelico

La mostra “Beato Angelico”, allestita presso Palazzo Strozzi a Firenze e visitabile fino al 25 gennaio 2026, incanta gli astanti con un percorso espositivo intelligente e profondamente coerente, atto a integrare le opere del frate domenicano con quelle di altri illustri pittori del primo Rinascimento, senza mai tradirne l’identità spirituale e formale.

Le raffigurazioni delicate, contornate da pennellate larghe e avvolgenti di colori saturi, intensi, sorprendono e commuovono per la loro capacità di veicolare contemplazione mistica e ricerca estetica modernissima. La finezza dei lineamenti, gli ovali purissimi dei volti, gli sguardi sommessi e le posture regali, soprattutto delle Madonne, si accompagnano a una visione pittorica intrisa di tonalità abbacinanti, cariche e vibranti, che non cedono mai alla decorazione fine a se stessa ma rimandano costantemente a una realtà altra, superiore. In questo senso il Giudizio Universale rappresenta uno dei punti più alti del percorso: una composizione di straordinaria complessità in cui l’ordine del cosmo si manifesta attraverso una luce che non opprime ma orienta, organizzando i destini umani secondo un ritmo armonico e quasi musicale. La prospettiva, lontana da ogni esibizione tecnica, diventa strumento spirituale, mezzo per rendere intellegibile l’invisibile e per restituire, attraverso spazi scanditi con chiarezza e colori intensi, il senso del mistero e della Grazia divina.

Tale concezione trova un’espressione ancora più intensa nella Deposizione, vero unicum della produzione angelichiana, dove l’uso della prospettiva non mira a effetti ottici bizzarri né alla riproduzione mimetica della realtà, ma serve a organizzare armonicamente corpi, gesti e affetti attorno al fulcro del racconto sacro: il corpo di Cristo. Le figure, avvolte in cromie vibranti ma misurate, non urlano il dolore, non indulgono nel patetico; tutto concorre a trasformare la tragedia in meditazione silenziosa, orientando lo sguardo dell’osservatore fedele nella giusta direzione, verso l’Alto. Qui la materia pittorica si fa trasparente allo Spirito e il dolore assume la forma composta della Fede.

La Pala di San Marco, infine, restituisce con particolare chiarezza la cifra più intima del Beato Angelico: una sacralità priva di enfasi, fondata sulla complessa semplicità del Creato. La Madonna, assisa con naturale regalità, non domina lo spazio ma lo abita, circondata da angeli e santi che dialogano in un silenzio luminoso, scandito da colori limpidi e vibranti che sembrano emanare una luce interiore più che rifletterla. In quest’opera si avverte con forza il candore di Giotto unito alla raffinatezza espressiva di Filippo Lippi, in una sintesi altissima che invita non tanto a guardare, quanto a sostare.

Nel complesso, gli spazi, i colori, le forme e i volti restituiscono con rara coerenza il senso del mistero e della Grazia divina: spirito e materia trovano una collocazione naturale nelle opere del Beato Angelico, che con fermezza e grazia invita al raccoglimento, alla devozione e alla preghiera, ricordandoci come la vera espressione artistica debba tendere a ordinare e armonizzare il visibile per rendere percepibile l’invisibile.

Romano Pesavento