Il ricordo: XXV anniversario del ritorno alla casa del Padre di Monsignor Giuseppe Sciglio

Messina – Il 12 gennaio 2024 ricorre il XXV anniversario del ritorno alla casa del Padre di Monsignor Giuseppe Sciglio, prete diocesano originario di Taormina che spese la propria esistenza nell’animazione vocazionale, nella vicinanza ai giovani (in particolar modo nell’Azione Cattolica), nella prossimità ai confratelli presbiteri, nella cura della stampa diocesana.

L’ambito più incisivo del suo ministero si svolse nel Seminario diocesano.

Ne fu padre spirituale e rettore, avvicinando tanti con apertura e gratitudine, offrendo loro di cuore l’amicizia e il confronto. Il denominatore comune è stato sicuramente il fronte della formazione alla vita presbiterale, tanto che molti confratelli ne conservano ancora vivo e profondo il ricordo, oltre a lettere e numerosi biglietti augurali. Ed è proprio su questo filone che, in questa circostanza “giubilare”, si vogliono riprendere modalità e finalità del suo stile educativo.

Non sarà certo un approccio scientifico, ma nemmeno banale, per le ricadute che tale figura di prete significa ancora oggi nella Chiesa del Terzo Millennio.

La fonte principale che darà spessore alle argomentazioni è costituita dai ricordi vivi presenti in quanti lo hanno conosciuto e stimato.

Certamente Monsignor Sciglio, cresciuto nell’oratorio salesiano S. Giorgio di Taormina, sapeva che “l’educazione è un fatto di cuore” e da qui si dipanava il suo “stile educativo” con cui animava i giovani verso una promozione umana e una crescita cristiana. Il ventaglio del suo lavoro formativo è stato molto ampio in risposta ai mutevoli bisogni delle nuove generazioni.

I passaggi irrinunciabili di questa forma di vita trovavano fondamento nell’amore, quell’amore fatto di attenzione discreta e paterna senza mai scadere nel paternalismo. Tutti percepivano la “carezza” del formatore che resta sempre accanto, soprattutto nei momenti difficili della crescita, presenza discreta e delicata.

Il suo volto raggiante, trasparenza dell’amore di Dio, era un sicuro antidoto allo scoraggiamento. Ha creduto nella forza dell’Amore che costruisce la comunità e guarisce le ferite, in una visione che va oltre il tempo: le singole parrocchie di una Diocesi fanno parte di un’unica missione pastorale.

La seconda tappa nel cammino pedagogico era contrassegnata per lui dalla ragione, un’arte particolarmente personalizzata perché aiutava ciascuno a leggere quanto accadeva dentro di sé e a capire le dinamiche del mondo circostante, soprattutto quelle ecclesiali, non scevre da “disturbi mentali” che minavano la credibilità dell’apostolato stesso.

L’ultima fase era costituita dalla gioia che contagiava di sensazioni positive e gradevoli la scelta dei sacerdoti e che Padre Sciglio richiedeva quale atteggiamento necessario in ogni candidato al ministero presbiterale prima di essere ordinato prete. Pieni di gioia per un progetto rinnovato, i seminaristi e i giovani sacerdoti del tempo, hanno abbracciato la missione chiara e univoca: far conoscere e amare Gesù.

Davanti a queste caratteristiche si può obiettare che non vi è nulla di particolarmente eccezionale e che tali passaggi siano comuni a molti processi formativi. È vero, ma padre Sciglio aveva chiaro il binomio inscindibile che deve sottostare alla vita di ogni presbitero: uomo-prete.

A questo punto ognuno potrà cogliere, attraverso uno sguardo a ritroso, la portata profetica del processo formativo, la sua evoluzione, le somiglianze e le differenze con l’attuale sistema educativo. In tale operazione, non possono mancare gli aspetti indispensabili alla vita sacerdotale e che tanti hanno avuto la fortuna di sperimentare attraverso la testimonianza diretta di cotanto sacerdote.

Il primo gradino di questa scala vitale è contrassegnato dalla consapevolezza. Essa esige in tutti, particolarmente nel prete, che si viva da svegli, presenti in un luogo e in un momento preciso della storia, non rivolti al passato in perenne stato nostalgico né proiettati in un illusorio futuro, frutto di pura utopia.  Il sacerdote vive in un certo contesto e deve sapere che cosa prova, deve essere cosciente del posto che occupa. Davanti alla situazione attuale, forse Monsignor Sciglio avrebbe detto di fare attenzione al rischio della mistificazione di persone, di fatti e di progetti pastorali.

Se da una parte è “normale” alterare le situazioni per evitare di rimanere intrappolati in mille problematiche di non facile soluzione, dall’altro le buche inevitabilmente appariranno nel momento in cui la neve si scioglierà.

Il secondo stadio è quello della spontaneità, non così presente in ambito clericale.  Si tratta di operare scelte libere, senza alcuna difficoltà di non poter esprimere sentimenti umani che vanno educati. Purtroppo il “clericalese” è lontano dalla logica evangelica: “il vostro parlare sia sì, sì; no, no” (Mt 5,37). Suddetto rimando potrebbe fare da grimaldello per smascherare la piaga del narcisismo dilagante, spesso frutto di invidia, con la quale tanti preti pensano di essere i migliori, i puri, i perfetti…

Padre Sciglio non ha mai tollerato che i futuri sacerdoti si dessero arie di “perfettini” e con pazienza e paternità aiutava i giovani seminaristi a prendere coscienza di quale spirito abitasse in ciascuno di loro. Oggi i numerosissimi richiami di papa Francesco dicono, anche a coloro che vorrebbero negare, che il problema esiste ed è grave.

Completa il quadro l’interiorità che significa franca, immediata e consapevole espressione di sé, senza alcuna mistificazione. Questa è la caratteristica che meglio delle altre racconta l’esperienza presbiterale del nostro. Su questo punto, la strategia educativa, frutto di pratica e contemplazione dell’amore di Dio vissuto nella preghiera continua e profonda, diventa il crinale dirimente per ogni prete, di qualunque stagione. Intensificare il rapporto con Dio è la sorgente quotidiana di un rinnovato dinamismo spirituale e apostolico ed è questa vitalità che oggi più di ieri deve rendere audaci, affrontando i misteri della vita con fiducia, apertura e dono di se stessi.

Ma di che cosa si preoccupano i preti oggi?

Spesso di animare convegni, associazioni, iniziative pastorali, dare benedizioni a tutte le latitudini… e della crescita spirituale, personale e comunitaria che contrassegna l’intimità, non se ne parla nemmeno. Si assiste così a una miriade di iniziative che non hanno un’anima.

Eppure il Vangelo si occupa e si preoccupa del crescere davanti a Dio “in sapienza, età e grazia” (Lc 2,52).  Da parecchi anni papa Francesco sottolinea l’urgenza per la Chiesa di ripensare la formazione che si fa nei seminari, mettendo in risalto che tale processo formativo non può essere a scompartimenti stagno (teologico, liturgico, biblico, canonico), ma fondamentalmente umano.

Guardate come si amano: chiamati i presbiteri a costruire comunità vitali, pervasi dalla presenza di Dio per essere in ogni situazione e con persone differenti accolti, benedetti, spezzati, condivisi.

La prova della “riuscita” di tale formazione è data dalla capacità del prete di comprendere se stesso e le persone con cui entra in relazione per aiutarle ad “avanzare” con discernimento in un processo continuo e costante di crescita personale e comunitaria.

Ma come può un sacerdote aiutare gli altri se non conosce se stesso, il proprio mondo affettivo, se non accetta di convivere serenamente e liberamente con la propria storia, fatta di luci e ombre? Per fare questo è necessario un confronto assiduo con il proprio padre spirituale: qui la figura di padre Sciglio si staglia in tutta la sua grandezza umana e spirituale perché ha esercitato in modo sublime il ministero di accompagnamento di molti seminaristi e parecchi confratelli.

E ognuno percepiva di essere guidato con delicata specificità personale, con piena disponibilità di tempo. Mai in modo frettoloso. Ne derivava che tutti intravedevano in lui un “uomo di Dio” e giammai “un funzionario di Dio”.

E uomo di Dio è colui che cerca Dio e lo fa soprattutto nella preghiera durante tutta la giornata, perché ha bisogno di Lui, preghiera personale, aperta e gioiosa, con il cuore sintonizzato col cuore di Dio: aprire il proprio essere a Lui è accettare che Lui trasformi e integri tutte le dimensioni della personale esistenza dell’uomo.

Quali bisogni hanno i preti oggi?

A tutti Padre Sciglio comunicava la trasparenza immediata del suo animo sacerdotale: il sorriso con il quale guardava negli occhi per scrutare le cose belle nascoste nell’angolo più remoto del cuore del suo interlocutore, proprie di chi sa di essere amato da Dio.

 

P.S. La foto “storica” e “profetica”. Si tratta del particolare di una foto scattata attorno al 1960…al centro c’è p. Sciglio, il seminarista alla sua destra, sulla cui spalla è appoggiato il braccio di p. Sciglio è il giovane Francesco Montenegro, oggi cardinale di S. Madre Chiesa.

 

Ettore Sentimentale