La Chiesa, le donne, la violenza. Abbiamo fatto parte di una tradizione civile ed ecclesiale che ha offeso le donne

di ANDREA FILLORAMO

Leggo di un ennesimo femminicidio, avvenuto a Palermo. Gli argomenti, addotti nelle trasmissioni televisive, in cui spesso prendono parte anche alcuni preti, e forse anche nelle discussioni domestiche e in quelle che avvengono negli incontri che si possono avere nei supermercati sono sempre gli stessi: si parla, cioè, di “movente passionale” magari di violenza di genere; si cita l’assassino; si parla del fatto che lui “non accettava la separazione”, esattamente come in mille altri casi di questo tipo, come in ogni altro femminicidio, ma non si dice mai che i femminicidi, sono l’estremo effetto di un modo di vedere e di sentire, quindi di una cultura atavica, ben presente anche se in modo occulto nell’integralismo cristiano e in quello cattolico in particolare, che mai è stato espulso totalmente e che permea i gangli vitali della gente.

E’ questo, a mio parere un cancro silenzioso, che obbliga le donne a vivere e morire secondo presunti precetti religiosi che si rifanno ad un lontano passato, che affonda, a sua volta, le sue radici non nella parola liberatoria da ogni tipo di schiavitù di Cristo ma in quella rintracciabile anche nei testi sacri, nei Padri e dottori della Chiesa, nei Sinodi della Chiesa Cattolica, che esprimono una cultura assurda, paradossale e anticristiana, che oggi dobbiamo avere il coraggio di ripudiare non solo a parole. Occorre, però, bandire, l’’ipocrisia di quei teologi cattolici, pronti sempre a trovare scudi ermeneutici per una Chiesa struttura che fin dal suo nascere è una Chiesa peccatrice, perché così l’ha voluta il suo fondatore, che per essa si è offerto nel sacrificio della croce…

Vorrei che tutti insieme come una sola persona, ci levassimo, non solo «contro» qualcosa o qualcuno ma per difendere e promuovere la vita in tutte le sue manifestazioni: forse allora questo truce mercato sulla pelle della donna troverebbe un argine. Ricordiamo che spesso il silenzio dei buoni è la prima causa dell’imperversare del male.

Tracciamo, quindi, una disamina, che per non tediare più di tanto vuole essere soltanto parziale, tendente ad aiutare a sapere leggere al loro interno i fatti, i fenomeni storici, i testi sacri e i documenti della Chiesa.      

Diciamo subito che il cristianesimo, così come storicamente si è realizzato già a partire dai suoi primordi, ha parlato un’unica lingua, che è quella maschile, discriminatoria nei confronti delle donne.

Da qualcuno questa potrebbe essere considerata un’affermazione di principio gratuita, quasi blasfema, ma – lo sappiamo bene e diciamolo con chiarezza – non è assolutamente cosi.

Basta leggere le lettere di S. Paolo, dopo aver letto molti passi della Sacra Scrittura, in cui è da considerare un errore richiamare l’ispirazione divina dei sacri testi, non è diverso il giudizio che viene dato delle donne, per scoprire quei passaggi (che difficilmente o mai sentiamo leggere nelle nostre chiese) degli scritti paolini che sono da definire misogini.

San Paolo, infatti, non si allontana dalla cultura del suo tempo e dei tempi precedenti in cui gli scrittori sacri guardavano le donne non con gli occhi di Dio ma secondo paradigmi culturali oggi molto discutibili, scrive:

“Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia” (Timoteo, 2, 12).

“Non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo” (1 Corinzi, 11, 8)

– “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto” (Efesini, 5, 22).

Così è stato per due millenni, quando, sono state date rappresentazioni simboliche della donna vista come il serpente, figura contraddittoria e ambigua di fascino e attrazione e, nello stesso tempo, di repulsione, con il potere malefico di sedurre e avvelenare la capacità umana di pensare.

Era questa la conseguenza di una cultura patriarcale, che vedeva la donna oggetto e proprietà dell’uomo, in nome di una superiorità mai scientificamente provata.

Teniamo ben presente che lo schema patriarcale richiama per certi versi i principi dello schiavismo: l’ideologia secondo la quale un individuo appartiene ad un altro, per cui i padroni avrebbero pure il diritto di vita e di morte su quella persona.

Ecco alcuni “stralci” desunti dagli scritti dei Padri della Chiesa, dei dottori della Chiesa e alcuni pronunciamenti dei Sinodi della Chiesa Cattolica.

“Le donne servono soprattutto per soddisfare la libidine degli uomini” (Giovanni Crisostomo,349-407, dottore della Chiesa). “La donna è un essere inferiore, che non fu creato da Dio a Sua immagine. Secondo l’ordine naturale, le donne devono servire gli uomini” (S. Agostino, Padre della Chiesa 354-430).
“Il valore principale della donna è costituito dalla sua capacità di partorire e dalla sua utilità nelle faccende domestiche”. (S. Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa,1225-1275. “La donna deve velarsi il capo, perché non è l’immagine di Dio” (S. Ambrogio, dottore della Chiesa, 339-397). “Un feto maschile diviene un essere umano dopo 40 giorni, uno femminile dopo 80 giorni. Le femmine nascono a causa di un seme guasto o di venti umidi” (S. Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa).
“Quando vedi una donna, pensa che si tratti del diavolo! Essa è come l’inferno!”
(Papa Pio II, 1405-1464). “La donna è un errore della natura … con la sua eccessiva secrezione di liquidi e la sua bassa temperatura essa è fisicamente e spiritualmente inferiore … è una specie di uomo mutilato, fallito e mal riuscito … la piena realizzazione della specie umana è costituita solo dall’uomo” (S. Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa 1225-1274). “La donna ha il diritto di vestirsi solo a lutto. Non appena ha raggiunto l’età adulta, dovrà coprire il suo viso che è fonte di tanti pericoli, altrimenti rischia di perdere la beatitudine eterna” (Tertulliano, padre della Chiesa 160 circa). “Nessuna donna può entrare dove si intrattiene un sacerdote” (Sinodo di Parigi, 846). “Vicino alle chiese non possono abitare donne” (Sinodo di Coyaca, 1050).“I sacerdoti che ospitano donne sospette dovranno essere puniti. Il vescovo dovrà vendere le donne come schiave” (2° sinodo di Toledo, 589).
“La sola consapevolezza del proprio essere dovrebbe costituire una vergogna per le donne” (
Clemente Alessandrino, prima del 215). “Le donne non possono né scrivere, né ricevere lettere a proprio nome” (Sinodo di Elvira, 4° sec.).
“Tutto il sesso (femminile) è debole e sventato. Esse giungono alla salvezza solo tramite i figli” (Giovanni Crisostomo, dottore della Chiesa, 349-407)
“Le donne non possono cantare in chiesa” (San Bonifacio, missionario benedettino e apostolo dei tedeschi, 675-754).

Secondo David Noble, in relazione al tema “donna”, nell’ultimo millennio si è assistito ad un ciclo di periodiche lotte tra una cultura ascetico-clericale maschile, affermatasi durante il Basso Medioevo nella società per tramite della Chiesa, ed una eterodossia religiosa anticlericale che costantemente provava a riaprire spazi alle donne. Il dominio culturale della Chiesa, indiscusso in molti Paesi fino alla stagione dell’Illuminismo, ma prolungatosi spesso fino in pieno ‘900, ha diffuso il mito della donna “peccatrice” per eccellenza (si pensi ad Eva), una figura che induce al desiderio e quindi come tale accostabile ad una figura demoniaca.

Di qui la scelta, tuttora in vigore, di vietare alle donne a mio parere, senza motivazioni teologiche, il sacerdozio.

Si deve giungere al Concilio Vaticano quando con la Costituzione pastorale “Gaudium et spes” si afferma che l’eliminazione della discriminazione basata sul genere è una priorità.

Nella Chiesa, tuttavia, con difficoltà, pur con i messaggi in difesa della dignità della donna degli ultimi Pontefici, è penetrata profondamente questa visione.

Per molti è stato vano quello che, nel 1995, il teologo gesuita irlandese p. Gerry O’Hanlon disse contro il problema sistemico soggiacente quando fece approvare il Decreto 14 nella 34ª Congregazione Generale dei Gesuiti: Abbiamo fatto parte di una tradizione civile ed ecclesiale che ha offeso le donne. E, come molti uomini, abbiamo la tendenza a convincerci che non ci sono problemi. Per quanto involontariamente, abbiamo spesso contribuito a una forma di clericalismo che ha rafforzato il dominio maschile con un sigillo verosimilmente divino. Con questa dichiarazione desideriamo reagire personalmente e collettivamente e fare tutto il possibile per cambiare questa deplorevole situazione”.