
di Andrea Filloramo
“La Chiesa Cattolica avrà un futuro?” È questa una domanda, che molti si pongono all’inizio di un nuovo pontificato ricco di speranze e di attesa. La risposta non è né semplicistica né sociologica. Chi guarda alla Chiesa con gli occhi della fede, ricorda la promessa di Gesù: «Le porte degli inferi non prevarranno su di essa» (Mt 16,18). Per essi, quindi la Chiesa da qualunque Papa governata, non è soltanto un’istituzione umana ma una realtà spirituale sorretta dallo Spirito Santo e per questo sicuramente avrà un futuro.
Coloro che, invece, la guardano come realtà storica e culturale, constatano che essa, pur avendo attraversato persecuzioni, scismi e divisioni, papi santi o peccatori, è sempre sopravvissuta; tuttavia, al suo interno, sta vivendo una fase di forte declino: meno vocazioni, meno partecipazione, crescente indifferenza, tensioni tra forme di potere e burocrazia che rischiano di svuotare il messaggio evangelico. Tutto ciò, però, accade mentre c’è un desiderio sempre più forte di autenticità e di riforma.
Il futuro della Chiesa non dipenderà solo dai pontefici, ma molto dalla sua capacità di ascoltare davvero il mondo, di rinnovarsi nello spirito del Vangelo, di lasciare ciò che è apparenza o privilegio per essere vera comunità dei battezzati.
Se per secoli, la Chiesa si è organizzata secondo un modello istituzionale fortemente gerarchico, con una rete capillare di diocesi, uffici, congregazioni, parrocchie e seminari e, così, ha mantenuto la sua stabilità e la sua presenza sul territorio; oggi queste strutture sono vuote, burocratizzate o semplicemente non più significative. La sfida attuale è creare spazi di relazione.
E’ necessario, anzi urgente, che essa abbandoni il clericalismo, cioè l’idea che il potere sacro appartenga solo al clero e che i laici siano spettatori passivi, “fedeli da gestire”.
Il futuro della Chiesa dipende dalla sua capacità di uscire da questa logica piramidale. Il clericalismo non è solo un problema etico ma una distorsione teologica: è l’idea che nella Chiesa ci siano “caste”.
Di una cosa, quindi, siamo certi: il futuro non sarà una Chiesa senza papi o senza preti, ma una Chiesa dove i ministeri saranno plurali, condivisi, flessibili, dove ci sarà una teologia del potere intesa come servizio, non come possesso, con forme nuove di ministerialità, anche stabili e ufficialmente riconosciute; una valorizzazione reale della voce femminile, non relegata ai margini né solo in ruoli “assistenziali”.
Joseph Ratzinger, in una profetica radio-intervista del 1969, disse:“La Chiesa del futuro sarà più povera, più spirituale, forse più piccola. Ma troverà nuova forza nei cuori di coloro che hanno una fede profonda.”
Quella Chiesa sta già nascendo nelle periferie, nelle famiglie, tra i giovani inquieti, nelle comunità di base, nei luoghi dove si sperimenta una fede più leggera e più profonda.
Sarà una Chiesa non più di massa, ma di testimonianza. Non più autoreferenziale, ma capace di aprirsi al mondo senza perdere l’anima.
Ciò che oggi ci sembra una crisi, potrebbe essere un passaggio necessario: un esodo verso una terra nuova.