IL VANGELO SECONDO ANDREA FILLORAMO: la pedofilia e gli abusi sessuali

di ANDREA FILLORAMO

 

Rispondo a un’email di un prete, che mi suggerisce di non rivelare il suo nome, in cui fra l’altro mi dice, riferendosi al mio ultimo articolo su IMG PRESS del 6 giugno u.s: “sono pochi i casi di preti pedofili che… La responsabilità non è della Chiesa…”.

Sono passati 17 anni – eravamo l’8 luglio 2004 – da quando si leggeva in “La Repubblica: “Il macigno che il Vangelo promise al collo di coloro che danno scandalo, trascina la prima diocesi cattolica americana nella Geenna della bancarotta finanziaria. Il vescovo di Portland, la grande città dell’Oregon, è il primo ad arrendersi, e non sarà l’ultimo, travolto dalle richieste di risarcimenti dalle vittime vere o presunte di molestie e di abusi sessuali che le casse delle diocesi non possono più tacitare. Dichiara bancarotta, lasciando il diritto canonico per cercare rifugio sotto la protezione del codice civile. E c’ era quasi un’eco tristissima e forse inconscia dello smarrimento e dello sconforto di Gesù sulla croce, quando John Vlasick, il vescovo in fallimento, ha detto in pubblico allargando le braccia: «Le compagnie di assicurazione ci hanno abbandonato, tutti ci hanno abbandonato». Ci sono sessanta cause pendenti contro il clero della diocesi di Portland, e 155 milioni di dollari di danni pendenti, mentre i bussolotti della questua si inaridiscono, in una regione, l’Oregon, che per la Chiesa di Roma è frontiera, non certo paragonabile alle cattolicissime Boston, Tucson in Arizona o Los Angeles, dove pure le casse di monsignore sono esauste”. 

Da allora, in tutto il mondo, si è scatenata la caccia al prete pedofilo, i cui risultati ormai sono noti a tutti. Non sappiamo quanti sono i preti che si sono macchiati di pedofilia, conosciamo soltanto qualche dato approssimativo, come quello che ci ha rivelato il Vaticano davanti al 52esimo Comitato Onu contro la tortura.

Secondo il Vaticano tra il 2004 e il 2013 il totale di preti pedofili sarebbe di 4000 membri del clero; alcuni di essi sono stati ridotti dalla Chiesa allo stato laicale, ad altri sono state applicate misure disciplinari; ma facilmente si capisce che tale numero è sicuramente diventato molto più esteso dal 2013 ad oggi.

Diciamolo chiaramente: il fenomeno della pedofilia dei preti, dei vescovi e anche dei cardinali e degli abusi sessuali – l’ho più volte scritto –   è così esteso che lascia senza parole quei preti che affannosamente si sforzano di dimostrare senza, però, riuscire, che la castità è una virtù praticata dalla maggioranza degli uomini di Chiesa e che, quindi, la pedofilia deve essere considerata una patologia , che può colpire e colpisce inaspettatamente anche i sacerdoti, che, perciò, debbono essere solo opportunamente curati.

Ribadisco ancora con piena convinzione: la pedofilia e gli abusi sessuali di cui si macchiano molti preti sono le immancabili conseguenze di un’errata dottrina della sessualità praticata da secoli dalla Chiesa, imposta e inculcata ai suoi ministri, fin dagli anni giovanili del seminario, che nella sessualità ancora individua il “remedium concupiscentiae”, che,  prima del Concilio Vaticano Secondo, era inteso come una sorta di “legittimazione” della sessualità disordinata, da esercitare, quindi, solo nell’ambito matrimoniale, al quale per legge ecclesiastica i preti, però, non possono accedere,  

La sessualità per la Chiesa è stata sempre vista quasi come un mostro che morde le nostre carni, una serpe-immagine di Satana, che ci minaccia.

Non dimentichiamo che con la trinomia: sesso-serpe-Satana si ripete sempre  l’identificazione del serpente con Satana, implicita nella Apocalisse di Giovanni e in Genesi, dove il Serpente è rappresentato come creatura infida e ingannatrice, che subdolamente consiglia ciò che Dio ha direttamente proibito (Genesi 3,4-5.3,22)

Se è ancora così come per molti preti formati in quei seminari anni fa e ancora in esercizio, non so se ha ragione don Mazzi quando dice: “le rispo­ste della Chiesa in merito ai casi di pedofilia che sono emersi in questi ultimi tempi non mi hanno convinto. Andrebbero aboliti i seminari. L’errore inizia da lì. Il seminario (…) è un luogo che castra, non è un luogo naturale”.

Esprimo in piena libertà il mio pensiero: credo che siano, oggi, pochi i preti convinti con la Chiesa che la castità sia come si vuol far credere e come leggo in un foglio cattolico: “l’affermazione gioiosa di chi sa vivere il dono di sé, libero da ogni schiavitù egoistica, che rende armonica la personalità, la fa maturare e la riempie di pace interiore; che rende capaci di rispettare gli altri, perché fa vedere in essi persone da venerare in quanto create a immagine di Dio e per la grazia figli di Dio, ricreate da Cristo che «vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce ammirabile” (1 Pt 2,9)»”.

Penso che pochi preti pensino – come affermano – che la castità sia un’energia spirituale che sa difendere l’amore dai pericoli dell’egoismo e dell’aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione.

È importate, a mio parere, affermare che il riconoscimento alla estrinsecazione della dimensione “sessuale”, razionalmente guidata, sia anche per i preti, un “diritto” assoluto, intangibile ed illimitato, la cui negazione non può essere imposta per legge, per prassi, per tradizione, per promessa o anche per voto che impegna per tutta una vita.

Si tenga conto che la sessualità, dono di Dio, è un ciclo organico, un impulso fisiologicamente insopprimibile, un bisogno di vita, un elemento costitutivo della struttura esistenziale dell’uomo, espressione personale, comunicazione; essa rappresenta una dimensione naturale, di scambio: negarla equivale a negare la persona.

La castità, oltretutto, se inculcata per mezzo della persuasione o facendo ricorso a un’insistente opera di convincimento durante uno stato di vita ancora giovanile, com’è quello del periodo della formazione seminaristica, è una violenza veramente inaccettabile.

Chi rinuncia – e può farlo solo liberamente – deve sapere che, nel deserto della comunicazione emotiva, in cui si può trovare a vivere, possono esserci distorsioni, aggressività, dolore, abiezioni, solitudini, patologie. Le pulsioni primarie, infatti, legate alla libido, costituiscono momenti fondamentali della realtà biopsichica di ognuno: la loro negazione o frustrazione può condurre a forme di sessualità deviata, ad alterazioni anche patologiche. La sessualità inibita può persino arrivare ad erotizzare l’intera vita, diventando una vera e propria ossessione, esasperata da fantasie che alla lunga possono divenire quasi maniacali. Il soggetto, infatti, rischia di ritrovarsi “simbolicamente castrato dal suo celibato”, da una castità coatta che lo può portare a percepirsi come un essere asessuato.

Per reagire all’astinenza forzata può finire così per ritagliarsi un proprio mondo sessuale, connotata da innaturalità, oltreché da degrado ed avvilimento personale, giungendo anche alla pedofilia, il cui accesso è facilitato dall’innocenza della giovane età della vittima.

La natura con la sua intrinseca, inarrestabile potenza, dopo essere stata imprigionata, umiliata, ridotta a monologhi solitari, lavora, infatti, contro la volontà, disintegrando e neutralizzando le diverse barriere ed ambientando la sessualità sul terreno che è costretta a vivere.

Concludendo: la rinuncia forzata alla sessualità è una realtà, con i suoi effetti degenerativi che iniziano con inquietudine e frustrazione, passano per la deviazione, con il rischio assai probabile di cristallizzarsi nella violenza, o nella malattia fisica o psichica, nelle perversioni.